Bologna

#quivivonodeibambini: il flashmob per chiedere al governo di occuparsi dei bimbi

28 Aprile 2020

Chi ha pagato e paga di più le conseguenze dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e del conseguente lockdown? Non è certamente una gara ma tra chi si è trovato di fronte a rivedere maggiormente la propria vita, le proprie abitudini, senza gli opportuni strumenti di comprensione, ci sono sicuramente i bambini. Questi ultimi sono peraltro di sicuro i grandi assenti dal discorso pubblico. L’unico ragionamento politico e non che li ha riguardati e li riguarda è legato alla chiusura e all’apertura delle scuole, alla didattica a distanza. Ma tutto il resto?

«Abbiamo applaudito dalle finestre al lavoro dei nostri operatori sanitari. Ci siamo affacciati ai balconi cantando e suonando per alleviare la durezza delle prime giornate di quarantena e non sentirci soli. Abbiamo esposto gli arcobaleni disegnati dai nostri bambini per provare a rassicurarli. Nei passati quaranta giorni però non c’è stata una sola indicazione dell’esistenza di un piano strutturato che prevedesse il loro ritorno nelle strade, nei parchi, nelle scuole». Comincia così il testo promosso da Cinnica, libera consulta per una città amica dell’infanzia, attiva a Bologna.

«Cinnica vuole essere la portavoce dei diritti dei bambini che spesso vengono completamente dimenticati e ne abbiamo la prova eclatante in questo periodo! Mai una parola spesa per i bambini! Come se non esistessero, sono invisibili ed è quello che Cinnica cerca di far capire da quando è nata», ci spiega Agathe Gillet, portavoce della Consulta. «Quello che chiediamo adesso è la presa in considerazione dei diritti e dei bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza che non sono adulti in miniatura perché si stanno costruendo e tutte le esperienze che non possono fare adesso avranno conseguenze sul loro sviluppo che ancora non possiamo calcolare, soprattutto per la fascia 0-6 anni che è quella che ha sofferto di più di questo periodo di clausura forzata. Abbiamo parlato del problema dell’aumento delle violenze domestiche sulle donne ma perché non si sente mai parlare delle violenze che subiscono sicuramente anche i bambini e che saranno fortemente aumentate anche loro?».

«Vogliamo che il governo si rivolga direttamente ai bambini e alle loro famiglie per ringraziargli per tutti questi sforzi, spiegargli concretamente come intendono liberare i bambini, cosa potranno fare nelle prossime settimane, come faranno i loro genitori a tornare al lavoro senza la riapertura delle scuole e come si pensa di riorganizzare la riapertura a settembre perché questa deve avvenire. Vogliamo anche strategie efficaci per fronteggiare le povertà educative. Vogliamo azioni per venire incontro alle esigenze non più procrastinabili dei bambini portatori di disabilità», conclude la portavoce.

Cinnica ha organizzato un flashmob #quivivonodeibambini in programma giovedì 30 aprile per far sentire la voce dei più piccoli attraverso dei cartelli scritti con i propri genitori e mostrati fuori dalle case. Partecipare è semplice, basterà infatti scendere in strada, davanti al portone delle case, tenendo in mano un cartello con scritto “qui vivono dei bambini” e poi inviare la foto del cartello e l’adulto che lo tiene ma senza i bambini a consultacinnica@gmail.com oppure condividerla sotto il post dedicato su Facebook. È possibile anche aggiungere il motivo #quivivonodeibambini alla propria immagine profilo.

«L’iniziativa nasce dalla crescente apprensione nel constatare che i diritti ed i bisogni dei bambini e delle bambine sono esclusi dal discorso pubblico e istituzionale. Dei bambini e degli adolescenti in questa crisi si è parlato troppo poco. L’atteggiamento ci parrebbe quello che si riserva ai problemi per cui è troppo difficile trovare delle soluzioni: semplicemente si rimuovono», ci racconta Chiara Gius, docente a contratto all’Università di Bologna e madre di una bimba di quasi 5 anni e un bimbo di quasi 3. «Sappiamo di tavoli di educatori, pedagogisti e altre figure esperte che stanno lavorando su possibili strategie per restituire ai bambini parte di quello a cui hanno dovuto rinunciare dall’inizio di questa crisi: l’istruzione, la socialità, il movimento. Eppure a 2 mesi dalla prima chiusura delle scuole non abbiamo da parte delle istituzioni nemmeno un primo insieme di proposte che vadano verso la realizzazione di questi obiettivi. Considerando i tempi organizzativi che qualsiasi attività richiede in questo periodo temiamo debbano ancora passare mesi prima di poter restituire uno scampolo di normalità ai nostri figli».

Quello che serve è un piano di medio-lungo periodo per i bambini e gli adolescenti così da poter iniziare a lavorare in prospettiva e lo stanziamento di risorse adeguate a sostenere la grandissima operazione di ristrutturazione di più settori del welfare che questo piano comporterà. «Riaprire i parchi è troppo, troppo, poco», continua Chiara, «e non può essere una risposta sufficiente per i mesi a venire: l’immensità di relazioni, saperi, connessioni, esperienze a cui i bambini e le bambine stanno rinunciando in momenti fondamentali di sviluppo e formazione è troppo grande. Vogliamo che l’impegno che le famiglie stanno mettendo nell’affrontare questa crisi sia il peso che guida l’azione pubblica e tutto questo non può esserci se non si inizia a riconoscere all’interno del discorso pubblico che i bambini esistono e che hanno diritti e bisogni di cui è necessario farsi carico. Qualcuno mi ha detto che all’inizio l’impegno era tutto rivolto verso la crisi sanitaria, che è per quello che le risposte tardano ad arrivare. A questa obiezione io rispondo che il nostro stato lavora per comparti e che è inaccettabile che tutto si fermi quando c’è una crisi, per quanto possa essere trasversale. Vogliamo che i nostri bambini e adolescenti possano veramente guardarsi indietro tra 10 anni e dire che è andato tutto bene, anzi che è andato tutto meglio!».

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