“Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare”, parola di Mario Vitale
Lui è Mario Vitale e di professione fa il regista. Chissà quante volte si sarà sentito ripetere che il lavoro al giorno d’oggi non c’è e che bisogna inventarselo, chissà quante volte è toccato ad ognuno di noi di sentir risuonare questa frase a mo’ di consolazione, di consiglio, o semplicemente tra le chiacchiere al bar, per le strade. È la rassegnazione tipica dei nostri tempi quella che Vitale fotografa nel suo corto, i cui protagonisti, Giovanni e Umberto (interpretati rispettivamente dai talentuosi Francesco Aiello e Fabrizio Ferracane, quest’ultimo già attore di punta in “Anime nere”), conducono due vite parallele, ma tenute insieme da un unico legame, la capacità di sapersi adattare alle vicissitudini della vita e inventarsi un lavoro. Giovanni, con un passato da artista, per rimanere a galla decide di portare avanti la tradizione di famiglia facendo il falegname, consapevole che quella presa non è la strada che voleva percorrere; Umberto è un uomo d’affari senza scrupoli che, per accrescere i suoi guadagni, estorce denaro a persone disperate. Il lavoro di Vitale è giunto a vette cinematografiche altissime, conquistando la semifinale del Los Angeles Cine-Fest, il cui vincitore sarà decretato il prossimo mese di gennaio. Per intanto, alla vigilia della presentazione del corto per la prima volta nella città natale dell’autore, Lamezia Terme, il prossimo 23 novembre, scopriamo qualcosa in più su questo e i suoi prossimi progetti.
“Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare” è un corto che ci consegna amare riflessioni, ma che forse ci insegna anche ad accettare con serenità che le cose nella vita non vadano sempre come abbiamo sperato. Quanta disperazione e quanta rassegnazione invece c’è nei tuoi personaggi?
I personaggi del film, soprattutto i due protagonisti, in un certo senso si sono dovuti adattare ad alcune situazioni che hanno condizionato la loro vita. Questo li porta sicuramente a essere personaggi disperati o rassegnati, ma è una rassegnazione positiva che, nel caso di uno dei due protagonisti, fa prendere atto dello stato delle cose per poter iniziare ad andare avanti, a “costruire”.
Potremmo dire che ciò che accade nel corto sia una possibile conseguenza del “tuffarsi”, ovvero del tuo precedente lavoro, “Il Tuffo”?
Sì, è un’affermazione corretta. Nel mio corto precedente “Il Tuffo” ho cercato di puntare il focus su cosa significa mettersi in gioco, entrare a braccia aperte nella vita. Ho cercato di raccontare il momento in cui bisogna “tuffarsi” per vivere. Lavorando a “Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare” poi mi sono reso conto che stavo affrontando lo step successivo: cosa succede una volta che ci si è tuffati, quali sono le conseguenze e i risvolti a cui la vita ti porta.
Un pezzo di Calabria in semifinale al prestigioso “Los Angeles Cine-Fest”. Ci racconti che emozione è stata ricevere questa comunicazione?
La mail del festival mi è arrivata di notte, ero andato a dormire da poco quando ho sentito il suono della vibrazione del telefono. Quando l’ho vista – naturalmente era scritta in inglese – ho dovuto leggerla diverse volte per essere sicuro di aver capito bene. Poi non ti nascondo che sono andato a dormire davvero sereno.
Da cosa trai ispirazione per le tue intuizioni migliori?
Credo che le idee per i miei lavori vengano sempre da qualcosa che ho visto, sentito, sognato, e che poi ho elaborato inconsciamente. A volte basta poco, un’immagine che ti si presenta davanti e che ti scaturisce un flusso di pensieri o una conversazione con un amico che ti accende una lampadina da qualche parte nel cervello.
Il lavoro al giorno d’oggi dobbiamo inventarcelo un po’ tutti, ma io credo che il tuo sia più che altro un espediente per giungere ad una riflessione più ampia sulla condizione degli artisti e la difficoltà che quotidianamente, e indiscutibilmente, più di ogni altra categoria, essi incontrano nel potersi assicurare una vita dignitosa, spesso anche solo per poter affermare e far comprendere ai più che si tratti di un lavoro a tutti gli effetti. Credi che si tratti di un problema culturale?
Viviamo in un mondo in cui l’Arte non conta quasi più niente, viene considerata qualcosa di accessorio, non necessario. Il ruolo dell’Artista negli anni è stato sempre più sminuito, e se in passato il pensiero di un artista era tenuto in considerazione perché ritenuto autorevole, oggi si prova quasi un senso di vergogna quando si dice “sono un artista”. Questo è sicuramente un problema culturale e sociale che nasce dal fatto che ormai il valore di qualunque cosa, anche di un lavoro, è misurato in base al suo potenziale economico.
A proposito di ritorno economico, cosa diresti ad un giovane regista calabrese esordiente? Gli consiglieresti mai di cambiare mestiere?
Non sono nella posizione di poter dare consigli, ma posso dire semplicemente di continuare sempre a credere in quello che si fa anche quando le cose non vanno come vorresti e non si trova un senso o una motivazione ad andare avanti. Dico questo perché è quello che ripeto a me stesso ogni giorno.
Qualche anticipazione sui tuoi nuovi progetti?
Al momento mi sto dedicando alla promozione di “Al giorno d’oggi” che la distribuzione indipendente Associak sta distribuendo nei maggiori festival cinematografici. Contemporaneamente sono a lavoro su diversi progetti di cortometraggio: insieme a Francesco Governa e Saverio Tavano stiamo scrivendo un lungometraggio che speriamo possa vedere la luce nel più breve tempo possibile.
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