Arte

Perché Christian Boltanksi era amato in Francia e a Bologna

15 Luglio 2021

Christian Boltanski è morto mercoledì a 76 anni. Ha spaziato tra scultura, pittura, fotografia e videoarte ed era considerato tra i più grandi artisti francesi viventi. È stata la galleria Marian Goodman di Parigi,  che ha rappresentato l’artista a partire dal 1987, a dare la notizia. Una parte della sua storia la conosciamo attraverso il nipote Christophe Boltanski nel romanzo Il nascondiglio, tradotto da Sellerio.

Nato a Parigi da padre ucraino di origine ebraica e dalla scrittrice Annie Lauran, Boltanski aveva un legame con l’Italia e in particolare con Bologna, per aver dedicato un’installazione permanente alla strage di Ustica del 1980, un’opera che si trova al Museo della Memoria di Ustica in via di Saliceto. Nel 1997 gli era stata dedicata una mostra antologica a Villa delle Rose e Boltanski aveva deciso di lasciare alla città un’opera, Les Regards, in omaggio ai partigiani.  L’anno seguente aveva ricevuto la laurea ad honorem in scienze storiche e orientalistiche dall’Università di Bologna [QUI IL VIDEO della cerimonia].

Aveva esordito come pittore nel 1958. Bare e ambienti macabri erano i soggetti più ricorrenti allora, ma a venticinque anni era già stanco di dipingere solamente. La sua prima opera di videoarte è del 1967, anche se spesso viene indicata un’opera dell’anno successivo che si intitola La Vie Impossible de C.B. : vita e morte saranno sempre due parole chiave per descrivere la sua opera, alle quali si deve aggiungere ‘memoria‘. Proprio al tema della memoria nella sua opera è dedicato uno speciale del 2019 sul canale di France Culture. Spesso Boltanski proponeva uno scontro o un dualismo: tra assenza e presenza, tra perdita e vita, utilizzando oggetti personali appartenenti a proprietari anonimi.

Diceva di non essere un artista politico, la sua storia – compresi i passaggi a Bologna – e la sua opera però dicono altro. Durante la seconda guerra mondiale, suo padre, ebreo, fu costretto a vivere nascosto sotto le assi del pavimento dell’appartamento di famiglia per un anno e mezzo per evitare di essere deportato. L’ebraismo è un altro tema delle sue opere, specialmente in riferimento a quanto subito durante la guerra.

Nel 2014 spiegò a Parse, una rivista dell’Università di Gothenburg, che in famiglia il vero militante è il fratello, il sociologo Luc Boltanski, i cui libri sono tradotti anche in italiano e trattano di capitalismo, movimenti di destra, critica della merce, spettacolo del dolore, aborto. «Mio fratello, il sociologo, è molto politico. Ed è un grande sociologo e un uomo molto intelligente. Ma io non sono affatto politico. In un certo senso sono molto conservatore. Ed è anche perché voglio essere solo un artista. Se entri in politica, è così divertente che potresti dimenticare di essere un artista».

Nel 1968 ci fu la sua la prima mostra e l’anno successivo pubblicò i suoi primi libri. Sessant’anni di carriera, cinque Biennali di Venezia e due Documenta di Kassel, mostre e premi in tutto il mondo. Era sposato con l’artista e femminista Annette Messager, conosciuta alla Biennale di Parigi del 1969. E quando nel 2017 lui era a Bologna, l’Accademia di Francia a Roma ospitava la prima personale in Italia di Messager, a Villa Medici. Così ebbero altre mostre in Italia, tra cui una personale, insieme, al Palazzo delle Papesse di Siena. Tra i critici e curatori italiani, due in particolare si sono occupati e hanno scritto di Boltanski: Danilo Eccher e Teresa Macrì.

Nel 2009 ha venduto la sua vita al giocatore d’azzardo e collezionista australiano David Walsh, il quale ha pagato l’opera di videoarte The Life of C.B. a rate, fino alla morte dell’artista. Insomma, prima sarebbe morto Boltanski, meno Walsh avrebbe dovuto pagare. La sua ultima intervista è quella nel sito della galleria Goodman, mentre un documentario di 50 minuti sul suo viaggio in Patagonia l’autunno scorso è disponibile gratuitamente su Youtube. Liberation gli ha dedicato in poche ore 4 articoli e questa è la copertina di domani.

Il Pompidou gli ha dedicato una retrospettiva nel 2020. Un suo testo scritto per un’altra retrospettiva, quella che il Musée national d’art moderne organizzò nel 1984, è una sorta di autobiografia. C’è da scommettere che presto entrerà a far parte di una biografia.

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