Bologna
Bologna 2 agosto 1980: ritroviamo l’Italia di allora per capire il paese di oggi
In storia i fatti e i dati non solo di contano, ma anche si pesano. Anche per questo i particolari dicono molto e a trascurarli si perdono alcuni aspetti che invece è bene ricordare.
C’è chi pensa che quell’orologio fermo alle 10,25 che sta all’esterno della stazione di Bologna sia guasto e stia così per l’incuria di chi dovrebbe provvedere a ripararlo. E’ un indizio interessante a mio avviso e andrebbe valutato e “pesato”. Ignoro chi oggi parteciperà alla manifestazione per i trentacinque anni della strage della Stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti).
Forse la sentenza che la settimana scorsa a Brescia, a quarantuno anni distanza, ha riconosciuto dei colpevoli per la Strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974), motiverà la partecipazione, ma non ne sono certo. Anche per questo il tema da dibattere intorno alle date memoriali delle stragi per terrorismo (nel caso di Bologna terrorismo nero), quelle che un tempo erano classificate come tappe o momenti della “strategia della tensione”, non credo sia più la memoria. E nemmeno, credo, sia una storia giudiziaria, o la parentesi della commistione tra terrorismo nero, apparati dello Stato, massoneria, malavita organizzata rappresentata dal quindicennio 1969-1984.
Ritengo che il tema sia da una parte che cosa ci raccontiamo della storia italiana e, dall’altra, quando per l’opinione pubblica è nata l’Italia attuale.
Tutto dipende da dove mettiamo quella data e dunque da dove e facciamo partire il timing del nostro tempo. Quello che cade al di qua di quella data ci riguarda nel nostro presente – o almeno crediamo che ci chiami in causa. Quello che cade prima di quella data fa parte di un tempo considerato finito e che spesso non abbiamo interesse o pazienza di guardare.
Lentamente, con gli anni, i luoghi delle stragi del terrorismo sono diventati luoghi muti in cui si danno appuntamento i parenti delle vittime, i superstiti, le istituzioni, ma manca la società civile. Non è solo la conseguenza di una giustizia lenta, così come la solitudine delle vittime e dei loro parenti non dipende dalla stanchezza.
Perché quella storia riprenda a parlare per tutti, occorre ritrovare le storie.
Improvvisamente quelle date e quegli eventi sono venuti meno nella coscienza pubblica.
Non fanno parte delle date memoriali con cui si pensano le vittime del terrorismo, attratto da uno storytelling dove contano le storie individuali e non le morti di gruppo, dove contano i profili biografici che possono costituire degli idealtipi, ma dove la storia dell’individuo comune per emergere ha bisogno di altre forme della narrazione e della condivisione.
Forse in questo caso aiuterebbe un graphic novel dove contano le storie private, e dove, attraverso quelle storie individuali, emergono i tratti della storia complessiva di una società: le speranze, le paure, le passioni, i timori, il linguaggio, i sogni, le sensibilità. In una parola la vita a parte intera.
Quel giorno a Bologna lungo il Binario 1, in quella sala d’aspetto stava un pezzo d’Italia e non solo d’Italia che forse oggi stentiamo persino a pensare che sia esistita.
C’era l’Italia dell’emigrazione interna che tornava a casa per le ferie; c’erano quelli che avevano perso un treno e sul marciapiede del Binario 1 o nella sala di attesa di 2° classe aspettavano un treno; quelli che erano partiti in auto ma l’auto si era rotta e avevano deciso di proseguire lo stesso per le vacanze prendendo un treno.
C’era l’Italia ferroviaria che era un’umanità, un insieme di storie e di vite molto diverse da quelle che oggi usano il treno per muoversi.
C’era soprattutto l’Italia dell’esodo di massa nel primo fine settimana della chiusura estiva delle grandi aziende, anche questa una scena che non sappiamo più guardare o che racconta un paese che oggi stentiamo a riconoscere o che pensiamo sia una testimonianza di “vecchio”.
Per raccontare tutto questo occorrerebbe mettere insieme i mille fili delle storie private delle vite che lì si sono interrotte. Quelle vite, a essere curiosi della vita degli altri senza essere guardoni, racconterebbero moltissimo anche della nostra vita di ora. Ma per farlo occorrerebbe avere curiosità e pensare che quel paese di allora siamo noi, parla del nostro passato prossimo, spesso irrisolto. In quel buco enorme o nella traccia sinuosa di quel muro che testimonia del luogo dello scoppio che tutti vedono passando per il binario 1 della stazione di Bologna Centrale non c’è solo una ferita, o un prima e un dopo, ma c’è un segmento importante di una storia che ci riguarda e che racconta di noi e anche della nostra indifferenza di oggi.
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