Parigi
Stiamo rimuovendo i nostri morti
Settimane fa, la drammatica foto di un bambino siriano adagiato su una spiaggia in Grecia, morto annegato, rimbalzava continuamente tra le prime pagine dei quotidiani, le aperture dei siti d’informazione, i video delle tv e i post dei social network. A chi alzava il sopracciglio di fronte a tale scelta, veniva ribattuto che è un nostro dovere informare, far conoscere, insegnare.
Ad oggi, a pochi giorni dagli attentati di Parigi – ma forse è solo una impressione -, si respira una specie di angoscia nel voler riproporre gli scatti dei cadaveri coperti dai teli, una sorta di autocensura per allentare la tensione e si preferiscono le foto dei mazzi di fiori e dei cerini lasciati sui luoghi della tragedia. C’è in giro un’immagine dell’interno insanguinato del Bataclan (alcuni corpi, scie di sangue), ma non ha la stessa eco del povero bambino siriano.
Stiamo rimuovendo i nostri morti, convinti così di tenere lontana la guerra e la morte che con essa arriva, preferendo un rifugio abusato nelle note di un inno utopico come Imagine, nei gadget di Facebook e nel merchandising del buonismo, ma non esistono scorciatoie alla realtà.
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