Terrorismo
Senza un pensiero lungo il terrore ha già vinto
Solo poche ore fa mi trovavo in un’assemblea dove una persona che conosco da molto tempo spiegava come le moderne democrazie occidentali, un tempo fondate sui partiti, siano ormai sempre più democrazie fondate sulle leadership, un dato di fatto che – a suo dire – dovremmo tutti accettare e da cui bisognerà partire per ripensare i luoghi della politica e della partecipazione. E se trovo l’analisi sullo stato delle cose condivisibile, direi incontestabile, ciò che mi ha lasciato perplesso di quell’intervento è stato l’utilizzo della parola “modernità”, riferito a un fenomeno che di moderno ha davvero poco, anzi ci riporta in un mondo governato da capi più o meno longevi, più o meno illuminati. Un mondo che forse dovremmo lasciare alla sua antichità, impedendone il ritorno con ogni mezzo che abbiamo a disposizione.
Ho così iniziato a riflettere e a collegare pensieri, cioè a compiere azioni non richieste in questa presunta modernità, rischiando però di ricadere per induzione in un provincialismo dell’intelletto dove i riferimenti erano assai poca cosa, perché livellati su una decadenza tutta italiana: berlusconismo, renzismo, grillismo. Ma proprio in quei momenti in cui ho provato a mettere in ordine le riflessioni, si è consumata la strage di Nizza e ho subito il conseguente trauma per la drammaticità di tutto quello che nelle ultime ore ci sta passando davanti agli occhi.
Da quel poco che sappiamo, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, cittadino tunisino residente a Nizza con diversi precedenti penali, non era schedato dai servizi segreti francesi come potenziale aderente a gruppi filo-terroristici vicini all’Is. Da ciò che raccontano di lui non era neanche un musulmano praticante. Era sicuramente un poco di buono che picchiava la moglie e i figli, che viveva in libertà vigilata per reati di rissa e furto a mano armata. Pare fosse depresso per il divorzio giustamente voluto dalla donna. Sappiamo che per uccidere 84 persone e ferirne più di 200 ci ha messo meno di due minuti.
Al momento non è chiara la genesi dell’attentato, l’Is “festeggia” ma non “rivendica” e ciò non deve rassicurare ma forse angosciare ancor di più. Perché se l’attentatore – ipotesi al momento più accreditata dagli inquirenti francesi – ha agito in solitudine, compiendo in un solo atto “strage e attentato con finalità di terrorismo”, siamo di fronte a una preoccupante mutazione della stessa definizione di terrorismo e a una crescita esponenziale della pericolosità del fenomeno. Se è vero che – come sostiene Bernardo Valli su Repubblica – in Francia esiste un terrorismo fatto di persone o gruppi isolati composti da magrebini di seconda e terza generazione, che pur ispirandosi all’Is e ai suoi proclami (in uno dei quali si chiedeva di uccidere gli infedeli anche investendoli con l’automobile) non sono organici ad alcuna cellula terroristica, la conseguenza è che esistono potenziali “bombardieri” – assai più pericolosi dei caccia francesi che bombardano la Siria – sparsi in tutto il mondo, soprattutto nelle zone di sofferenza di questa presunta modernità.
Ritorno così alle riflessioni sulle democrazie dei leader, personaggi spesso mediocri come François Hollande, che con i suoi errori in politica estera (ma sarebbe più corretto definirla politica bellica) e la sua palesata incapacità, ha trascinato il suo paese in una guerra dove il campo di battaglia è ovunque. Una guerra che con le armi non può essere vinta e di cui forse proprio il drammatico simbolismo di questa ricorrenza può darci la chiave per capire da cosa sia stata generata.
La Bastiglia era quella che un Gramellini qualsiasi definirebbe “una prigione del pensiero”. Lì venivano rinchiusi dissidenti politici e intellettuali scomodi con le lettres de cachet e per questo – seppur ormai fosse quasi in disuso – la sua presa in quel 14 luglio del 1789 fu considerata l’inizio della Rivoluzione Francese. Forse in questo mondo sempre più monopolizzato da piccoli leader passeggeri, sarebbe ora di ricominciare a dar spazio a un pensiero lungo, abbattendo le tante prigioni mentali di questa presunta modernità. Un pensiero che dia un nuovo scopo e una nuova forma alla nostra convivenza è probabilmente l’unica arma efficace che potremmo opporre alle ideologie dell’odio che si nutrono delle ingiustizie di un pianeta ormai stremato che siamo sempre meno capaci di abitare.
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