Letteratura
V13 di Emmanuel Carrère
Recensione a: Emmanuel Carrère, “V13”, traduzione di Francesco Bergamasco, Adelphi, Milano, 2023, 267 pp., 20,00 euro (edizione cartacea), 9,99 euro (e-book).
1. L’opera
Emmanuel Carrère è autore di alcuni tra i migliori romanzi degli ultimi anni, perché la scrittura penetrante con cui descrive eventi reali non può lasciare indifferente il lettore. Per questo, mi sono precipitato a leggere la sua ultima fatica, che descrive il processo che ha seguito un evento tragico e sconvolgente, ovvero gli attentati terroristici avvenuti a Parigi il giorno venerdì 13 novembre 2015, abbreviati in V13.
Il libro colleziona i reportage che Carrère ha scritto per la rivista francese “L’Obs”. L’autore ha infatti partecipato per dieci mesi al processo contro alcuni ideatori, fiancheggiatori e mancati partecipanti alla carneficina che sconvolse il mondo. Come afferma il direttore de “L’Obs” nella postfazione, ogni settimana Carrère inviava alla redazione una cartella di circa 8.000 battute da pubblicare sulla rivista e su altri giornali internazionali, tra cui “La Repubblica”.
Malgrado l’autore abbia revisionato i suoi articoli, riscrivendo e aggiungendo alcune parti, il taglio del libro resta giornalistico. La scrittura di Carrère, in genere molto fluida, si affatica e non è facile riallacciare il filo tra un capitolo e l’altro.
Data la struttura del libro, il lettore può perdersi tra un evento processuale, una data o un nome di un imputato, ma il senso generale non si discute. L’autore ci regala una penetrante riflessione sulla natura umana e su come questa debba interagire con il sistema giudiziario.
2. Le vittime
La prima parte del libro affronta il tema delle vittime. La più lunga sezione del processo è infatti dedicata alle parti civili, ovvero i feriti e i familiari delle vittime, i quali raccontano l’orrore che li ha travolti, dovunque essi fossero. Ad esempio, il processo e Carrére danno voce anche a Marylin, una ragazza che ha recuperato dalle ferite fisiche causate dalle bombe davanti allo Stade de France, ma ha subito gravi conseguenze psicologiche. Fino a quel momento, ben pochi si erano interessati a lei, perché coinvolta nell’attacco meno grave, come se esistessero attentati di serie A e di serie B.
La narrazione delle vittime è un quadro della sofferenza umana che descrive scene indicibili, che non possono far altro che trafiggere il lettore. Carrère è particolarmente interessato alla reazione delle vittime, di cui pochi sembrano cercare vendetta, mentre la maggioranza chiede verità e giustizia. Tante vittime sembrano infatti volere un processo equo, che dia loro ascolto pur sapendo commisurare le pene per gli imputati.
3. Gli imputati
La seconda parte del libro tratta gli imputati, i quali non sono machiavellici geni del male, ma personaggi banali. Non suscitano particolare interesse perché le vere menti criminali sono morte. Sul banco degli imputati si trovano personaggi stralunati, alcuni poco consapevoli delle loro azioni. Contrariamente a quel che si può pensare, il loro disagio non era economico, quanto psichico, derivato da una mancanza di prospettive e di ideali.
Gli imputati principali sono Salah Abdeslam e Mohammad Abrini, due amici che si sono recati a Parigi con il resto del commando, ma che non hanno partecipato agli attentati. Abrini fuggì a Bruxelles la sera precedente al massacro, mentre Abdeslam si tolse la cintura esplosiva la notte stessa. Il grande dilemma dei giudici è capire perché non si siano sacrificati insieme agli altri.
Tra gli altri imputati, ci sono due jihadisti che erano diretti a Parigi partendo dalla Siria, ma sono stati arrestati a Vienna prima di poter commettere il crimine. E poi i cinque fiancheggiatori minori. Alcuni hanno aiutato Abdeslam a fuggire da Parigi e tornare a Bruxelles, mentre il quinto ha fornito documenti falsi. Tre di loro hanno una posizione talmente leggera da essere imputati a piede libero.
Si tratta di cinque personaggi di secondo piano, piccoli spacciatori e delinquenti che frequentavano il bar in cui sono stati concepiti gli attentati, probabilmente coinvolti solo a causa della loro grande abilità nel cacciarsi nei guai.
4. La giustizia
L’ultima parte è dedicata alla Corte e comprende le arringhe finali e il verdetto. Questa diventa la parte più interessante dal punto di vista politico, nel senso del governo dei delitti e dei castighi.
Carrère parla di un processo rigoroso perché gli avvocati delle parti civili, gli avvocati degli imputati, l’accusa e la giuria hanno retto la pressione. Ma restano aperti nodi difficilmente districabili. Il primo, è la condanna di Salah Abdeslam all’ergastolo ostativo, il massimo della pena, senza possibilità di usufruire né di sconti né di licenze.
Sicuramente, le vittime possono apprezzare una condanna esemplare verso chi ha partecipato a infliggere loro enormi sofferenze. Ma dal punto di vista della giustizia astratta, la riflessione è più difficile. Se fossero stati sotto processo i veri attentatori, colui che è scappato poco prima di commettere la violenza avrebbe avuto una pena molto più lieve.
Una contraddizione si verifica anche per gli imputati minori. Ad eccezione del falsario, assolto con formula piena, tre di loro sono stati condannati a due anni di reclusione per favoreggiamento al terrorismo. In pratica, hanno avuto una pena che riflette il favoreggiamento semplice malgrado siano stati giudica i come veri e propri terroristi.
La domanda che non possiamo che porci è se questi escamotage possono reggere di fronte alla necessità che hanno gli stati di assicurare una giustizia equa e corretta?
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