Grandi imprese
Turchia: il sequestro del magistrato e il silenzio imposto sui media
Si è da poco conclusa l’operazione delle forze speciali turche. Il magistrato è uscito in condizioni gravissime dal palazzo di giustizia ed è arrivato all’ospedale morto mentre i sequestratori sono rimasti uccisi nel blitz delle forze speciali. L’articolo che segue precede questi fatti e racconta il contesto della vicenda.
L’ultimo giorno di marzo in Turchia inizia con l’attesa notizia del rallentamento della crescita economica del paese e in mattinata si abbatte sull’intero territorio anatolico il più grande black out elettrico degli ultimi 15 anni. La tensione nel paese tocca però l’apice verso l’ora di pranzo. Sono da poco passate le due quando comincia ad essere diffusa la foto di un magistrato imbavagliato e con un pistola puntata alla tempia da un sequestratore a volto semi coperto. Sullo sfondo un muro tappezzato con una falce e martello gialla in campo rosso e soprattutto l’immagine di Berkin Elvan, il quindicenne colpito da un candelotto lacrimogeno sparato dalla polizia durante le proteste di Gezi Park e morto, poco più di un anno fa, dopo 269 giorni di coma per le complicazioni dovute a quel tragico fatto.
Siamo all’interno di un tribunale di Istanbul. L’uomo tenuto in ostaggio nella foto è Mehmet Selim Kiraz , il magistrato coinvolto nelle indagini sulla morte del ragazzo. Si tratta di un procedimento giudiziario spinoso che, a più di un anno dalla scomparsa di Berkin Elvan, non è ancora arrivato a nessuna conclusione.
Sembra che a rivendicare il sequestro sia il Fronte Popolare Rivoluzionario di Liberazione (DHKP-C), un gruppo fuorilegge di estrema sinistra attivo dalla fine degli anni ’70 e con numerosi attentati omicidi alle spalle. A pochi minuti dal sequestro, un sito vicino al DHKP-C diffonde le condizioni per il rilascio dell’ostaggio. Tra queste spicca la confessione in diretta del poliziotto sospettato di avere ucciso Berkin Elvan e un processo per gli altri poliziotti sospettati condotto da un “tribunale del popolo”.
C’è poco più di un’ora di tempo. Mentre i minuti passano, l’edificio del tribunale di Istanbul dove il magistrato è tenuto in ostaggio viene evacuato e circondato dalla polizia. Le forze speciali fanno irruzione. Fuori dal tribunale alcune decine di persone protestano gridando slogan in favore di Berkin Elvan, alcuni di loro verranno portati via dalla polizia. È già scaduto il limite temporale imposto dai sequestratori quando il capo della polizia dice che ci sono trattative in corso e che per il momento non si sono verificate ulteriori complicazioni. La dichiarazione più importante della giornata è forse quella del padre di Berkin Elvan che chiede la liberazione del magistrato affermando: “Mio figlio è morto ma nessun altro dovrebbe morire”.
Un silenzio assordante avvolgerà la situazione da quel momento in avanti. Il Consiglio Supremo della Radio e della Televisione (RTÜK) impone infatti un silenzio mediatico sui fatti di Istanbul per ragioni legate alla sicurezza pubblica. Non è la prima volta che i mezzi di comunicazione in Turchia vengono messi a tacere per ragioni di questo tipo. Escludendo i temporanei blocchi a Twitter e YouTube nel 2014, negli ultimi 4 anni non è stato permesso alla stampa di rivelare informazioni su alcuni eventi in più di 150 occasioni tra cui le indagini su importanti scandali di corruzione che hanno coinvolto anche l’attuale presidente, all’epoca primo ministro, Recep Tayyip Erdoğan e alcuni ministri di governo. L’auspicio è che il black out mediatico si concluda al più presto e coincida con un esito positivo di questa turbolenta giornata.
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