Diario catalano, nella piazza che chiede l’indipendenza – #Day3
#Day3 o delle ragioni e dei sentimenti.
“Ma…non sembra di essere vicini a un grande evento…Non lo percepisco! Quando c’è la Champions si sente di più”
Al di là del paragone che può sembrare irriverente (in realtà non lo è: sanno tutti che qui il Barça è un simbolo catalano tra i più potenti), anche Stéphane in un primo momento sembra confermare le mie impressioni dei primi giorni.
Ma è solo l’inizio e l’obiettivo di questa terza giornata Catalana è quello di capire attraverso le parole delle persone, le motivazioni razionali ed emotive di quanto sta accadendo per cui sono ben felice di poter contare sullo spagnolo perfetto di Stéphane (che capisce anche il Catalano, ma meno di quello che credevamo entrambi).
La lettura de La Vanguardia durante la colazione ci convince ad andare per prima cosa in un collegio elettorale, nella scuola Collaso i Gil, nel cuore del Raval e subito ci ritroviamo seduti e partecipi all’assemblea dei cittadini che stanno occupando la struttura e si stanno organizzando per garantire il voto di domani.
L’atmosfera è tranquilla, non c’è tensione. Ci sono ragazzi, mamme coi bambini, anziani.
Tutti prendono la parola e propongono qualcosa. Ci saranno in tutto una cinquantina di persone. Fuori dai cancelli i giornalisti aspettano la fine dell’assemblea.
La cosa evidente è che nessuno ha idea di cosa succederà. Se e quando arriveranno los Mossos e soprattutto cosa faranno. Quindi si discute parecchio su come tenere le porte: chiuse, aperte, semi-chiuse, un po’ aperte.
L’idea che se ne ricava è quella di persone dentro a un meccanismo, loro malgrado.
Sono semplici cittadini, come fosse un mio vicino o mia zia Maria, che discutono di come fronteggiare un’ eventuale irruzione della polizia.
Non sanno come organizzarsi, non sanno cosa capiterà ma sanno che devono esserci e che non potranno essere da nessuna altra parte.
Sono in ogni caso tutti convinti che non ci saranno atti violenti da parte di nessuno. Comunque, si vede che tutti lo sperano davvero.
L’assemblea finisce con un voto per alzata di mano: questa notte resteranno lì a presidiare, l’opzione di tornare a casa e ritornare al mattino viene bocciata ma comunque presa in considerazione. L’assemblea si chiude con un applauso e al grido di “fiesta!”
Entrano i giornalisti e facciamo fatica a parlare con qualcuno. I più disponibili hanno una telecamera puntata addosso e gli altri poca voglia di aggiungere qualcosa.
Ma ci facciamo bastare i sorrisi impauriti di queste persone e lo sguardo perso di questo signore rimasto a meditsre sul da farsi.
Per noi è già tempo di andare, abbiamo voglia di ascoltare altre persone e ci spostiamo in un altro collegio elettorale che ci hanno segnalato, al CCCB (centre de cultura contemporanea de Barcelona) dove in realtà non troviamo nulla.
Capire dove si terranno le operazioni di voto è realmente un’impresa: il governo ha oscurato i siti dove era possibile reperire informazioni e ha addirittura fatto cancellare dal marketplace di google l’app dove era possibile individuare il proprio collegio elettorale. Le informazioni che riusciamo a ottenere sono scarse ma siamo comunque tranquilli perché in ogni caso domani sapremo dove andare per capire da vicino gli avvenimenti.
Tornando verso casa compriamo una birra per chiedere qualcosa ad Alì, il pakistano proprietario di “Bona Compra”, uno dei tanti market del Raval aperti praticamente 24 ore su 24 o quasi.
Pensavamo di trovare poche parole e poca voglia di sbottonarsi. Ci sbagliavamo.
“Es un rollo!” (un “casino”!)
Alì ci racconta che questa storia dell’indipendenza per gli stranieri non sarà una storia a lieto fine. Secondo lui, con la vittoria del sì, gli stranieri saranno costretti ad andarsene. Soprattutto quelli senza documenti (il 50% secondo la stima di Alì). “Yo tengo papél. Non ho paura. Ma i miei amici, i miei connazionali ma anche altri, africani, peruviani, stranieri che non hanno documenti verranno cacciati. E io penso anche a loro. Perché sono un uomo e ho…umanità”.
“Umanità” mentre ripete scandendo questa parola, Alì ha gli occhi lucidi. Domani anche per lui è un grosso punto interrogativo. Probabilmente per qualche ora chiuderà. Ci abbraccia come fossimo amici da sempre prima di passare al cliente successivo.
Alicia è argentina con passaporto spagnolo, vive da 20 anni a Barcellona e domani voterà NO.
Ho trovato il mio Panda. Ci prendiamo un aperitivo insieme a Marco, un italiano che vive da 12 anni a Barcellona e la sua compagna argentina Loli.
Alicia è contraria all’indipendenza più che altro perché non sa cosa aspettarsi. “Mi fa paura questo salto nel buio. Ma andrò a votare soprattutto contro il governo di Madrid. È vergognoso quello che hanno fatto”.
È chiarissimo che le mosse di Rajoy hanno compattato il fronte indipendentista e hanno arruolato nel team anche chi per convinzione o per disinteresse ne avrebbe fatto a meno.
Marco e la Loli non votano, non hanno un’idea precisa di cosa sarebbe meglio, ma si capisce che se il governo di Madrid potrà incassare una sconfitta ne saranno felici. Pur essendo tendenzialmemte contro l’indipendenza.
Questa sembra essere la posizione della famosa maggioranza silenziosa. Tanti che abbiamo ascoltato voteranno Si (o voteranno e basta, al momento è quasi equivalente) non tanto per desiderio di una nazione Catalana, quanto per ottenere condizioni fiscali più vantaggiose e più indipendenza da un governo centrale che percepiscono come impresentabile e inaccettabile.
Dopo la cena torniamo al seggio nella scuola Collasso i Gil.
L’atmosfera è ancora tranquilla ma la tensione si percepisce. Adesso sì. Una processione silenziosa di uomini e donne muniti di materassino o sacco a pelo viene fatta entrare attraverso i cancelli presidiati dal servizio d’ordine, l’attesa è quasi finita.
Torniamo a casa ripromettendoci di ripresentarci al sorgere del sole.
In una giornata niente è cambiato eppure abbiamo la sensazione che tutto sia cambiato e andiamo a dormire con la brutta sensazione di non sapere cosa ci aspetta domani.
Il tempo è arrivato.
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