Terrorismo
Tutto bene, ma non troppo
Tutto bene
Oggi in una conferenza stampa presso il Bundeskriminalamt, il portavoce del Ministero degli esteri ha ringraziato apertamente il nostro Paese per la collaborazione. L’amministrazione tedesca ha apprezzato come le autorità consolari a Milano siano state avvisate in via confidenziale degli sviluppi. Ed anche dalla polizia di Berlino un tweet “Grazie e pronta guarigione ai colleghi feriti”. E soprattutto ringraziamenti alle autorità italiane anche da Angela Merkel. La Cancelliera non ha omesso di augurare al poliziotto ferito, Christian Movio, una pronta e piena guarigione ed ha speso una parola per ricordare la 31enne di Sulmona Fabrizia di Lorenzo, anche se non ha fatto esplicitamente il nome di nessuno dei due, così come ha omaggiato la memoria dell’autista polacco del camion per primo rimasto vittima di Amri.
Alla fine il ricercato in tutta Europa in connessione all’attentato del 19 dicembre a Berlino, Anis Amri è caduto in un conflitto a fuoco a Sesto San Giovanni e la Germania tira il fiato. Sesto San Giovanni è stata un tempo luogo di rifugi delle Brigate Rosse, ha ricordato il corrispondente della tv tedesca ARD da Roma Richard C. Schneider, sottolineando che le autorità italiane hanno acquisito molta esperienza nel contrasto al terrorismo ed anche nel controllo degli ambienti salafiti. Perizia necessitata dal fatto che l’Italia è stata lasciata per anni sola dai partner europei ad assorbire migliaia di profughi ed ancora lo è in buona misura, verrebbe da aggiungere.
Adesso la Penisola viene vista in buona luce, dopo che il Der Spiegel appena ieri aveva censurato che le autorità italiane nel caso di Anis Amri avrebbero attivato con ritardo la procedura di scambio di informazioni di polizia giudiziaria prevista dal trattato di Schengen.
ma non troppo
È bello essere apprezzati all’estero e si dia ai poliziotti che rischiano la pelle ogni merito. Ciò premesso però non c’è solo di che essere entusiasti. Non solo perché il reo è deceduto e purtroppo non può essere processato ed interrogato. Ma soprattutto perché tutte le dichiarazioni ufficiali lasciano emergere che Amri è stato reso inoffensivo solo per caso. Solo dopo il conflitto a fuoco con l’agente Luca Scatà ed i controlli delle impronte della salma si è potuto capire perché il magrebino non voleva farsi controllare e diceva di non avere documenti ma di essere di Reggio Calabria. Non si aveva alcuna idea che fosse rientrato in Italia pur essendo ricercato! Nessun sistema di ripresa posto nelle stazioni ferroviarie ed ai valichi ha saputo riconoscerlo e lanciare l’allarme.
Secondo fonti ufficiali riferite dalla stampa internazionale Anis Amri era transitato prima a Torino da Chambery in Francia, e da qui col treno notturno ha proseguito per Milano dove è arrivato verso l’una del mattino. Si deve ricostruire come abbia potuto attraversare indisturbato almeno 3 Paesi dell’area Schengen nonostante fosse ricercato; quanti lo possono avere aiutato o coperto e chi ha incontrato; i suoi movimenti durante tutta la fuga ed anche cosa abbia fatto per due ore passate nel milanese prima di essere intercettato dalla volante della Polizia?
Era un pericolo noto
Il 24enne tunisino era già noto alle autorità di polizia di diversi Paesi. Era stato già condannato in contumacia a 5 anni in Tunisia per furto aggravato, arrestato in Italia e fermato anche in Germania. Il New York Times ha riportato anche che almeno in un’occasione i servizi segreti statunitensi avevano intercettato una sua comunicazione con l’ISIS attraverso il sistema criptato Messenger; si sarebbe anche informato via internet sulla costruzione di ordigni esplosivi ed era perciò escluso dall’ingresso negli USA.
Secondo ricerche delle testate giornalistiche tedesche WDR/NDR/SZ Amri aveva gravitato nel gruppo salafita dell’imam Ahmad Abdelaziz A. alias Abu Walaa, arrestato il mese scorso perché considerato il numero 1 dell’ISIS in Germania. La polizia berlinese lo aveva posto sotto osservazione da marzo a settembre col sospetto che volesse armarsi per fare un attentato, ma non trovando conferma le misure di ascolto furono interrotte. Gli inquirenti lo ritenevano però capace di un gesto terroristico; in un estratto dal registro delle persone pericolose riportato dal BR figurava “Il sospetto cerca in modo attivo in tutta la Germania altre persone per perpetrare attentati con retroscena islamista. Ha intenzione di procurarsi attraverso ambienti islamisti in Francia un’arma di grosso calibro a ricarica rapida. Attualmente si deve ritenere che persegua i suoi piani in modo costante e duraturo di commettere un attentato.” Secondo il Der Spiegel si era già offerto come kamikaze. Visti i sospetti avrebbe forse potuto venire arrestato per implicazioni in reati minori, compreso lo spaccio di droga in un parco della capitale.
Estremamente mobile, quest’estate fu invece ancora sorpreso in viaggio con documenti falsi italiani su un pullman a Friedrichshafen, vicino al confine elvetico. Solo allora venne posto in carcere preventivo all’espulsione a Ravensbruck ma fu rimesso in libertà dopo un paio di giorni. Come in Italia, non si poté espellerlo perché la Tunisia non lo aveva voluto riconoscere come cittadino. Solo quando il suo nome era emerso in connessione ai fatti di Berlino i documenti erano arrivati.
In Germania gli inquirenti ne avevano cercato la presenza più volte presso la moschea nel quartiere Moabit. Non è una moschea qualsiasi, in realtà avrebbe dovuto essere chiusa da tempo e l’associazione Fussilet 33 che la gestisce vietata e sciolta -ha sostenuto la tedesca rbb- riferendo che in verbali di intercettazioni telefoniche era nota come “moschea dell’ISIS”. Già 2 anni fa era stata perquisita e diversi responsabili e frequentatori processati proprio con l’accusa di agire per l’ISIS, uno aveva addirittura realizzato un cosiddetto video sullo stile di quelli fatti dagli attentatori suicidi. Ora si sta rivalutando se procedere alla chiusura.
Tra i passaggi poco chiari ci sarebbe anche, come ha indicato la Die Welt che il Marocco avrebbe avvisato il Bundesnachrichtendienst della pericolosità di Anis Amri già in settembre ed ottobre. Con tutto ciò Anis Amri è andato in giro per l’Europa con un’arma di fabbricazione tedesca calibro 22.
La SZ ha censurato anche che gli inquirenti abbiano ispezionato la cabina del camion solo tardivamente, mentre avrebbero invece potuto individuare prima i documenti del tunisino. Anche se in effetti una ragione la offre il Der Spiegel: si doveva attendere che i cani poliziotto potessero entrare in azione.
Un terrorista in meno, ma quanti altri ancora pronti?
È ancora pure da chiarire chi e con quali intenti aveva reso irraggiungibile martedì per due ore e mezzo con un attacco D-Dos, giudicato professionale, il portale predisposto dalla polizia per raccogliere immagini e filmati caricati dai visitatori del mercatino nella sera dell’attentato dai quali gli inquirenti confidavano di poter trarre indizi utili.
La minaccia terroristica, poi come ha anche evidenziato il Ministro degli interni Thomas de Maizière non è attenuata. Infatti oggi sono stati arresti a Duisburg due fratelli kosovari di 28 e 31 anni che avrebbero pianificato un attentato a sfondo islamista nell’Outlet Centro di Oberhausen. Anche a Melbourne sono state fermate 7 persone, di cui 5 arrestate, che avrebbero voluto compiere una serie di attentati. Il 21 dicembre c’è stato anche l’arresto di un altro sospetto islamista in Germania. La polizia in Bassa Sassonia ha acciuffato il 24enne marocchino Redouane S. sospettato di essere stato membro dell’ISIS nel 2014 e 2015 ed avere aiutato Abdelhamid Abaaoud, il regista dell’attentato a Parigi del 13 novembre 2015 che fu poi ucciso pochi giorni dopo in un conflitto a fuoco. Da informazioni della Procura Generale tedesca tra ottobre 2014 e la primavera del 2015 Redouane S. avrebbe assicurato all’organizzazione appartamenti in Turchia e Grecia usati per i preparativi dell’attentato in Francia. Inoltre sarebbe stato coinvolto nella pianificazione dell’attentato sventato nel gennaio 2015 nella cittadina belga di Vervier. Anche quando entrò in Germania nel maggio 2015 Redouane avrebbe mantenuto i contatti con Abaaoud, tenendosi pronto alle sue chiamate.
Angela Merkel riconosce che deve virare
Non altrettanto quanto da vivo, ma un po’ anche da morto Anis Amri è un grattacapo per Angela Merkel.
La Cancelliera, con tutte le circostanze ricordate è già stata facile appiglio per critiche dai banchi degli alleati della CSU prima ancora che dalla AfD.
Ma non solo; ci deve essere malcontento anche tra le forze di polizia tedesche. Altrimenti non si riuscirebbe a spiegare come mai Lutz Bachmann, l’ex leader del movimento Pegida, abbia potuto twittare appena un paio d’ore dopo l’attentato di Berlino, aizzando gli animi, che il responsabile dell’attentato era un “musulmano tunisino”. Può solo aver avuto delle informazioni da fonti di polizia prima che queste fossero affatto rese pubbliche. Non stupirebbe stante che sono stati già individuati e sospesi dei poliziotti simpatizzanti per i Reichsbürger.
Il fatto che Angela Merkel stessa abbia detto che se si dovesse accertare che il responsabile dell’attentato fosse un migrante “sarebbe ancora più raccapricciante” la pone adesso nella posizione di doversi difendere politicamente. Anche perché in Germania, secondo dati della SZ, ci sono ben 168.000 migranti con lo status di “tollerati”, come era il caso di Amri, 55.000 dei quali minorenni. Anche se non si tratta di potenziali terroristi resta il fatto che in 37.000 non possono essere espulsi per mancanza dei documenti e che uno status che dovrebbe durar al massimo 18 mesi di fatto per circa 21.000 persone è una condizione protratta da oltre 10 anni.
Sono inoltre poco meno di 550 i soggetti ritenuti pericolosi che andrebbero osservati 24 su 24, ma -come la ZdF ha registrato- mancano gli uomini per farlo e per formarne nuovi ci vorranno anni.
La Cancelliera ha dimostrato di aver recepito l’urgenza di mutare la rotta ed ha annunciato che adesso si deve capire se e quali misure politiche o legislative devono essere cambiate. Ha annunciato di aver incaricato il Ministro degli Interni Thomas de Maizière e quello di Giustizia Heiko Maas, unitamente agli omologhi dei Länder ed i funzionari del Cancellierato di chiarire in ogni dettaglio il caso Amri e presentare in tempo stretto le indicazioni sui punti che si rivelassero critici. “Facciamo tutto il possibile perché il nostro Stato sia uno Stato forte, per garantire la difesa di tutti dobbiamo lavorare ancora intensamente, su questo potete fare affidamento”, ha assicurato. “La nostra democrazia, i nostri valori e la nostra umanità sono la controproposta al mondo pieno d’odio del terrorismo e saranno più forti del terrorismo”.
Al contempo Angela Merkel ha informato di aver parlato col Presidente tunisino Beji Caid Essebsi e di avergli chiarito che anche se tra i due Paesi c’è una buona collaborazione nella lotta al terrorismo, essa deve essere migliorata per quanto attiene ai rimpatri che devono essere più veloci ed in maggiore quantità.
Si tenga presente che l’ONU stima che circa 5.500 tunisini combattano nelle fila dell’ISIS, come ha citato la tedesca ZdF riportando che uno studio dell’Istituto Nazionale Tunisino della Gioventù rivelerebbe che un terzo dei giovani crede sia necessario un Islam radicale e dal 5 al 7% arriverebbe a giustificare il ricorso ad attentati per imporlo.
Intanto oltre oceano il presidente Trump -avvisa il New York Times- ripete che intenderebbe creare un registro dei musulmani e fermarne l’immigrazione negli USA.
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