Arte

Il CHEAP festival riporta Bologna all’altezza delle sue strade

24 Maggio 2016

Bologna 2016. Blu rimuove nella notte tra l’11 e il 12 Marzo i suoi lasciti a Bologna, come atto di spregio verso una città che non lo merita. Un atto di protesta che ha fatto il giro della nazione e superato le alpi. Ratti esanimi hanno sostituito le gigantesche opere murarie presenti nella città, sotto cui incombe una confortante didascalia: “ Zona derattizzata. Area bonificata da tombaroli, ladri di beni comuni, sedicenti difensori della cultura, restauratori senza scrupoli e curatori prezzolati, massoni, sequestratori impuniti dell’altrui opera di intelletto, adepti del dio danaro e dei loro sudditi.” Per chi è rimasto estraneo alle street diatribe bolognesi del Marzo che fu il riassunto degli eventi risulta d’obbligo. Il 17 Marzo, in quella che repubblica definì l’austerità di palazzo Pepoli, inaugura “Street Art – Banksy & Co. L’arte allo stato urbano”, una mostra dedicata alla riqualificazione del mondo della street art. Iniziativa interessante, promossa in primis dall’ istituzione culturale Genus Bononiae, sostenuta dalla fondazione bancaria e presieduta dall’ex rettore Fabio Roversi Monaco, che forse si era posto il sacro obiettivo di “elevare” timide opere che usurpavano l’ambiente urbano bolognese a vere e proprie mete di culto per visitatori meno canonici. La notizia del cavalleresco intento giunge anche agli artisti più quotati delle strade emiliane, con una sensazionale pecca di tempismo: le proprie opere sono state GIA’ rimosse dai propri natali e sono in dirittura d’arrivo nelle belle sale di Via Castiglioni 8, buono a sapersi.

Il mancato avviso di sequestro degli elaborati desta un’accesa ondata di protesta, riportando in auge il non congruo atteggiamento che “gli adepti della finanza” manifestano nei confronti degli artisti di strada. Da che parte pende la bilancia morale? L’opera dei street artists & writers è oltraggio e vandalismo verso le città storiche solo fino a quando non diventa abbastanza rinomate da far si che qualcuno paghi per visionarla? Un dilemma.

A quasi due mesi da quello che definiremo l’oltraggio, il tema della street art ritorna con violenza ad invadere il contesto cittadino bolognese, forse, con una soluzione al problema o, forse, con un’ennesima aggravante ( il bello delle iniziative culturali è sempre da dove vengono guardate ).

Dal 1 al 8 Maggio duemilasedici si è tenuto a Bologna il CHEAP streetposter art festival, iniziativa promossa da un’associazione indipendente e patrocinata dal comune. Un festival che si pone l’obiettivo di incanalare la street art nel flusso di ricerca di nuovi fattori di riqualificazione urbana “leggera”, e di concedere una possibilità di visibilità a giovani artisti, grafici e fotografi, mettendo a disposizione della contemporaneità spazi dismessi ed ex tabelle appartenute all’amministrazione disseminate per il centro storico. Un’ iniziativa open air che vorrebbe divenire il giusto mezzo per la promozione degli outsiders del mondo dell’arte, sviluppandosi in due sezioni distinte, se non diametralmente opposte: la prima, definita Guest, consiste nella volontà di selezionare artisti di fama nazionale ed internazione ( non solo dediti alla street art) per commissionare elaborati ad hoc per specifiche porzioni di città. È il caso dell’istallazione di viale Masini, sulla muratura perimetrale dell’autostazione di Bologna, da anni fulcro del progetto, e quest’anno immolata all’opera di 2501, Jacopo Ceccarelli per l’anagrafe. Negative spaces è il nome dell’intervento, nella quale le 43 bacheche direttamente adiacenti ad una delle strade più trafficate della città, sono divenute sede di altrettanti poster grafica. Pennellate di colore nero ottenute parallele e volutamente discontinue sono andate a creare una rievocazione della negatività dell’ambiente architettonico, e in linea con i dettami di un progetto limiteless, sono esondate dal perimetro espositivo, andando a popolare l’intonaco sottostante. Un’opera completa con un minimo spazio di fruibilità (risultando visibile solamente dalla guida della propria vettura o dell’esile marciapiede limitrofo che non ne permette la percezione di totalità).

autostazione

La volontà di frattura della monotonia architettonica o del più romantico grigiore cittadino risulta evidente anche nell’opera di SBAGLIATO, artista che in precedenza aveva già stremato il passaggio romano con le sue reinterpretazione del trompe l’oeil. I visitatori risultano disorientati dalla riproposizione fedele di alcune opere architettoniche, bidimensionalizzate e riproposte in contesti decisamente più periferici. Monumentali accessi a segreti e inaccessibili giardini sono comparsi in una notte sull’Istituto Aldini Valeriani Sirani  in via dell’Arcoveggio, umile e anonima scuola superiore della città.

Proposte, quelle dedicate a nomi già affermati, che realmente partono dal marcio presente sul territorio, concedendogli un’occasione.

Call for artists è il nome della seconda sezione del progetto, consistente in un concorso aperto caratterizzato “esclusivamente” sulla pertinenza ad una linea tematica, al mondo del monocromo e al formato 100x70cm. Interessante che in seguito ai dettami appena citati, il tema prediletto per Cheap 2016 sia proprio il superamento del concetto di LIMITE, da intendersi come “confine geografico, livello massimo al di sopra o al di sotto del quale si praticano azioni, si vivono emozioni, si innalzano ostacoli e si costruiscono possibilità di cambiamento”, citando la pagina ufficiale del festival. Terminata la selezione di 300 artisti, le 300 opere vanno a comporre la massa critica da disporre nelle ex bacheche comunali, in una disposizione lasciata principalmente alla volontà di terzi. Il format e la limitazione cromatica permettono un’immediata visibilità e riconoscibilità, come a suggerire un percorso che parte dalla Stazione di Bologna fino a Piazza Maggiore. Un tracciato fisico in cui sfortunatamente non coesiste uno sviluppo curatoriale o un evidente e inattaccabile legame con il contesto, andandosi piuttosto a comporre come unicum visivo.

Non tenendo conto della imperfezioni che si manifestano nel momento dell’affissione, frutto certamente di una mancata organizzazione, ma ancor più di una comprensibile difficoltà di conciliare le volontà personali di 300 artisti differenti, ciò che la Call trascura fortemente è forse l’intento che l’iniziativa stessa si prefissa: La riqualificazione di una piccola porzione di città a partire da opere puntiformi, un reciproco processo di accrescimento e miglioramento tra opera e supporto, esteso poi a fronte stradale e ancor più a contesto cittadino. L’impossibilità di incrementare questa dipendenza positiva tra poster e ambiente è causata dalla necessità di selezionare in precedenza le opere e di ponderarle solo successivamente in base a dove saranno esposte. Il risultato è quindi una coerenza grafica e tematica di minor importanza rispetto all’intento rigenerativo. Ogni pratica da strada, dalle più comuni tags delle crew al muralismo di Banksy , nasce in base all’osservazione e alla comprensione di uno spazio su cui si va ad agire quasi direttamente, quasi come una contemporanea action painting da marciapiede. È necessario ascoltare le dinamiche degli spazi aperti e questo non risulta possibile all’interno di quella che alla fine si limita ad essere una guerra a colpi di Photoshop sulle scrivanie di individui differenti.

Il risultato finale dell’iniziativa è certamente positivo nella sua concezione di insieme e le idee che hanno dato vita al progetto sono certamente di rara nobiltà. L’investimento per il futuro deve quindi esclusivamente puntare ad un miglioramento metodologico da attuarsi nell’intervallo di tempo tra la prima linea e l’ultima passata di colla.

Cheap festival è giunto a termine settimane fa, ma i segni del suo passaggio saranno esposti alle intemperie, all’afa estiva e  forse fino alla prossima neve sulle strade bolognesi. Segni discreti di una città in cerca di autoaffermazione e rinnovamento che non mirano alla permanenza, ma che attraverso la limitatezza del proprio soggiorno permettono nuovi scorci su un futuro volutamente più effimero dei centri storici italiani.

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