Bologna

Coop Alleanza 3.0 aggrappata alla speranza che i soci non chiudano i libretti

15 Agosto 2018

Il recente round di bilanci semestrali ha reso evidente l’effetto dell’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato e dei corrispondenti spread sui titoli di stato tedeschi verificatosi nel primo semestre. Così, la prima banca italiana – Intesa San Paolo – ha annunciato un effetto negativo di 35 punti base (circa 1 miliardo di euro) sul proprio patrimonio di vigilanza (cd. Core Tier 1) mentre la prima assicurazione italiana – Generali – registra un abbattimento del patrimonio di 1,33 miliardi per lo stesso motivo. Chiunque si trovi a gestire un portafoglio obbligazionario è alle prese con significative minusvalenze legate all’aumento dei rendimenti verificatosi sul mercato da fine 2017 a fine giugno 2018. Il rendimento del BTP a 2 anni è salito da -0,13% a 0,83% (+0,86%), quello a cinque anni da 0,73% a 1,73% (+1,00%)e quello a dieci anni da 2% a 2,68% (+0,68%). Per le obbligazioni emesse dalle banche – a loro volta zeppe di titoli di Stato in portafoglio – la musica non cambia: ad esempio le obbligazioni non subordinate di Banca Intesa rendevano lo 0,80% alla fine dell’anno scorso e l’1,80% a fine giugno.
L’aumento dei rendimenti ha un effetto negativo sui prezzi delle obbligazioni: più il rendimento sale e più il prezzo del titolo scende per compensare la maggiore remunerazione che il mercato chiede per acquistare il titolo, ovvero i flussi cedolari futuri vengono scontati con un rendimento maggiore.
Pare difficile che in futuro i rendimenti possano scendere e tornare ai livelli eccezionalmente bassi di fine 2017, se non altro perché da settembre in poi la BCE cesserà il programma di Quantitative Easing e gli acquisti di obbligazioni sul mercato secondario, un fattore che drenerà liquidità dai mercati provocando una inevitabile spinta al rialzo dei rendimenti. Si porrà quindi anche il problema del da farsi per il secondo semestre: ridurre il portafoglio realizzando qualche perdita o mantenere le posizioni nella speranza che i rendimenti possano tornare a scendere, ma col rischio di ampliare le perdite rispetto ai livelli di fine giugno?
Chi si trova alle prese con queste decisioni non sono solo gli intermediari finanziari come banche o assicurazioni, ma tutti quei soggetti che gestiscono importanti portafogli di attività finanziarie dai quali ricavano parte dei loro ricavi. Come ad esempio la Coop Alleanza 3.0, la più grande fra le cooperative di consumatori del sistema Legacoop.

Il caso Coop Alleanza 3.0

A fine 2017 Coop Alleanza 3.0 deteneva in portafoglio 3,2 miliardi di attività finanziarie tra titoli di Stato, obbligazioni finanziarie e corporate, certificati e polizze assicurative. Il valore, in calo dai 3,6 miliardi dell’anno precedente, è ancor più significativo se rapportato alle altre grandezze patrimoniali: 37% del totale dell’attivo e 140% del patrimonio netto. In altre parole, la Coop utilizza l’intero patrimonio dei soci più una parte del debito per investire in attività finanziarie. Sono numeri più simili a quelli di una banca che a quelli di un operatore della grande distribuzione: per fare un confronto, il rapporto tra attività finanziarie e patrimonio netto è pari a 220% nel caso della Banca Popolare dell’Emilia, all’1,5% nel caso di Conad e pari a zero nel caso di Esselunga (che non detiene attività finanziarie).
È noto che la Coop, affidatasi di recente a un manager, Paolo Alemagna, proveniente da Obi, ha la necessità di mantenere una elevata leva finanziaria per raddrizzare i risultati di bilancio. Già a fine 2016 il risultato della gestione industriale (vendite meno costo dei fattori della produzione, dalle merci, alla forza lavoro, agli immobili) era negativo per 94,6 milioni ed è stato compensato – seppur di poco – da un risultato della gestione finanziaria positivo per 98,7 milioni. A fine 2017 le cose sono andate anche peggio, con una perdita netta di bilancio pari a 37 milioni frutto di un risultato negativo di 142 milioni sulla gestione industriale (la vendita di prodotti sugli scaffali) che la gestione finanziaria, in utile di 111 milioni, è riuscita a compensare solo in parte.
E per quest’anno come si metteranno le cose? C’è da augurarsi che alle promesse del presidente Adriano Turrini sui frutti degli investimenti effettuati nel 2017 e della ristrutturazione della rete di vendita seguano i fatti. Perché quest’anno – a meno di sofisticati equilibrismi contabili – difficilmente la gestione finanziaria potrà dare un grande contributo; anzi, c’è da sperare che non porti in dote delle perdite.
Sulla base della situazione di fine 2017 a bocce ferme, nell’ipotesi che la Coop nel primo semestre non abbia modificato in modo sostanziale la consistenza del portafoglio titoli, è possibile stimare al 30 giugno un impatto negativo del rialzo dei rendimenti sul portafoglio pari a 65 milioni di euro ca. per le sole componenti obbligazioni e titoli di Stato che al 31 dicembre 2017 ammontavano a poco più di 1,2 miliardi.
Di seguito si riporta la composizione del portafoglio di Coop e la sua movimentazione nel corso del 2017, così come risultante dal bilancio 2017.

Come anticipato, il portafoglio complessivo al 31/12/2017 ammontava a 3,2 miliardi ed è difficile pensare che l’effetto di un rialzo dei rendimenti possa limitarsi solo ai titoli di Stato e alle obbligazioni. Ad esempio, Coop detiene in portafoglio anche 760 milioni di polizze, strumenti la cui componente finanziaria è spesso preponderante rispetto a quella assicurativa e il rendimento è agganciato a quello di obbligazioni che fungono da sottostante. Come riporta la nota integrativa, l’incremento di questa tipologia di investimento è dovuto principalmente alle opportunità di rendimento, superori a quelle dei titoli di Stato. Al prezzo, però, di penali in caso di recesso anticipato.
Nella tabella seguente è riportata la scadenza media delle principali categorie di attività finanziarie come indicate nella nota integrativa al bilancio:

E’ curioso notare che Coop abbia smobilizzato 270 milioni di obbligazioni con scadenza media a sei anni ed abbia investito lo stesso importo in polizze a 80 anni: è abbastanza ovvio che un investimento “matusalemme” possa offrire un rendimento maggiore di uno a breve/media scadenza, se non altro per il maggior rischio finanziario e creditizio che comporta. Di certo, ben più ampio è l’effetto di una variazione anche minima dei rendimenti su una scadenza così lunga, per quanto l’assenza di un mercato di riferimento per la quotazione di questi strumenti possa permettere di non fare emergere minusvalenze potenziali anche rilevanti. Almeno fino a quando l’investimento non dovesse essere liquidato prima della scadenza, magari per un fabbisogno di liquidità
Esemplificando, ai livelli di mercato di fine 2017 una variazione di rendimento di 10 centesimi si traduce in una variazione di prezzo dello 0,49% su un titolo a 5 anni e dell’11% su un titolo a 80 anni.
Nella tabella seguente sono riepilogati gli effetti economici sulle principali componenti del portafoglio titoli di fine 2017 in seguito a diverse ipotesi di rialzo dei rendimenti.

Ne consegue che, nell’ipotesi in cui i rendimenti rimangano stabili da qui a fine anno, senza ulteriori rialzi, Coop potrebbe registrare minusvalenze (esplicite o implicite) sul proprio portafoglio per circa 160/170 milioni, dei quali 65 ca. sulla componente obbligazionaria.
Alle considerazioni di tipo economico si aggiungono gli aspetti patrimoniali e finanziari legati alla struttura del bilancio di Coop, che si può riassumere nello schema seguente:

La voce “immobilizzazioni finanziarie” comprende le partecipazioni (2,2 miliardi), i crediti (400 mln) e gli “altri titoli”, rappresentati da fondi di investimento e pari a 430 milioni. Ne consegue che il prestito sociale – pari a 3,9 miliardi – finanzia quasi integralmente l’attivo finanziario qualora si osservi che il portafoglio più la liquidità assommano a 4,1 miliardi formato da 2,8 (portafoglio libero) + 0,4 (portafoglio immobilizzato) + 0,9 (liquidità).

Tralasciando ogni considerazione sull’effettiva utilità del prestito sociale che sul sito della Coop è definito come “uno strumento utile e conveniente impiegato dalla Cooperativa per sviluppare la propria rete di vendita e offrire nuovi servizi di qualità ai consumatori” vale la pena rilevare il significativo disallineamento (mismatch) tra la struttura dell’attivo e quella del passivo della cooperativa.

Dal lato delle attività le immobilizzazioni pesano per il 48% del totale e il portafoglio finanziario libero, che pesa per un altro 32%, ha una scadenza media di quasi 20 anni. Dal lato del passivo, invece, il patrimonio pesa per il 27% mentre la quota a medio/lungo termine del debito è quasi insignificante e pesa lo 0,4% del passivo. Tutto il resto è coperto dal prestito sociale, che contrattualmente il “socio prestatore” può ritirare in ogni momento, ma che si spera non decida di farlo. Almeno fino a quando potrà.

Giuseppe Leonelli

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