Quando Lanzmann filmò lo Stato degli Ebrei
La scomparsa di Claude Lanzmann—avvenuta qualche giorno fa a Parigi—ha riportato all’attenzione del pubblico l’opera del grande intellettuale francese. Se il momento più alto della sua carriera è stato senza dubbio la creazione di Shoah (1985)—il film che più di tutti ha saputo rappresentare sullo schermo la “irrapresentabilità” dello sterminio degli ebrei ad opera dei Nazisti e dei loro collaboratori—, la sua origine va cercata nel primo film di Lanzamann, Pourquoi Israel, un testo fondamentale per capire il lavoro del cineasta, scrittore e giornalista ebreo francese.
Lanzmann impiegò tre anni per completare Pourquoi Israel (Perché Israele), uscito nel 1973: si trattò del suo primo esperimento con la macchina da presa, nel quale già appaiono, come è spesso il caso, tutti i suoi film che seguiranno. Il titolo è scritto senza il punto di domanda: Lanzmann, infatti, non arrivò in Israele per dare una ragione alla sua esistenza e nemmeno per metterla in questione. L’obbiettivo del film era di investigare e rendere visibile la normalità dello Stato d’Israele, normalità che, paradossalmente, Lanzmann considerò anormale in quanto incorporava l’eccezionalità dell’esperienza storica ebraica.
Viaggiando attraverso il paese, Lanzmann incontrò la realtà di Israele e la catturò con la sua macchina da presa. Spostandosi da Nord a Sud, esplorò luoghi e registrò le storie delle persone che li abitavano: i sopravvissuti all’Olocausto, i membri dei kibbutz, gli ebrei orientali al lavoro nel porto di Ashdot o di casa a Dimona, gli ultra-ortodossi, i coloni di Hebron, i laici e i religiosi, gli yekke (gli ebrei di origine tedesca) e la loro nostalgia dell’Europa, i nuovi immigrati dall’Unione Sovietica appena scesi dall’aereo…
Lo stile del film è semplice: girato con una macchina a mano, caratterizzato dall’assenza di una voce narrante e di materiale d’archivio e dall’ampio spazio concesso alla testimonianza orale, con Pourquoi Israel, Lanzmann inaugura quella maniera di raccontare e di girare che impiegherà nel successivo Shoah. Il risultato è un film basato sull’empatia del regista con il soggetto, un film in sincrono con la realtà che cattura. Per il critico cinematografico Serge Toubiana, l’empatia in un regista vuol dire “essere il primo testimone di quello che nasce, di quello che accade”. Dopo aver visto il film, il celebre studioso Gershom Scholem esclamò: “Non ho mai visto una cosa del genere prima d’ora!”. È possibile trovare nelle immagini che compongono Pourquoi Israel un grado di crudezza che connette lo spettatore direttamente a quella parte di realtà che è l’Israele di Lanzmann.
Il film inizia con un fermo immagine di una Stella di Davide gialla, seguita da una sequenza girata allo Yad vaShem. La macchina da presa segue un gruppo di studenti in visita al memoriale dell’Olocausto, soffermandosi sui giovani visi, gli occhi fissi sulle foto che documentano lo sterminio. La Shoah è al centro di Pourquoi Israel: la sua presenza è sentita attraverso l’intero film.
Per Lanzmann, lo Stato d’Israele non può essere considerato come una conseguenza storica della Shoah, un risarcimento che gli stati del mondo concessero agli ebrei, ma ammette che “una relazione causale complessa e profonda collega questi due eventi chiave della storia del Ventesimo secolo”.
Lanzmann, partigiano e sopravvissuto, vede in Israele il momento nella Storia durante il quale, subito dopo la loro quasi totale distruzione, gli ebrei si sono riappropriati della violenza e della forza, e quindi della capacità di potersi difendere. Come Lanzmann scrive nei titoli di apertura di Tsahal, il suo terzo film girato nel 1994: “Senza Tsahal (l’esercito d’Israele), la questione della pace tra Israele e i ex-nemici non sarebbe stata nemmeno sollevata. Israele, infatti, non esisterebbe più”.
L’Israele di Claude Lanzmann è un laboratorio di nation building: questioni fondamentali riguardanti l’essenza dello stato sono continuamente poste. Ci troviamo, infatti, nei primi anni dopo la Guerra dei Sei Giorni, un periodo marcato da profonde riconsiderazioni sul carattere della nazione e i suoi simboli. Chi è ebreo? Quale dovrebbe essere la natura del rapporto Stato-Sinagoga? Come integrare i nuovi immigrati? Qual è il ruolo dell’esercito? Quali i confini dello stato? Queste e altre domande sono inserite in un sistema di immagini che costituisce, per Lanzmann, il quotidiano d’Israele: prigioni ebraiche con detenuti e secondini ebrei, supermercati ebraici che vendono prodotti ebraici a turisti ebrei, nuove città ebraiche costruite nel deserto con grande sofferenza da ebrei del Nord Africa, poliziotti ebrei contro manifestanti ebrei, un esercito ebraico, comunità ebraiche, Gerusalemme ebraica (centro spirituale del popolo ebraico), la Diaspora ebraica (evocata dalle struggenti melodie spartachiste di Gad Granach) e l’occupazione ebraica a Gaza e nei Territori. Davanti a questa totalità ebraica, Lanzmann non può non essere colpito e continuare a meravigliarsi del carattere ontologico dello stato e celebrarne l’effetto liberatorio che ha per lui, ebreo diasporico che aveva vissuto la guerra e la persecuzione.
Ma è la Shoah che rimane al centro del film, l’evento al quale le immagini rimandano di continuo. Pourquoi Israel, infatti, enuncia la centralità della memoria dell’Olocausto nella costruzione dell’identità ebraica.
Con il suo primo film, Lanzmann costruisce un testo che celebra la fondazione d’Israele collegandola alla ricostruzione della civiltà ebraica dopo la guerra. La creazione d’Israele, conferendo agli ebrei il controllo sul proprio destino, sancisce “l’entrata degli ebrei nella Storia” (Shmuel Eisenstadt).
Dopo aver visto il film, Aluf Hareven, il direttore generale del Ministero degli Esteri d’Israele, convocò Lanzmann per proporgli di girare un film sull’Olocausto: “Non esiste un film sulla Shoah, un film che renda la gravità di quello che è accaduto. Nessun film che mostri l’Olocausto dal nostro punto di vista, quello degli ebrei. Non dobbiamo fare un film sulla Shoah ma un film che sia la Shoah. Noi pensiamo che tu sia l’unica persona che possa fare questo film”. E fu così che Lanzmann continuò a filmare la Shoah.
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