Mobilità
Il trasporto marittimo è il cuore della globalizzazione
Qual è il costo ambientale del nostri stile dei vita? Dimentichiamo per un attimo ciò che comporta la produzione dei beni e limitiamoci a considerare solo il trasporto.
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Si stima che attualmente il 90% dei beni che sono consumati nei paesi occidentali vengano trasportati via mare.
“Freightened: the real cost of shipping” è un documentario del 2016, avvincente e allarmante che ci rivela le molte ombre e le poche luci del trasporto navale, il vero cuore pulsante della globalizzazione.
Senza il drastico abbattimento dei costi di trasporto che si è registrato negli ultimi decenni, la globalizzazione, nei termini in cui la conosciamo oggi, non sarebbe stata possibile. Non è infatti solo il differenziale del costo della manodopera tra le economie occidentali ed I paesi asiatici o le economie in debito di sviluppo ad aver reso possibile la delocalizzazione di gran parte delle attività produttive e la globalizzazione, ma soprattutto la riduzione dei costi e tempi di trasporto a scala globale. I costi di trasporto sono diminuiti enormemente, ma questa valutazione comprende solo la componente monetaria e non le esternalità, ovvero gli impatti ambientali non compensati che il trasporto marittimo genera.
Una delle innovazioni tecniche che ha reso possibile questa rivoluzione è stata l’introduzione dell’uso del container ad opera di Malcolm Mc Lean, che lo brevettò nel 1956. Con queste enormi “scatole metalliche” diveniva possibile caricare e scaricare decine di migliaia di tonnellate di prodotti in un giorno, contro le decine di giorni che sarebbero stati necessari con I metodi tradizionali. Anche la taglia delle navi è cresciuta a dismisura, così come il loro numero. Gli armatori delle maggiori flotte mercantili vantano ricchezze e profitti paragonabili a quelle dei colossi dell’industria informatica, ma al contrario di questa o di altri settori, sono nella maggior parte dei casi dei perfetti sconosciuti. Mentre tutti noi sappiamo chi possieda o abbia creato Apple, Microsoft, Google o Facebook, pochissimo sappiamo di questi armatori plurimiliardari, che spesso operano dietro la copertura delle bandiere di comodo. Gran parte delle flotte mercantile sono registrate con bandiere di comodo, di paesi come Panama, la Liberia o le Barbados. Questa soluzione consente agli armatori di poter essere pressochè irrintracciabili, e di non essere vincolati alle legislazioni più severe dei paesi di origine, sia in fatto di diritti del lavoro, che relativamente agli aspetti fiscali. Tra le compagnie marittime più grandi al mondo abbiamo la danese Maersk, ma anche società di proprietà di personaggi sconosciuti ai più, che spesso operano ai margini della legalità e anche oltre. E’ il caso ad esempio di John Fredriksen, un armatore norvegese arricchitosi anche grazie alla Guerra del Golfo, e sospettato di commercio e speculazioni illegali sul petrolio.
La ricerca del massimo profitto e la conseguente riduzione dei costi fa si che spesso I trasporti navali siano effettuati in condizioni di scarsa sicurezza, con navi vecchie e malridotte. Questo è ancor più vero per quelle merci che hanno un valore limitato, come il bunker oil, il sottoprodotto della lavorazione del petrolio, utilizzato anche come combustibile “sporco” ed economico per le navi. Si verifica cosi il paradosso che le merci più pericolose per l’ambiente si spostano su navi più malandate, aumentando enormemente il rischio di incidenti e di impatti devastanti sull’ambiente marino. Il caso di Erika, naufragata lungo le coste della Bretagna ne è un esempio. Ma il petrolio è il caso più eclatante e visibile; in realtà ci sono molte altre sostanze inquinanti, meno visibili del petrolio, soggette alle stesse dinamiche e alle stesse probabilità di incidenti.
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Nel mondo si verifica un naufragio ogni tre giorni e sono 10.000 i container che vengono persi in mare ogni anno. I container possono contenere qualsiasi cosa, anche sostanze altamente tossiche. Uno degli aspetti più inquietanti è che di fatto non viene eseguito nessun controllo sistematico sul loro contenuto, conosciuto solo dal mittente e dal destinatario. A parte i casi noti di trasporto di droga e di armi convenzionali, esistono serie possibilità che possano venire trasportate clandestinamente armi nucleari. Si tratta di fatto di veri e propri “cavalli di Troia” di fronte ai quali le strategie di difesa sono estremamente ridotte.
L’estrema riduzione dei costi di trasporto porta a veri e propri paradossi dal punto di vista ambientale, o energetico, ma non dal punto di vista commerciale. E’ ad esempio pratica comune trasportare I salmoni dalla Scozia alla Cina, per farli sfilettare, e poi riportarli in Scozia per essere confezionati e commercializzati. Oppure se pensiamo ad un capo di abbigliamento in vendita in un negozio europeo, una giacca ad esempio: è probabile che sua stata confezionata in Bangladesh, con tessuti prodotti in India a partire da cotone proveniente dagli Stati Uniti. I bottoni fabbricati in Vietnam con plastica riciclata in Cina a partire da scarti provenienti dall’Europa. Un capo di abbigliamento può facilmente totalizzare decine di migliaia di chilometri di trasporto.
Gli impatti ambientali vanno ben oltre il rischio di naufragi o perdite di carico. Il 4% delle emissioni antropogeniche di gas serra sono dovute al trasporto marittimo. Il rumore prodotto dai motori delle navi è responsabile dell’inquinamento acustico dell’ambiente marino, che causa danni irreversibili all’udito, e spesso la morte, di migliaia di cetacei pregiudicandone la loro capacità di orientamento. Molti di loro finiscono spiaggiati e soccombono.
Il prelievo ed il rilascio di acque di zavorra in siti distanti tra loro migliaia di chilometri, rappresenta un efficace sistema per diffondere specie marine invasive. I danni ecologici ed economici conseguenti sono elevatissimi.
Vi sono poi gli impatti sociali, dai frequenti incidenti tra i lavoratori marittimi (che arrivano a lavorare anche 96 ore la settimana in condizioni difficilissime), agli impatti sulla salute delle persone che vivono in prossimità dei grandi porti causati dalle emissioni altamente inquinanti dei motori delle navi.
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L’invito è quindi quello di riflettere sull’origine dei prodotti che acquistiamo, e considerare se trasportare merci da un angolo all’altro del pianeta sia effettivamente sempre necessario. Non riusciremo a produrre caffè, cacao o altri prodotti, ma forse per le mele, le pere, le ciliegie potremmo attendere la stagione in cui sono disponibili anche quelle nostrane. Continuerà ad essere più conveniente importare articoli elettronici dalla Cina, ma forse per le pietre da costruzione, o il pellet potremmo attrezzarci con ciò che abbiamo disponibile nel nostro territorio.
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