Calcio
Il calcio durante l’assedio di Sarajevo
Il 5 aprile 1992, c’erano poche persone sugli spalti dello stadio Grbavica, in una città stranita dai primi spari che l’avevano inquietata nei giorni precedenti. Nonostante le forze serbe stessero muovendo i primi passi verso l’assedio di Sarajevo, la partita fra i locali del Željezničar e il Rad di Belgrado era regolarmente in programma alle 15,30. A un’ora dal calcio d’inizio, una grande raffica proveniente dalle colline di Šanac e Vraca aveva fatto capire che l’evento non sarebbe stato tollerato. In pochi minuti, lo stadio era nuovamente vuoto.
In quei giorni, Feđa Krvavac aveva descritto quel momento come il più buio della storia di Grbavica, perché non poteva sapere che il peggio sarebbe arrivato solo nei giorni seguenti: il 5 aprile 1992 segna l’inizio dell’assedio di Sarajevo, uno dei più lunghi della storia della guerra moderna. Il quartiere Grbavica, da cui lo stadio prende il nome, è stato presto occupato dall’esercito serbo. Una linea militare spezzava il campo da calcio, immediatamente minato. Un mese dopo la partita non giocata contro il Rad, lo stadio era in fiamme.
Il dolore per la distruzione fu grande. Lo stadio era stato costruito dai tifosi della squadra a partire dagli anni Quaranta, gettando un mattone dopo l’altro, nel tempo libero, tutti insieme, per garantire al Željezničar una struttura in cui giocare.
Il calcio fu dimenticato nei primi momenti dell’assedio. Calciatori e tifosi vestirono le divise militari e furono mandati a difendere con le loro vite la loro città. Fu cosi anche per Dževad Begić, detto Đilda, il leader della tifoseria del Željezničar. Đilda fu tra gli eroi dell’azione militare contro la postazione di Zlatište, con la quale un gruppo di bosniaci quasi disarmati ruppe il cerchio dell’assedio serbo. Il giorno dopo l’impresa, l’11 luglio 1992, Đilda lasciò la vita nel tentativo di salvare una concittadina, ucciso da un colpo di sniper, proveniente proprio dal quartiere Grbavica.
Poche settimane prima, il 17 maggio 1992, Želimir Vidović, detto Keli, stella del FK Sarajevo degli anni Settanta e Ottanta, trasportava dei civili feriti verso l’ospedale. Fermato a un checkpoint dalle forze serbe, Keli fu portato via dai soldati: il suo corpo fu ritrovato solo nel 1996. Želimir Vidović, se può significare qualcosa, era un cristiano ortodosso, quindi un “serbo”, secondo le distinzioni nazionali ancora oggi in voga.
LA SCUOLA CALCIO BUBAMARA
Un altro serbo rimasto nella sua città è stato Predrag Pašić. Il suo nome è oggi legato a uno dei progetti più incredibili degli anni dell’assedio: una scuola calcio.
Sotto le bombe, i bambini continuavano a giocare a pallone. Uno dei calciatori più celebri del dopoguerra, Hadis Zubanović, ha spiegato in un’intervista che era in grado di prevedere con discreta precisione quali aree della città sarebbero state bombardate ogni giorno e che, in base a queste previsioni, lui e gli amici sceglievano dove e quando giocare.
Pašić riunì un gruppo di bambini, di etnie e religioni diverse, e cominciò a insegnare il calcio nella palestra di Skenderija, vicinissima al fronte, tanto che per raggiungerla era necessario attraversare ogni volta un ponte tenuto sotto tiro dai cecchini serbi. In campo, però, contava solo il pallone, mentre intorno cadevano le granate e si sentivano le raffiche. Era il 1993.
La scuola calcio Bubamara è ancora attiva ed è parte del progetto di aiuto e cooperazione internazionale diretto dall’Inter (Inter Campus). Lì ha mosso i primi passi l’ex difensore di Atalanta e Roma Ervin Zukanović.
FK SARAJEVO-UNPROFOR
La Skenderija è ancora oggi un grande complesso, dove si tengono eventi sportivi, concerti e fiere. Durante la guerra era utilizzata, fra le altre cose, per gli allenamenti e le partite di calcio. Nell’estate del 1992 vi si giocò la prima partita fra il FK Sarajevo e la rappresentativa dell’UNPROFOR (Forza di Protezione delle Nazioni Unite), a cui assistettero le maggiori cariche politiche e militari della Bosnia-Erzegovina e delle Nazioni Unite. La partita fu ripetuta su un vero campo da calcio due anni più tardi, il 20 marzo 1994, allo stadio Koševo, davanti a 40.000 persone e nonostante le minacce dell’artiglieria serba. La straordinaria giornata per tifosi e calciatori fu resa ancora più sorprendente dall’esibizione dell’orchestra della Guardia della Regina inglese, invitata per l’occasione dal generale britannico Michael Rose, che era stato il principale organizzatore dell’evento.
Dženan Aldin segna il 4:0 (risultato finale), accompagnato dalla grigia telecronaca della tv nazionale. Il clima di sorpresa e di festa per quell’insolito momento era pur sempre condizionato dagli spari che hanno fatto da sfondo a quella come a tante altre giornate. La partita è stata giocata nel campo principale del complesso di Koševo, circondato prima della guerra da quattro campi di allenamento, che nel frattempo erano diventati cimiteri.
Il FK Sarajevo ha potuto schierare quattro calciatori della squadra rivale del Željezničar per l’occasione, per rimediare all’assenza dei tanti calciatori impegnati nel tour mondiale.
IL TOUR MONDIALE
Il tour mondiale del FK Sarajevo è stato un insieme di partite di beneficenza, giocate in giro per il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica estera sulla guerra in Bosnia-Erzegovina.
I calciatori e lo staff del Sarajevo uscirono dalla città nel febbraio 1993, percorrendo la tristemente famosa pista dell’aeroporto di Sarajevo senza essere colpiti dai cecchini serbi in agguato. La squadra raggiunse Spalato, dove giocò due partite con i croati dell’Hajduk Spalato e della Dinamo Zagabria. Da lì si diresse in Slovenia, dove disputò una partita a Jesenice. L’invito seguente arrivò dalla Turchia: le tappe furono Izmit, Adapazar e Bursa. E proprio in quest’ultima città, il Sarajevo sconfisse il Bursaspor per 4:3: l’uomo partita fu Elvir Baljić, che con quella prestazione si guadagnò un contratto proprio con la squadra che aveva appena battuto. Iniziò così una carriera di successo, che lo avrebbe portato a vestire anche la maglia del Real Madrid. Il tour del Sarajevo, invece, continuò in Arabia Saudita, con le partite contro le maggiori formazioni del Paese (Al Ittihad, Al Nassr, Al Ettifaq e Al Ahli), per proseguire poi fra Emirati Arabi Uniti, Oman, Iran, Brunei, Malesia e Qatar.
Il tour mondiale toccò molti Paesi a maggioranza musulmana, che al tempo riscoprirono che l’Islam era la religione maggioritaria di un piccolo Paese europeo, di cui sapevano molto poco. Negli anni seguenti i contatti, le donazioni e gli investimenti da parte di questi Paesi verso la Bosnia-Erzegovina si sarebbero intensificati, segnando una nuova fase politico-culturale del Paese, che persiste ancora oggi. I nuovi legami con l’Oriente musulmano, però, né allora né oggi, hanno impedito alla Bosnia-Erzegovina di intrattenere importanti legami di amicizia con alcuni Paesi occidentali, fra cui spiccano l’Italia e il Vaticano. Non a caso, il tour dei calciatori del FK Sarajevo ha conosciuto una delle tappe più belle allo Stadio Ennio Tardini, con una partita di beneficenza contro il Parma, trasmessa dalla RAI in diretta nazionale. Di recente, Admir Lisica ha parlato dell’importante amicizia fra la Bosnia-Erzegovina e l’Italia in quel periodo e della sua manifestazione nello sport in un articolo su Al Jazeera Balkans, pubblicato anche su Gli Stati Generali.
Su YouTube è possibile rivedere la partita intera. Il gol per gli ospiti è stato segnato da Almir Turković, che in seguito sarebbe diventato un brillante calciatore. La sua carriera non lo ha portato sui palcoscenici più importanti, ma in Croazia e in Bosnia-Erzegovina è considerato, a ragione, uno dei migliori giocatori del dopoguerra.
Il tour si concluse con il ricevimento in Vaticano della spedizione sarajevese, che ebbe così modo di incontrare Giovanni Paolo II. Nell’occasione, il Papa manifestò la propria vicinanza al popolo bosniaco e promise una visita a Sarajevo, poi compiuta nel 1997.
OLIMPIK SARAJEVO
Nell’ottobre 1993, dentro la città assediata, un gruppo di appassionati decise di fondare una nuova società di calcio: l’Olimpik Sarajevo. Il nome del club ricorda i Giochi Olimpici Invernali, tenutisi nella capitale bosniaca nel 1984: uno degli eventi che, insieme all’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando e all’assedio, si lega più frequentemente al nome della città. La squadra fu riunita, ma nell’immediato non era possibile giocare all’aperto, a causa dei bombardamenti. I calciatori cominciarono comunque ad allenarsi nelle palestre cittadine e parteciparono al torneo cittadino di futsal, vinto nel 1993.
Già da quell’anno, però, era sorta l’idea di giocare un campionato nazionale di calcio, nonostante l’intero Paese fosse investito dalla guerra. Nel 1993, fu giocato un primo torneo di qualificazione fra le squadre della regione di Sarajevo, disputato fuori dalla città, nelle zone meno coinvolte dal conflitto. L’Olimpik riuscì a qualificarsi alla fase interregionale, giocata contro le squadre delle altre città governate dalle forze bosniaco-musulmane. Una volta usciti da Sarajevo, attraverso il tunnel che era stato costruito sotto la pista dell’aeroporto, i calciatori dell’Olimpik potevano raggiungere le strutture in cui avrebbero giocato dopo lunghi viaggi, nei quali percorrevano le zone controllate dall’esercito bosniaco-musulmano ed evitavano attentamente i checkpoint nemici, che potevano facilmente portare alla morte. L’Olimpik riuscì a classificarsi secondo nel girone interregionale e a qualificarsi così alla prima storica stagione del campionato bosniaco, che si sarebbe disputata fra il 1994 e il 1995.
LA STAGIONE 1994/1995
La guerra continuava sui fronti militari, ma diverse zone del Paese erano ormai controllate dall’esercito bosniaco-musulmano. Le squadre provenienti da queste zone giocarono il primo campionato bosniaco della storia. Ventidue formazioni, divise in tre gironi da sei squadre ciascuno, si affrontarono in una competizione dal formato inedito e mai più ripetuto. I gruppi erano organizzati in modo da garantire alle squadre dei viaggi per quanto possibile brevi e sicuri. Tutte le partite di ciascun girone si giocavano in un’unica città, in modo da limitare gli spostamenti. Le prime due qualificate di ciascun gruppo si sarebbero affrontate al play-off, che avrebbe prodotto le quattro squadre destinate al girone finale. La fase finale si disputò a Zenica (70 km a nord di Sarajevo), dove le forze bosniaco-musulmane controllavano con maggiore sicurezza la situazione. Le quattro qualificate furono Čelik (Zenica), Sarajevo, Bosna (Visoko) e Željezničar. Tre brillanti partite del Čelik portarono la formazione di Zenica a vincere il primo scudetto della neonata nazione. La Bosnia-Erzegovina sembrava poter respirare, almeno nelle aree controllate dall’esercito nazionale: la guerra cominciava a volgere al termine.
LA FINE DELL’ASSEDIO E IL RITORNO A GRBAVICA
L’assedio terminò solo nel febbraio del 1996. Grbavica fu liberata definitivamente il 19 marzo 1996, quando gli abitanti del quartiere, fra la gioia per il ritorno e il dolore per la distruzione davanti agli occhi, rientrarono alle loro case.
Sorrisi, abbracci, lacrime, canzoni e bandiere: i cittadini quasi increduli tornano nelle loro vie e nelle loro case.
Quello stadio dato alle fiamme, minato e bombardato, dove il 5 aprile 1992 non si era potuta disputare una delle ultime partite del campionato jugoslavo, fu il palcoscenico del primo grande derby di Sarajevo del dopoguerra. Il campionato era quello bosniaco; il Grbavica solo l’ombra di se stesso: una rovina dove, il 5 maggio 1996, si riunirono migliaia di tifosi, insieme alle più alte cariche dello Stato, per festeggiare la libertà, più che per tifare l’una o l’altra squadra. La vittoria più grande era essere lì, senza raffiche o granate, e lo dimostra la grande commozione non solo dei giocatori del Željezničar, che facevano ritorno sul proprio terreno per la prima volta dal 1992, ma anche dei rivali del FK Sarajevo.
Il ritorno allo stadio di un signore che da piccolo è stato fra coloro che hanno costruito il Grbavica; l’ottimismo di un giovane tifoso del Sarajevo che sogna la ricostruzione, nonostante le macerie sullo sfondo; alcuni tifosi stranieri presenti in città; l’arrivo del presidente Alija Izetbegović.
La partita, però, fu vera e combattuta: due reti, un’espulsione e sette ammonizioni. Il gol del vantaggio per il FK Sarajevo è stato segnato da Uščuplić, che aveva giocato una delle sue prime partite nel 1994, contro l’UNPROFOR; il pareggio finale, invece, è stato fissato da Muharemović (1:1).
Le azioni salienti della partita.
Da quel momento, il Željezničar, il Sarajevo e la nazionale della Bosnia-Erzegovina hanno giocato molte partite. Il calcio è tornato nelle vite di tutti, portando alcune gioie e molte delusioni. Nelle sfide più importanti, i calciatori bosniaci sono stati spesso costretti ad arroccarsi in difesa e a soffrire lunghi assedi da parte di avversari più forti. E molto spesso hanno perso. Ma l’assedio più importante Sarajevo e la Bosnia-Erzegovina lo avevano già vinto.
Il disegno in copertina è stato realizzato da Andrea Angelucci, che ringrazio di cuore, ed è tratto dal suo bellissimo profilo Instagram.
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