I palestinesi del Cile (e la loro squadra di calcio)
Le note dell’inno palestinese si possono sentire quasi ogni settimana nel comune di La Cisterna, alle porte di Santiago del Cile, dove esiste uno stadio in cui giocano undici calciatori avvolti in una maglia verde, bianca, rossa e nera. Sugli spalti tante bandiere e un coro: “Gaza resiste, la Palestina esiste”.
Il Club Deportivo Palestino è la società polisportiva della comunità palestinese in Cile. Fondato nel lontano 1916, il club ha accompagnato le vite e il percorso di integrazione di una delle maggiori comunità straniere del Paese: dalle difficoltà del passato fino a un’identità nuova, detta “cilestinese”, che si distingue sia da quella cilena che da quella palestinese, rappresentandone una terza, nata dalla fusione della cultura di partenza e da quella di arrivo.
La più grande comunità palestinese fuori dal mondo arabo
I palestinesi cileni sono oggi circa 500.000 e rappresentano il 2,5% degli abitanti del Paese sudamericano. Si tratta della più grande comunità della diaspora palestinese fuori dal mondo arabo, formatasi grazie a diverse ondate di immigrazione, distanti fra di loro nel tempo.
I primi palestinesi arrivarono sul suolo cileno nel tardo Ottocento. Originari prevalentemente delle enclavi cristiane del circondario di Betlemme, come spiega la Prof.ssa Lina Meruane sulle pagine di Scene Arabia, questi profughi fuggirono dall’instabilità e dalle ingiustizie del decadente Impero Ottomano alla ricerca di una nuova vita, che trovarono oltre 13.000 km più in là.
I racconti sulla prosperità delle Americhe spinsero i mercanti palestinesi a intravedervi un futuro; il resto lo fece l’ambigua politica razzista del Cile dell’epoca, impegnato a “rendere più bianca la propria popolazione”, accogliendo tutti gli immigrati che potessero servire allo scopo. I palestinesi furono inclusi in questa quota di “immigrazione bianca” con la condizionale: contribuivano, involontariamente, agli scopi del governo cileno, ma non erano comunque bianchi a sufficienza. Negli anni a seguire la discriminazione contro questa comunità sarebbe stata in alcuni momenti spietata. Nel 1911, uno degli autori de El Mercurio, un importante giornale cileno, scriveva riguardo ai nuovi arrivati palestinesi:
“Che siano maomettani o buddhisti, ciò che si può vedere e annusare da lontano è che sono più sporchi dei cani di Costantinopoli.” (El Mercurio, 13 aprile 1911.)
L’autore di queste linee negava con sprezzo l’identità religiosa di questa comunità, sposando una visione superficiale, purtroppo ancora presente, che tende a identificare la popolazione araba esclusivamente con la religione musulmana. I palestinesi emigrati in Cile, invece, sono in gran maggioranza cristiani ortodossi, rimasti profondamente legati alla terra e al popolo lasciato nel Medio Oriente. Le differenze religiose non hanno scalfito la loro identità nazionale, unica e compatta: un fatto che ci dice qualcosa anche su ciò che vuol dire essere palestinesi, o più generalmente arabi, oggi.
Ricordare le origini giocando a calcio
La necessità di ricordare le proprie origini e di dare un’immagine bella e felice della propria comunità, creando al contempo un punto di aggregazione, sta all’origine di tantissimi club sportivi e calcistici nel mondo. In Cile, un Paese in cui l’immigrazione ha avuto grande peso in passato, ciascuna delle nuove comunità ha creato delle proprie associazioni rappresentative nello sport: quella palestinese non ha fatto eccezione. Nel 1916, è nato dapprima il club di tennis, cui si sono aggiunte in seguito diverse sezioni praticanti altre discipline, fra cui, nel 1920, quella calcistica. Il nome doveva necessariamente richiamare le origini, per non dimenticare il proprio passato e la propria identità. È nato così il Palestino.
La fondazione della squadra di calcio è frutto del riconoscimento e dell’affermazione della propria identità, ma anche della volontà di integrarsi in una società nuova, presentando il proprio gruppo con un’immagine nuova, positiva, definita e controllata ora dagli stessi suoi rappresentanti, in opposizione all’immagine, talvolta negativa e detrattrice, proiettata da altri. A questo proposito, Lina Meruane sottolinea come un’identità si definisca e si rafforzi proprio nei momenti in cui è attaccata:
“La cultura è estremamente resiliente. Guadagna forza precisamente quando è minacciata, attaccata o negata, proprio come è successo da sempre con quella palestinese.” (Scene Arabia, 21 aprile 2019.)
Il gioco, lo sport e il calcio aiutano in questo senso, ma la loro funzione non si esaurisce qui. Le associazioni sportive sono punti di aggregazione e di socialità, che rafforzano la coesione interna del gruppo, ma permettono anche di far viaggiare l’immaginazione verso i luoghi e i tempi del proprio passato. Nel mezzo di un Paese sudamericano, distanti da quella che una volta si chiamava casa, per novanta minuti di gioco, circondati dalle bandiere palestinesi, dai cori e dalla propria comunità, è possibile dimenticarsi di Santiago e pensare che La Cisterna sia un sobborgo di Ramallah o di Gaza, magari di una Ramallah o di una Gaza libere, lontane dall’oppressione e dalle sofferenze.
La dittatura, le divisioni e la manifestazione del 1982
Nemmeno il Cile, però, è stato una terra sempre lontana dall’oppressione e dalla sofferenza. Dal 1973 al 1990 il Paese è stato oggetto di una delle più sanguinarie dittature del secolo passato. Il golpe di Augusto Pinochet gettò il Paese in un lungo periodo di libertà negate e crimini mostruosi, cui fa riferimento la seconda parte del prezioso documentario La memoria dell’acqua di Patricio Guzmán.
I palestinesi, come il resto della popolazione cilena, si divisero sulla questione. Una parte della comunità, generalmente quella più benestante, legata all’industria tessile, appoggiò Pinochet, ricevendone supporto a sua volta. La restante parte del gruppo, invece, sofferse la violenza della dittatura.
La distanza fra le due parti della comunità fu accentuata in quel periodo ma la frattura fu parzialmente ricucita ancora prima della fine del regime, nel 1982. La spinta arrivò dal Medio Oriente. La strage di Sabra e Shatila, compiuta dalle Falangi libanesi e dall’Esercito del Libano del Sud, con la complicità dell’esercito israeliano, portò sulle strade cilene le proteste palestinesi: era la prima manifestazione dall’instaurazione del regime.
Da quel momento, le differenze interne alla comunità sono state ricomposte all’interno di una tolleranza verso differenti vedute politiche. Molti ormai cileni di origine palestinese sono stati e sono attivi nella politica nazionale, schierati su posizioni e attorno a idee molto diverse, ma compatti nel senso di appartenenza alla propria comunità.
Dopo la ricomposizione delle divisioni interne, piano piano è parso sempre più necessario trovare un modo di allacciare legami più stretti con la Palestina. La lontananza e la conseguente difficoltà di comunicazione avevano fatto sì che molti palestinesi non sapessero nemmeno che in Cile esistesse una comunità originaria della loro terra. Negli ultimi anni, invece, c’è stata un’accelerazione nei rapporti e nella conoscenza fra i cileni di origine palestinese e la vecchia madrepatria. Uno degli elementi centrali di questa nuova fase è stato proprio il Club Deportivo Palestino.
Il rafforzamento del legame con la Palestina
Il Palestino è diventato noto a livello mondiale nel 2014, quando è stato multato dalla federazione calcistica nazionale perché il numero uno sulle maglie della squadra era stato disegnato imitando la forma dei confini dello stato palestinese precedenti alla risoluzione delle Nazioni Unite del novembre 1947.
La multa è arrivata in seguito alle lamentele del dirigente di un altro club cileno, Patrick Kiblisky, presidente della Ñublense, che ha denunciato il Palestino, facendosi carico delle richieste di alcune comunità ebraiche del Paese, a causa dell’inserimento di un dettaglio politico all’interno della competizione sportiva. Pur dovendo cambiare le maglie e pagare una piccola multa, il Palestino ha ricevuto l’appoggio e la solidarietà di quasi tutte le tifoserie e società del campionato, inclusi i tifosi della stessa Ñublense.
La notizia ha avuto grande risonanza anche fuori dal Cile, proprio come la qualificazione del club alla Copa Libertadores del 2015, il maggiore torneo del continente sudamericano. In Palestina, molti hanno scoperto o riscoperto questa interessante realtà, anche se già in precedenza non erano mancati i contatti fra le due parti. Nel 2003, durante un periodo di crisi economica, il club aveva ricevuto una lettera di supporto dall’allora presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yasser Arafat, mentre la Bank of Palestine è sponsor della squadra già dal 2009.
La conquista del palcoscenico continentale ha permesso però a molti più tifosi lontani dal Cile di assistere alle partite, grazie ai canali di Al Jazeera, e di immedesimarsi con quella che è parsa da subito una sorta di nazionale palestinese fuori dal Medio Oriente. In seguito, alcuni calciatori sudamericani di origini palestinesi hanno scelto di rappresentare anche la vera nazionale del Paese, impegnata nei tornei internazionali organizzati dalla FIFA.
Il rinnovamento del legame con il Medio Oriente ha portato il Palestino, nel dicembre del 2016, a una tournée in Cisgiordania. I calciatori, lo staff e la dirigenza hanno avuto modo di conoscere più a fondo l’odierna realtà palestinese, oltre che di finanziare la costruzione di alcune cliniche sportive per i rifugiati di guerra. Il Palestino ha giocato tre partite, sfidando prima l’Al Ahli di Dubai, poi una selezione di calciatori di Hebron/Al Khalil e la stessa nazionale della Palestina, dalla quale è stato sconfitto per 3:0.
Due anni dopo, il presidente della Palestina, Mahmoud Abbas, ha ricambiato la visita, volando in Cile per incontrare la squadra e confermando un legame divenuto sempre più significativo negli ultimi anni. Il Palestino ha così effettivamente aiutato la comunità palestinese a mantenere la propria identità e il legame con le proprie radici, fino a permettere la costruzione di un rapporto importante e fecondo anche fra la Palestina e il Cile stesso. Poche settimane fa, il Senato cileno ha approvato una risoluzione per boicottare i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani in Palestina, mentre nel 2008 il Paese ha accolto una nuova piccola ondata di profughi palestinesi, questa volta musulmani, garantendo loro la cittadinanza e il passaporto del Paese, oltre che la possibilità di una nuova vita. Più di un secolo è passato dal primo arrivo di profughi palestinesi in Cile, l’Impero Ottomano è ormai lontano nel passato, ma oggi qualcun altro opprime gli abitanti della Palestina, che tornano a percorrere il lungo viaggio dei loro antenati verso una terra che, almeno un po’, sa di casa.
Foto: Profilo Facebook ufficiale Club Deportivo Palestino.
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