La Grande Crisi: cronache di un disastro annunciato
Avevo 12 anni quando la Crisi Economica degli Stati Uniti colpì duramente il sistema paese del colosso mondiale. Ne avevo 15 quando toccò all’Italia dover resistere ad un forte attacco speculativo. Il risultato di quest’atto barbaro e meschino della finanza fu l’Austerity. Un gigantesco bagno di sangue nel quale furono coinvolte milioni di persone, alcune di loro si tolsero la vita a seguito dell’ondata di licenziamenti e fallimenti che travolse il nostro paese negli anni successivi.
Mi sono ripromesso di comprendere meglio ciò che successe durante quei giorni molto concitati. Per questo motivo, ho scritto due articoli differenti: uno sulla crisi dei subprime americani e il successivo sulla situazione italiana del post 2011, data di riferimento per l’inizio di una crisi senza precedenti per il nostro paese.
Prima parte: La Grande Crisi del 2008
Le ragioni della decadenza di un popolo non sono mai direttamente riconducibili ad un singolo evento. Come l’Impero Romano vide la sua fine a causa di un territorio diventato troppo vasto negli anni, di un esercito di mercenari e di un popolo da secoli rammollito dai fasti di un passato che non sarebbe più tornato, anche la crisi del 2011 e prima ancora quella del 2008 dei Subprime (“born in the USA” ) hanno radici profonde che risalgono al millennio precedente.
The Big Collapse
Facciamo un balzo indietro al 12 novembre 1999, data durante la quale l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton decide di abrogare il Glass-Steagall Act (istituito nel 1933). La legge bancaria in questione fu redatta e proposta dai legislatori americani allo scopo di mantenere separate due realtà bancarie molto differenti fra loro e all’epoca “apparentemente” inconciliabili: le banche commerciali e le banche di investimento. La ragione stava nella volontà del legislatore americano di impedire che succedesse di nuovo ciò che era appena successo con la crisi americana del ‘29, e cioè che il fallimento di una banca si ripercuotesse anche sul piccolo risparmiatore e di conseguenza sull’economia reale. Immaginate una banca piena di depositi ordinari di credito che fallisce a causa di un investimento di “ingegneria finanziaria” particolarmente estremo – potete ben comprendere come gli effetti di questo fallimento possano essere devastanti non soltanto per la banca e i suoi dipendenti, ma soprattutto per milioni di privati cittadini.
Tuttavia, la sete di denaro non conosce limiti. Con l’abolizione del Glass-Steagall Act ad ogni banca americana fu concesso non solo di erogare prestiti, ma anche di investire nel capitale delle aziende. La fusione fra know-how finanziario di primo livello e una massiccia disponibilità di capitali portò alla creazione di veri e propri “leviatani” della finanza. Grazie alla leva finanziaria l’intero patrimonio bancario americano diventò infatti impegnabile per ottenere una quantità di capitale astronomica e potenzialmente destabilizzante.
Cosa c’entra tutto questo con la crisi dei subprime? Ci arriviamo subito…
I mutui “Subprime”
Creato il mostro, questo non può che dar vita ad alcune “mostruosità”. Queste ultime hanno un nome, sono i mutui “Subprime”, cioè i “mutui ipotecari a tasso variabile” (esistevano anche a tasso fisso, in minor proporzione).
Andiamo con ordine.
Le nuove tipologie di ibrido bancario, attirate dalle immani potenzialità a loro disposizione, si concentrano ben presto sul mercato americano meno regolamentato e meno controllato, il mercato immobiliare “Star and Stripes”.
Riassumiamo brevemente quel che successe al mercato immobiliare americano.
I Subprime, prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito in favore di clienti a forte rischio debitorio, costituirono una corsa feroce all’acquisto di case e immobili al punto tale che anche i figli degli operai potevano vantare il possesso di più di un’abitazione. Da un giorno all’altro, chiunque poteva ottenere un prestito, ad un tasso d’interesse molto basso, per l’acquisto di un’abitazione senza dover fornire particolari garanzie di solvenza. Qui iniziano i problemi. Vediamo il perchè.
La maggior parte dei mutui secondari (o subprime) è stata concessa ai mutuatari statunitensi intorno agli anni 2000, ossia in un periodo in cui i tassi d’interesse della banca centrale americana (la Fed) erano particolarmente bassi. Molti di questi mutui erano a tasso variabile o misto (metà fisso e metà variabile) ossia erano collegati al tasso d’interesse deciso dalla Fed. In altre parole, le rate del mutuo crescevano all’aumentare dei tassi d’interesse e diminuivano con il loro decrescere. Con dei tassi bassissimi, addirittura all’1 per cento, la scelta di un mutuo a tasso variabile si tradusse nel tempo in un grossolano errore, in quanto, come prevedibile, i tassi d’interesse in seguito crebbero e con essi le rate del mutuo per il popolo dei “subprimer”.
Cresce il tasso d’interesse, i privati non possono più né pagare né rinegoziare il debito e così la bolla esplode!
Il sistema bancario americano
“E le banche? Quelle bastarde ci hanno guadagnato ancora una volta!”
Non è proprio così.
I prezzi delle case americane negli ultimi anni iniziarono a perdere quota e questo per le banche ha significato delle perdite in quanto il valore della casa che pignoravano per insolvenza era inferiore alla somma di denaro prestata con il mutuo subprime tempo addietro. In altre parole spuntarono delle perdite anche per le banche e non solo per quelle che operavano con i mutui. Per ovviare a ciò, gli intermediari finanziari optano per la cartolarizzazione di questi mutui.
La cartolarizzazione dei mutui implica il loro raggruppamento in un’unica scatola che poi viene divisa in quote, ossia in molte parti uguali che poi vengono rivendute. Queste nuove scatole di mutui si chiamano Abs (asset backed security, ossia cartolarizzazioni coperte da asset che in questo caso sono appunto le case date in garanzia).
I vari operatori compravano questi pezzetti di abs e ne incassavano gli interessi. Il gioco però non si fermava qua. Perché a loro volta questi pezzettini di abs finivano in altre scatole (scatole di scatole, come nel gioco della matrioska) che sono chiamate Cdo. I CDO (collateralized debt obligation, ossia titoli di debito emessi a fronte di cartolarizzazioni) sono di fatto dei fondi suddivisi in quote che rendono un certo tasso d’interesse. Questi fondi sono a loro volta composti da mutui subprime di differente qualità e garanzia – più basso è il rischio di insolvenza, più alta è la garanzia offerta da essi (il massimo grado di garanzia fornita si indica con AAA). Chi compra una quota di questi CDO incassa appunto gli interessi in gioco, magari senza sapere cosa c’è esattamente dentro la scatola di cui ha comprato un pezzo.
Il guaio è che questi strumenti diventarono tanto complicati e rimescolati che nessuno capì più cosa ci fosse dentro (se mutui affidabili o rischiosi). Le stesse agenzie di rating, ossia le società che danno un voto sulla sicurezza di questo genere di investimenti, forse inconsapevoli della reale composizione di questi strumenti o forse in conflitto d’interessi con le banche stesse che finanziavano il loro operato, hanno spesso assegnato a questi CDO la tripla A, ossia il più lusinghiero dei giudizi su un titolo di debito, quando in verità il livello di garanzia di questi strumenti finanziari rasentava lo 0 assoluto.
Quando però le insolvenze si sono moltiplicate e le perdite sono cresciute l’intero castello di carte è crollato e il 15 settembre 2008 fallì la Lehman Brothers. Si aprì il fenomeno definito dagli economisti “Credit Crunch” (o stretta del credito) in quanto nessuna banca conosceva la reale situazione dei bilanci bancari altrui e gli investimenti non erano più considerati investimenti sicuri. Questo fatto portò ad un rapido blocco della circolazione del credito che danneggiò tutto il sistema economico americano.
Il rimedio della FED
Allo scopo di scongiurare altri fallimenti, gli Stati Uniti d’America optarono per la nazionalizzazione delle banche d’affari nazionali. Inoltre, la Federal Reserve cominciò a stampare moneta, un oceano di liquidità che si abbatté sul sistema finanziario e permise la ripartenza del sistema economico americano, ma soltanto dopo diversi anni dalla grande crisi e con un livello di disuguaglianza interno notevolmente accresciuto. Grazie all’iniezione di liquidità del QE, i depositi bancari furono garantiti ma milioni di persone persero le loro abitazioni per l’impossibilità di pagare il mutuo.
Alla fine della storia, le banche si salvarono assieme agli artefici di questo “capolavoro finanziario”. Ai cittadini tuttavia non venne più restituita la loro casa e il loro lavoro (già perchè quando crolla il sistema finanziario, il sistema paese ne risente per intero…) e tanti saluti al “sogno americano”!
Se siete arrivati a leggere fino a qui lo considero un miracolo e ve ne rendo merito. L’idea di scrivere questo articolo nasce da molto lontano, più o meno da quando è nata l’idea di studiare economia. In effetti, sono due le ragioni per le quali mi sono avvicinato all’economia. La prima di queste ha un nome ed un cognome, Filippo Taddei. Ebbi la fortuna di assistere ad una conferenza universitaria alla quale il consigliere politico del Partito Democratico era stato invitato in veste di docente. Durante quella conferenza parlò della struttura universitaria e di quello che un futuro studente liceale avrebbe dovuto aspettarsi da quel mondo. Ma disse una cosa ancor più importante e recitava più o meno così: “aspettatevi di cadere, perchè voi cadrete. E nel momento in cui sarete caduti avrete la precisa sensazione che tutto ciò che avete imparato fino a quel momento vi sarà servito soltanto per rialzarvi l’attimo successivo”.
Personalmente in questa frase, apparentemente priva di riferimenti economici, vedo molto della crisi americana dei Subprime. E vedo ancor di più un nesso con l’attuale crisi del mio paese, l’Italia. Che viene ormai considerato come “un paese di maiali”. Ma questa è una tematica che tratterò nell’articolo successivo.
Francesco Garulli per Scriptema
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