De Rosa Cicli, 70 anni di storia, da piccola bottega a icona del ciclismo
Ho sempre ammirato le biciclette De Rosa. Mi piacevano anche quando non andavo in bicicletta: mi piaceva l’oggetto, il nome, anzi il cognome con la particella staccata che evoca un senso di nobiltà, di classe, di cose belle arricchite dal logo, un cuore naturalmente rosso. Inoltre, La De Rosa cicli vive e prospera a Cusano Milanino, dove sono cresciuto e dove ora crescono i miei figli. L’interesse iniziale già alto è aumentato nel tempo, visto che da 10 anni a questa parte cerco di andare in bici a livello esclusivamente amatoriale, con discutibili risultati.
Fino a un anno fa non conoscevo nessuno della famiglia, poi sono diventato, diciamo, “compagno di edicola” di Cristiano De Rosa. Il caso ha fatto sì che ogni mattina alla stessa ora ci si incontrasse nello stesso luogo ad acquistare i quotidiani e a scambiarci le frasi di rito che si usano tra persone educate che si incontrano: “salve”, “buongiorno”, “buona giornata”, “oggi fa freddo”. Questo fino a che l’edicolante amico comune non ci ha presentati ed io non ho perso occasione per chiedere di poter visitare l’azienda.
Non sapevo cosa aspettarmi, non ne ho mai viste altre quindi mi sono immerso nella visita senza pregiudizi e ho visto un luogo altamente tecnologico dove però si respira ancora una vera e propria aria di artigianalità. I telai in carbonio, in acciaio, in alluminio e in titanio, pronti o ancora da verniciare, poi la componentistica per arrivare al prodotto finito, l’officina e lo show room dove sono esposti i gioielli che compongono la gamma completa. Per un appassionato di ciclismo è come entrare in tempio sacro, ma anche chi non ne capisce nulla non può non rimanere colpito dalla bellezza di queste bici, anche solo come oggetti. Non voglio dilungarmi con la mia testimonianza perché qui quella che conta è quella di Cristiano De Rosa, figlio di Ugo, il fondatore tristemente mancato il 28 Marzo scorso proprio nell’anno in cui l’azienda ha compiuto 70 anni, chiedo a Cristiano com’è nata.
“L’azienda è nata il 7 aprile del 1953, fondata da mio padre a Milano in Via della Pila dove è rimasto pochissimo tempo per poi trasferirsi per amore all’età di 19 anni a Cusano Milanino. È nata per volontà di mio padre che correva in bicicletta con pessimi risultati, come il sottoscritto, ma con una grande passione per il mezzo meccanico e l’idea di costruirsi la propria bicicletta. A quel tempo a 19 anni si era ancora minorenni e mio padre non avrebbe mai potuto aprire una propria attività senza la firma di mio nonno sotto forma di tutela. La firma arrivò controvoglia perché il nonno era un capo reparto della Pirelli e sognava per mio padre un posto fisso nella stessa azienda. Dopo qualche contrasto e con la complicità della nonna, mio papà riuscì ad aprire una piccola bottega dove si riparavano le biciclette. Una bottega che noi oggi abbiamo la fortuna di aver ripreso come tributo ai 70 anni della nostra attività in Piazza XXV Aprile a Cusano Milanino. Dopo il trasferimento mio padre iniziò a riparare biciclette e all’epoca per Campari sistemava anche qualche motorino, poi iniziò a costruire con un pò di attrezzatura qualche telaio, prima le famose Grazielle pieghevoli e poi qualche bicicletta sportiva come le “Condorino” che come telaio si avvicinavano molto alle bici da corsa e da lì il passaggio è stato naturale“.
La storia continua, le bici si evolvono chiedo a Cristiano com’è avvenuto il passaggio al ciclismo professionale
“È avvenuto perché mio padre faceva oltre che il costruttore, anche il meccanico. Durante una manifestazione al Vigorelli, gli organizzatori chiedevano l’aiuto di qualche meccanico come supporto ai corridori che arrivavano da fuori. Tra loro c’era Raphaël Géminiani che aveva un guasto meccanico alla bici e mio padre gli offrì una sua bicicletta da pista che aveva in bottega; l’atleta si trovò bene e gli chiese di costruire un paio di biciclette per lui. Mio padre colse l’opportunità e costruì per lui una bici da strada e una da pista. Da lì in poi ci fu il famoso passa parola tra i corridori che lo portò a diventare meccanico della Max Mayer con Antonio Suarez e Soler, tutti corridori che negli anni ’60 manifestavano un buon ciclismo, per poi approdare a qualche squadra italiana e diventare il meccanico e il costruttore di Gianni Motta al quale rimase legato per molti anni. Negli anni ’70 si presentò Eddy Merckx che gli chiese se poteva lavorare per lui.
Non riesco nemmeno ad immaginare cosa significhi per un giovane costruttore dell’epoca che ha iniziato da solo, da zero, l’aver attirato l’attenzione di uno dei più grandi campioni del ciclismo, diventando poi il partner complice di tanti successi.
“Eddy Merckx ha rappresentato tutto per mio padre. Ci sono due categorie di corridori, anzi tre: quelli che non capiscono nulla, quelli che capiscono poco (parlo solo di conoscenza del mezzo meccanico naturalmente, non mi permetto di giudicare altro) e i corridori fuoriclasse, non tanto per i meriti sportivi e le vittorie, ma atleti che hanno la giusta sensibilità e la corretta conoscenza del mezzo meccanico. Merckx per mio padre è stato il più grande atleta che ha avuto come referente tecnico, con lui ha lavorato dal 1973 fino alla fine della sua carriera agonistica nel 1979. La collaborazione tra i due ha favorito la produzione di telai con angolature diverse, la scelta migliore dei componenti per ottenere le vittorie. Merckx ha vinto 525 gare, il corridore più vittorioso al mondo; voleva la perfezione, era maniacale, e ciò ha permesso a mio padre di capire e conoscere ancora di più il mezzo meccanico. È stato un percorso di crescita reciproco con un confronto reale. Merckx è stato un vero pioniere nello sviluppo della bicicletta, prima per quanto riguardava la leggerezza e subito dopo per l’aspetto geometrico delle misure. Se dovessi valutare quanto Eddy Merckx abbia contribuito all’evoluzione della bicicletta in una scala da 1 a 10 metterei un bel 10 più!”
Eddy Merckx e Ugo De Rosa, una coppia che per diversi anni ha rappresentato la storia del ciclismo italiano, il lungo tempo passato insieme tra progetti, bici con nuove geometrie, un’evoluzione pazzesca. Sono avido di aneddoti e particolari e incalzo Cristiano che non si sottrae alla richiesta.
“Io sono nato nel 1963 e Merckx ha iniziato a lavorare con mio padre nel 73 ma ho ancora ben presente, l’ultima settimana di un giro d’Italia, se non ricordo male nel ‘6, dove nonostante avesse sul suo furgone 27 biciclette a lui dedicate chiese a mio padre di costruirgliene altre due per terminare il giro. Mio padre in quella settimana dovette tornare spesso a casa per lavorare di notte e costruire un telaio verniciato alla bene meglio, portarlo pronto per correre alla tappa successiva e sentirsi dire: <<va bene però me ne servirebbe un altro così>>. Capisci bene che in una settimana con sei tappe (un giorno era di riposo) costruire due telai oltre a tutti quelli che aveva a disposizione era qualcosa al di fuori della normalità. Poi i numerosi test svolti insieme, ad esempio quelli con i tecnici della Campagnolo, oppure telai inclinati in un modo particolare con dei perni della scatola del movimento più larghi per far sì che lui potesse avere una maggiore stabilità in discesa. Molte corse si vincono in discesa, lo si è visto anche quest’anno nella Milano-San Remo dove Mathieu van der Poel l’ha stravinta in discesa. Merckx era veramente un maniaco del mezzo; pensa che quando decise di aprire una propria fabbrica di biciclette si rese conto solo in quel momento di quanto fosse maniaco e folle, tanto da chiedere scusa a mio padre per avergli fatto fare cose fuori da ogni norma.”
L’azienda vola, la stretta collaborazione con il campione porta nuova fama e nuovi successi, ma non bisogna fermarsi, il ciclismo corre veloce, si evolve continuamente e De Rosa diventa oramai un brand di successo riconosciuto nelle più importanti competizioni, ma quali sono state le innovazioni e le intuizioni?
“Sicuramente aver letto il mercato e il passaggio tra i diversi metalli dall’acciaio al titanio. Abbiamo capito che con questo nobile materiale potevamo sviluppare un telaio di nuova concezione, non solo più leggero ma anche meccanicamente più performante. Questo negli anni Novanta è stato per noi un passaggio importante per quanto riguarda lo sviluppo e l’evoluzione della bicicletta. Con l’acciaio non c’è mai stata una grande evoluzione, poi alla fine degli anni ’90 abbiamo iniziato a costruire i telai in carbonio fatti su misura con un sistema modulare. Questi sono stati i due passaggi significativi.”
In questi ultimi anni la bicicletta è diventata molto di moda, come si è evoluta la clientela amatoriale?
“C’è maggiore conoscenza. Ci sono due aspetti, quello tecnico in primis. Oggi chi acquista una bicicletta è in grado di farsi una cultura e di conoscere tutti i materiali, e le prestazioni di tutti i componenti dalle ruote alle gomme, dal manubrio alla sella, il cambio ecc. Poi c’è l’aspetto emozionale che conta tantissimo. Negli anni ’80-’90 le bici erano tutte simili, si poteva esteticamente cambiare il colore, ma a parte quello non c’erano altre grandi differenze. Successivamente, la comparsa dell’alluminio ci ha permesso di lavorare sezioni e superfici maggiori. La grande evoluzione però è arrivata con il carbonio che ci ha permesso di esprimere forme e sezioni di dimensioni e pesi diversi che ci ha consentito di fornire la bici giusta per la persona che la deve usare. Un altro aspetto positivo è stata la competizione tra noi produttori di biciclette, la concorrenza ha permesso a tutti noi di sviluppare prodotti di maggiore qualità. Chi oggi acquista oggi una bicicletta si trova davanti un’ampia offerta ed è quindi sicuramente più istruito.”
Il 26 Marzo il triste evento, Ugo De Rosa viene a mancare, 70 anni dopo aver fondato l’azienda, scompare uno dei principali costruttori del panorama ciclistico italiano, aveva 89 anni. Fisicamente presente nella sua azienda, lo ricordo seduto al tavolo dello show room che salutava i visitatori. Durante una riparazione della mia bici Gravel, naturalmente griffata De Rosa, mi disse:
“Ma come mai ha un rapporto così, sulla corona posteriore?”
“Non lo so Sig. Ugo bisognerebbe chiedere a suo figlio Cristiano, è opera sua.”
“È una buona scelta, con quel rapporto può salire anche sui muri.”
Ecco questo è il mio purtroppo breve ricordo.
Domando a Cristiano qual è stato il primo e l’ultimo consiglio che suo padre ha lasciato a lui e ai suoi nipoti. È passato troppo poco tempo, la domanda probabilmente è troppo diretta. Cristiano non trattiene la commozione, si scusa, mi scuso; è stato un momento toccante ma vero, sincero, un’emozione naturale com’è giusto che sia. Con la voce ancora rotta dall’emozione Cristiano mi confida che l’ultimo consiglio di papà Ugo è stato quello di proseguire con tutti i progetti e il primo è stato di non smettere mai di essere se stessi.
Poche settimane prima è stato proclamato il lutto nella città di Cusano Milanino, presente per l’ultimo saluto all’illustre cittadino anche Eddie Merckx insieme ai grandi del ciclismo.
La nostra chiacchierata viene interrotta dall’arrivo di uno dei tre figli che ci porta un po’ d’acqua, probabilmente accortosi della commozione del padre che non può fare a meno di notare la sensibilità per il gesto. È a questo punto, guardando un componente della terza generazione, che chiedo come si tramanda una passione di questo tipo.
“Con i valori e con la continuità generazionale. I cambiamenti generazionali creano sempre un minimo di attrito, facilmente superabili con i valori reali del confronto e l’idea comune di sviluppare il miglior prodotto in assoluto. Poi una grande forma di rispetto nei confronti della rete di vendita e dei fornitori. Per ultimo, ma sicuramente non meno importante, il ruolo dei collaboratori che lavorano con noi in azienda. Questo è diventato un mantra che ha origine dai valori espressi da mio padre fin dall’inizio. Io sono per la continuità generazionale non per il cambio generazionale, a me piace imparare dai giovani, che oggi sono una grande risorsa, hanno una gran voglia di fare, di far emergere le loro competenze e le loro capacità. Oggi con gli strumenti di cui sono dotati è molto più semplice, vanno però continuamente stimolati, sono figli del benessere, conoscono poco la fatica, cercano di fare tutto impiegando il minimo sforzo. Mi confronto quotidianamente non solo con i miei figli ma con tutti i giovani collaboratori presenti in azienda; è necessario mettersi nella condizione di saperli leggere e capire, allora da loro impari molto. Se ti poni su un piedistallo, perché sei il più maturo, il più bravo, il più intelligente, resti solo vittima di te stesso, mentre è importante leggere i loro messaggi utili soprattutto per lo sviluppo dei prodotti. È necessario uscire dai propri paradigmi e dai tuoi schemi, da loro puoi imparare molto, sono culturalmente più trasversali. Io ho tre figli in azienda, Nicholas, Federico e Francesco, che dimostrano una grande passione nel mondo delle corse dove abbiamo corridori in fuga e atleti che possono vincere; loro stanno tutti insieme attaccati alla tv a tifare per il risultato migliore. Questa è la passione che sono fortunatamente riuscito a trasmettergli.”
Il vostro sito si apre con una frase di suo padre nella quale dice “Preferisco guardare avanti, perché dopo mezzo secolo sono ancora convinto che la bicicletta abbia margini di miglioramento.” Quali sono i progetti per il futuro delle biciclette De Rosa?
“Il primo maggio lanciamo una nuova bicicletta che si chiama 70, la miglior bicicletta che abbiamo mai costruito in carbonio; abbiamo lavorato per 22 mesi su questo progetto, avremmo dovuto lanciarla il 7 di Aprile di quest’anno, ma come sai non ci sono stati i presupposti e abbiamo dovuto posticipare di 23 giorni il lancio. Si tratta di un prodotto che racchiude tutta la nostra esperienza, un telaio in carbonio leggerissimo del peso di soli 730 grammi, irrealizzabile senza tutta l’esperienza accumulata negli anni, frutto di una collaborazione tra i nostri ingegneri e il centro stile e design di Pininfarina. È un qualcosa che racconta l’evoluzione della bicicletta, ci sono tre valori ben chiari: il peso che sarà di 6,5 kg, il comportamento e la prestazione su strada che è la cosa più importante e infine l’aspetto aerodinamico che con l’apporto di Pininfarina diventa un qualcosa di unico. Da giugno la venderemo in tutti i Paesi ed è stata già presentata ai nostri 38 distributori a livello mondiale, oltre che ai nostri rivenditori italiani. Sarà il top di gamma e sarà destinata al ciclista evoluto che conosce il mezzo meccanico e a chi fa cicloturismo avanzato. Una bicicletta race apprezzata da chi va in bicicletta.”
Mi vengono in mente i competitor di De Rosa e non posso fare a meno di notare che oggi è rimasta forse l’unica azienda del settore di proprietà di famiglia
“Siamo stati tutti corteggiati dai vari fondi che hanno investito in questo settore, c’è chi l’ha fatto per sposare un progetto industriale e chi l’ha fatto invece in modo speculativo. Anche noi abbiamo ricevuto tante offerte ma per ora il nostro progetto è di rimanere come siamo. Se in futuro arrivasse un partner con un progetto di sviluppo non escluderei di prenderlo in considerazione, ma oggi io e i miei tre figli preferiamo rimanere così.”
Nella foto di copertina Cristiano De Rosa con i figli Nicholas, Francesco e Federico
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