Le conseguenze della visita di Nancy Pelosi a Taiwan
Il 10 Agosto la Cina ha annunciato di aver concluso “con successo” le sue esercitazioni attorno a Taiwan, in cui è stata ripetutamente violata la linea mediana. Ha aggiunto che d’ora in poi saranno condotti “pattugliamenti regolari”.
Era tutt’altro che difficile comprendere che la visita a Taiwan della speaker della Camera statunitense, Nancy Pelosi, sarebbe stata un clamoroso autogol, come in effetti è stata, molto probabilmente ben al di là di ciò che si aspettavano gli americani, che ancora una volta si distinguono per una scarsa lungimiranza, molto preoccupante, in politica estera.
In questo articolo riporto le conseguenze della visita di Pelosi e faccio alcune osservazioni a riguardo. Gli accadimenti che sono seguiti alla visita di Pelosi non sono elencati in ordine di gravità e danni subiti (sia in concreto che potenzialmente, sia da Taiwan, che dagli Stati Uniti, che dagli altri partner commerciali di Taiwan, dagli altri “paesi occidentali” e da tanti altri paesi al mondo, dai mercati asiatici e internazionali, ecc.):
1) Nelle ore precedenti e successive alla visita di Pelosi, i mercati asiatici in primo luogo, ma anche quelli “occidentali”, hanno registrato dei cali relativamente importanti, anche se il fenomeno è durato poco e poi si sono ripresi, nonostante la dura e protratta reazione di Pechino.
2) Come è noto, la Cina ha sospeso verso Taiwan l’export di sabbia usata per la produzione di semiconduttori, a loro volta usati per la fabbricazione di microchip, di cui Taiwan è il maggiore esportatore mondiale. Come spesso affermato, Taiwan produrrebbe addirittura circa i 2/3 dei microchip utilizzati in tutto il mondo!
Bloccando l’export di materie prime indirizzate a un campo così fondamentale, e di cui Taiwan detiene quasi un monopolio, la Cina dimostra di poter tenere in ostaggio il mondo intero, soprattutto se si aggiunge a tale sanzione il blocco aereo-navale che la Cina ha messo in atto verso Taiwan per oltre una settimana.
Non dimentichiamoci che proprio a causa della scarsità di materie prime a livello mondiale, il settore – vitale – dei semiconduttori e dei chip è già entrato in crisi da tempo (prima ancora del conflitto russo-ucraino), come testimoniato dai ritardi ormai costanti nelle consegne di automobili, elettrodomestici, computer, telefoni e altri dispositivi elettronici (sensori, ecc.).
Proprio quattro giorni fa Biden ha firmato il “Chip Act”, che incentiva la produzione di chips negli Stati Uniti. Il provvedimento prevede più di 50 miliardi di dollari di incentivi alle manifatture per la produzione di microchip. Un passo in avanti su questo fronte starebbe per farlo anche il nostro paese, con l’approssimarsi dell’accordo che dovrebbe vedere la nota multinazionale americana “Intel” creare uno stabilimento in Italia per la produzione di semiconduttori e chip. L’investimento è parte di un grande piano europeo, l’ “European Chips Act” – presentato ufficialmente già a Febbraio – con cui l’Unione Europea si propone di raggiungere entro il 2030 l’obbiettivo di arrivare alla soglia del 20% della produzione mondiale di chip.
Insomma, USA ed Europa cercano di riappropriarsi della leadership in questo campo, perduta in favore di Taiwan, Cina e Corea del Sud (poco più di 30 anni fa, USA ed Europa erano i primi esportatori mondiali di semiconduttori). Certamente, tale scelta strategica è dovuta anche alla crisi che si profila tra Taiwan e Cina, ma che gli Stati Uniti, con la visita di Pelosi, hanno contribuito ad esacerbare e accelerare.
3) Per quasi 10 giorni, con le sue esercitazioni militari, che hanno visto l’accerchiamento navale dell’isola, e addirittura il lancio di parecchi missili, caduti anche nelle acque del Giappone, a dispetto delle frasi di Pelosi: “Non permetteremo che Taiwan venga isolata”, la Cina ha di fatto mostrato che può isolare Taiwan quando vuole, con l’uso della forza, pur non aggredendo direttamente l’isola.
Come sappiamo, tali azioni hanno infatti avuto conseguenze molto concrete: voli verso l’isola sospesi, difficoltà nell’import-export dell’isola, ecc.
Vale quindi la pena ribadire che, al di là dei semiconduttori, un embargo imposto militarmente dalla Cina avrebbe conseguenze catastrofiche non solo per Taiwan, ma per tutto il mondo, se è vero come è vero che in quelle acque passano il 50% delle navi container e l’88% delle maggiori navi per tonnellaggio al mondo (fonte “Bloomberg”).
4) Un’altra ritorsione intrapresa dalla Cina a causa della visita di Pelosi è stata quella di sospendere temporaneamente la cooperazione con gli USA su dossier importanti come clima e difesa. Inutile dire che il mondo ha bisogno della Cina per affrontare alcune delle sfide più importanti del ventunesimo secolo, come quella del riscaldamento globale, visto che la Cina è il maggior inquinatore al mondo. Tali azioni vanno quindi ad aggiungersi a quelle tese a dissuadere gli USA e l’occidente a intraprendere un braccio di ferro su Taiwan.
5) Nei giorni scorsi il Ministro degli Esteri cinese ha annunciato che la Cina rafforzerà la sua cooperazione con la Russia: non è difficile comprendere che la mossa americana non fa che rafforzare ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, il sodalizio tra Mosca e Pechino.
Finora sul conflitto russo-ucraino la Cina ha di fatto preso le parti della Russia, sebbene abbia affermato fin dall’inizio che non poteva essere violata l’integrità territoriale dell’Ucraina (quindi, da questo punto di vista, almeno a parole, prendendo le parti dell’Ucraina) e sebbene abbia auspicato fin dal principio una cessazione delle ostilità. Allo stesso tempo però ha detto di comprendere le ragioni della Russia e, in accordo alla retorica anti-Nato e anti-occidente, ha affermato che la colpa di quanto stava accadendo era degli Stati Uniti (e non della Russia che invadeva uno stato sovrano). A ogni modo, non c’è mai stata una condanna verbale della Cina nei confronti della Russia riguardo la guerra in Ucraina.
Concretamente, che è ciò che più conta, la Cina non solo non applica sanzioni nei confronti della Russia, ma si dissocia pubblicamente dalla politica delle sanzioni e chiede che siano revocate. Di più: come è noto sta sostenendo l’economia russa in difficoltà acquistando ciò che i russi non riescono più a vendere in altre parti del mondo, a partire dal petrolio, che assieme all’India e ad altri paesi acquista dalla Russia a prezzi di riguardo, stracciati.
Finanziando la Russia, finanzia indirettamente la guerra in Ucraina. Ma tale politica è chiaramente funzionale agli interessi cinesi, sotto molteplici aspetti: oltre al fatto ovvio di acquistare beni a prezzi scontati (cosa di cui si avvantaggia anche la Turchia, che non vede di buon occhio l’invasione russa dell’Ucraina), l’instabilità politica internazionale attuale gioca a suo favore nell’ottica di riappropriarsi di Taiwan: addirittura questo potrebbe essere il momento migliore per la Cina di attaccare Taiwan, visto che gli USA sono impegnati indirettamente sul fronte Ucraina, a cui hanno già destinato ben 8 miliardi di dollari in aiuti militari! Senza contare le tante decine di miliardi di dollari in aiuti umanitari. Chiaramente gli USA non sarebbero in grado di sostenere finanziariamente un doppio impegno bellico, visto che fanno già fatica con l’Ucraina… quindi se la Cina attaccasse adesso, sfruttando come alibi la visita di Pelosi, ci sarebbero due scenari possibili: o la possibilità di una terza guerra mondiale e nucleare, con i paesi occidentali chiamati a raccolta contro le dittature guerrafondaie di Russia e Cina – scenario che chiaramente nessuno auspica, a partire naturalmente dalle stesse leadership politiche dei paesi occidentali – oppure, molto più probabilmente, assisteremmo impotenti e attoniti a un’altra guerra ingiusta, avendo come strumenti disponibili solo quelli già usati per l’Ucraina: sanzioni e invio di armi.
A riguardo va aggiunto che, dopo la fine delle impressionanti e protratte esercitazioni militari della Cina attorno a Taiwan, gli USA hanno cominciato le loro esercitazioni militari nello stretto di Taiwan, dando a loro volta un segnale forte alla Cina. Nei giorni precedenti Taiwan aveva annunciato che avrebbe risposto alle operazioni cinesi con sue proprie esercitazioni, ma a quanto pare gli USA hanno voluto far intendere che Taiwan non resterebbe da sola di fronte al rischio di un’aggressione armata, per quanto a mio modesto avviso ciò sia abbastanza dubitabile.
6) La seguente notizia invece ha avuto scarsa eco: otto giorni fa, a cinque giorni dalla visita di Pelosi, è stato trovato morto in una stanza d’albergo a Taiwan il vice capo dell’unità di ricerca e sviluppo del Ministero della Difesa di Taiwan! 57 anni, si occupava della produzione missilistica e stava lavorando al raddoppio della capacità di produzione annuale di missili (!) Tuttavia, sebbene ulteriori indagini siano ancora in corso, pare sia morto d’infarto e la famiglia ha confermato che l’uomo aveva problemi cardiaci. Inoltre non sono state trovate tracce di intrusione nella sua stanza d’hotel.
7) Semplicemente, la visita di Pelosi è stata inutile e controproducente insieme, perché si è trattato di un incontro meramente simbolico, che, almeno apparentemente, non ha avuto obbiettivi concreti – Taiwan e USA sono già da molto tempo stretti partner commerciali; inoltre gli USA vendono anche da tempo armi a Taiwan.
I risultati di questa visita sembrano interamente negativi: è stato fornito un alibi alla Cina per fare esercitazioni militari su larga scala, in sostanza prove di invasione, che mai avrebbe potuto fare senza un simile pretesto. L’argomento degli USA e della propaganda occidentale, teso per questo a discolpare gli Stati Uniti: “l’entità di tali esercitazioni non si programma in un giorno e queste erano già pronte da molto tempo”, non funziona, perché ciò non toglie che la visita di Pelosi ha offerto l’assist, senza il quale tali manovre sarebbero state impossibili.
Inoltre gli USA nei giorni precedenti, anche durante il colloquio telefonico tra Biden e Xi Jinping, erano stati informati dell’entità e anche della tipologia di reazione che sarebbe scaturita da una visita a Taiwan della Speaker della Camera americana, per cui gli americani hanno deciso di fronteggiare le conseguenze, pur conoscendole perfettamente.
8) In conclusione la visita di Pelosi ha fornito il pretesto per creare un precedente importante: esercitazioni militari ragguardevoli per la loro imponenza, a cui, come già esposto all’inizio, seguiranno d’ora in poi esercitazioni regolari. In sostanza la visita di Pelosi è servita solo ad acuire la crisi tra Cina e Taiwan e ad imporvi una netta accelerazione.
Cosa hanno da guadagnare gli Stati Uniti da tutto questo? – È una domanda legittima da porsi, anche se spesso è posta in modo pregiudiziale, dando per scontato che ci sia sempre un disegno preciso dietro, in accordo al bias complottista molto comune al giorno d’oggi.
Economisti cinesi ritengono che gli USA avrebbero interesse a destabilizzare il continente asiatico, per mettere incertezza in quelle aree e spingere capitali verso di sé.
Personalmente, diversamente da possibili letture complottiste, sono incline a credere che si sia trattato semplicemente di un clamoroso errore da parte di una donna anziana abbastanza idealista e mossa da un po’ di arroganza e sfrontatezza tipiche americane, almeno in politica estera… una scelta infelice il cui ammonimento: “Non consentiremo che Taiwan resti isolata”, si è ritorto contro in meno di 24 ore. Perché Biden non l’ha dissuasa in maniera più decisa, dopo aver dichiarato il mese scorso che il Pentagono riteneva che non sarebbe stata una buona idea in questo periodo storico? Si è trattato solo di rispetto personale e istituzionale? Possibile che si lasci che la scelta di un singolo incida così pesantemente su dinamiche di sicurezza internazionale, oltre che geopolitiche ed economiche, che peraltro non riguardano e coinvolgono soltanto gli USA, ma tanti altri paesi, a partire proprio da Taiwan, ovviamente il paese più esposto e messo a rischio, anche se a parole lo si vorrebbe aiutare?
Difficile trovare risposta a queste domande.
Il parere di chi scrive è che il modo migliore di difendere Taiwan era quello di continuare con la politica della cosiddetta “ambiguità strategica”: ossia quella politica ambivalente per cui gli USA, come la gran parte dei paesi del mondo, non riconoscono Taiwan come Stato indipendente e sostengono il principio (ideato cinquant’anni fa per Hong Kong) di “una Cina, due sistemi”, ma allo stesso tempo sono partner commerciali di Taiwan (come tanti altri paesi, tra cui la Cina stessa ovviamente) e gli vendono pure armi alla luce del sole. La Cina in tutti questi anni ha tollerato questa condotta, sebbene abbia protestato per le vendite di armi degli americani, ma (forse anche “stranamente”) non in modo veemente e risoluto come ha fatto a seguito della visita di Pelosi.
Cambiare atteggiamento quindi è una scelta molto rischiosa che, come si è appurato esaminando le conseguenze della visita di Pelosi, non fa che aumentare la possibilità di un conflitto armato e di accelerarne i tempi. E, come è stato detto, ciò accade nel periodo meno propizio: ossia in presenza di una grande guerra in corso che vede gli Stati Uniti impegnati a sostenere la parte offesa, seppur non entrando direttamente nel conflitto.
Lo stesso discorso sarebbe potuto valere per l’Ucraina: è stato fatto abbastanza per evitare la guerra? Si sarebbe potuta evitare stabilendo un approccio diverso con la Russia? – Sebbene l’operato quotidiano ignobile del regime russo e le sue continue menzogne dimostrano che si tratti di un interlocutore difficile e prepotente, con cui è molto arduo scendere a patti giusti e ragionevoli.
L’opinione di chi scrive è che, sì, si sarebbe potuto fare molto di più e si sarebbe dovuto mantenere un atteggiamento molto diverso, sebbene in tal caso le colpe ricadano più sull’Ucraina e la sua leadership che sui suoi partner occidentali.
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