Bologna
Oltre le capitali cannibali: Bologna e i distretti 4.0
Da San Francisco a Londra e da Milano a Bangalore, l’apprezzamento dei valori immobiliari nelle superstar cities mondiali ci offre una proxy accurata sulla crescente polarizzazione dell’economia all’interno dei confini nazionali. È questo un fenomeno nuovo, che in parte si sostituisce al già noto dibattito sulla disuguaglianza across country – tipicamente tra il povero Sud e il ricco Nord del mondo.
La polarizzazione come effetto dell”economia della conoscenza
Come già discusso in precedenza, la variazione del valore immobiliare è una metrica molto interessante in quanto, essendo l’offerta rigida per definizione, fa si che l’andamento della domanda determini il prezzo finale. Non c’è mistero in questo ragionamento: se l’offerta immobiliare si apprezza rapidamente, è perché molte persone decidono di comprare casa in un determinato mercato locale. Ciò che semmai sorprende in questo fenomeno è l’origine del flusso delle migrazioni. Guardiamo all’Italia e a Milano in particolare modo. Mentre il flusso Sud-Nord è ampiamente conosciuto, stiamo assistendo negli ultimi anni ad un flusso Nord-Nord sempre più importante. In poche parole, si arriva a Milano dal Piemonte, dal Friuli, dal Veneto. Si arriva in Lombardia perché l’economia della conoscenza in Italia fa base qui, per le migliaia di multinazionali straniere e italiane che si sono insediate a Milano e per la qualità delle università locali. Ma si arriva a Milano anche perché le province italiane stanno rapidamente diventando periferie. Quasi sempre non competitive. Mancano, in poche parole, quei fattori intangibili (capitale umano, finanza e tecnologia) che abilitano le vecchie province industriali e ne permettono l’evoluzione in ecosistemi dell’innovazione. Ancora una volta, l’andamento dei valori immobiliari nell’ultimo decennio ci racconta di città italiane come Torino, Genova, ma anche Roma che diventano sempre più marginali rispetto al circuito globale degli hub della conoscenza. Esistono però delle eccezioni, dei casi controfattuali.
L’eccezione emiliana
In Italia, il caso più interessante è senza dubbio quello di Bologna e della via Emilia. Bologna, in questo contesto, rappresenta infatti lo snodo centrale di una densa rete di città fortemente integrate e interconnesse, che include da est verso ovest Modena, Reggio Emilia e Parma. La via Emilia per molti aspetti ricorda una città metropolitana ‘diffusa’ che però ha una sua centralità in Bologna e riesce a valorizzare le specializzazioni complementari che si trovano nei diversi distretti industriali che punteggiano questo pezzo della Pianura Padana. È, di fatto, l’interconnessione di queste verticalità industriali a favorire quelle esternalità positive che sono alla base di un’economia complessa. È questo, a ben vedere, il tratto peculiare dell’economia della via Emilia: la complessità della conoscenza generata localmente. È una complessità che alimenta la competitività delle imprese locali, la quale a sua volta attira capitale umano qualificato da tutta Italia e sempre più dal mondo, impattando inevitabilmente su quell’indicatore immobiliare che già conosciamo. Che infatti ci certifica che lungo la via Emilia i talenti arrivano e spesso rimangono e il valore immobiliare non decresce come quasi ovunque in Italia, ma segue semmai un trend più simile a quello di Milano.
I tre fattori che aumentano la competitività
Ma cosa rende complessa la conoscenza prodotta da Bologna a Parma? Come in tutti i fenomeni economici complessi, la risposta arriva quasi sempre dalla somma e dall’intersezione di diversi fattori. Nel caso della via Emilia, i fattori sono quelli che troviamo in altre ‘Periferie Competitive‘ di successo come Galway in Irlanda e il Research Triangle Park nel North Carolina: 1) la presenza di multinazionali che garantiscono connettività globale e la contaminazione di competenze locali con nuova conoscenza generata altrove; 2) la collaborazione continuativa tra imprese private e università locali, attraverso il co-design di curricula didattici e gli investimenti congiunti in ricerca; 3) lo sviluppo di un ecosistema finanziario a supporto delle nuove attività imprenditoriali.
La complessità diventa valore economico e sociale
Molto di questo si trova oggi in Emilia. Da un nucleo forte di multinazionali che competono in settori diversi industriali come il packaging, il food e l’automotive, alle esperienze virtuose di atenei come UniMoRe – l’Università di Modena e Reggio Emilia – che riescono a sintetizzare le istanze del mondo pubblico e di quello privato e, infine, ad un sistema finanziario regionale dinamico e flessibile. Sistema che oggi fa leva su un reticolo di investitori privati, di player finanziari strutturati come Azimut e del supporto garantito da investimenti pubblici regionali. Sono tutti fattori necessari ma non sufficienti, se considerati singolarmente. Vanno alimentati nel tempo ed intersecati continuamente, aggiornati ed amalgamati tra di loro. Ed è proprio nella capacità di unire queste diversità che troviamo forse il vero tratto distintivo del successo emiliano. Come racconta l’amministratore delegato di Dallara, Andrea Pontremoli, la secret sauce della competitività emiliana va ricercata in quella socialità che da sempre caratterizza il dna di chi vive da queste parti.
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