Terrorismo

Sangue sul Reddito: perché devono studiare la storia

2 Ottobre 2019

Smettetela di baloccarvi con gli errori di geografia dei quattro che girano per il paese. La terribile vicenda del reddito di cittadinanza ai brigatisti rossi non è un episodio, non è nemmeno un sintomo: è la malattia di questi tempi dove la storia, le eredità ingombranti, gli scheletri negli armadi spariscono perché le nuove élite di governo, della stampa, del deep state (de’ noantri) hanno fatto della ignoranza degli elettori (e loro) lo strumento di legittimazione del potere.

A cosa pensava il legislatore quando introduceva per il reddito di cittadinanza la soglia dei dieci anni di condanna per la sua applicazione? A interdirlo agli immigrati condannati o ai “corrotti” coerentemente con l’essere l’altoparlante della italica pancia e non il politico che si candida al mestiere scomodo di guidarla. Per quanto ancora dovremo sopportare l’incapacità tecnica giustificata dal malpancismo sanculotto? Per quanto tempo ancora avremo élite che disprezzano la storia o la citano a sproposito non rendendosi conto del portato internazionale delle vicende di un Paese che ebbe il fascismo? Per quanto tempo dovremo assistere alla disgustosa (e interessatamente ignorante) discussione sulla non equiparabilità di fascismo e comunismo come regimi totalitari? Per quanto ancora dovremo sopportare di avere figli che escono dalle scuole dopo aver studiato spesso malamente la storia ma fino al ’19 perché da lì in avanti sono finite le ore di lezione e bisogna discutere del quiz della maturità?

Sono domande che è bene porsi perché io, e altri della mia generazione, abbiamo avuto, studiando, la possibilità di sapere cosa accadeva  nel ’32, quando nacque mio padre, e abbiamo vissuto gli anni ’70, un periodo ancora oggi oscuro e sanguinoso dove l’Italia mostrò, nel rischio di mille compromissioni, la sua schiena dritta di fronte al terrorismo, dove i nostri compagni di scuola erano “compagni che sbagliano” e li abbiamo visti e vissuti da vicino. I miei figli nulla sanno del ’22 del discorso sui “pieni poteri”, nulla sanno dell’anno di nascita del nonno e di “Pippo”, il bombardiere inglese che dal ’43 al ’45 scendeva a mitragliarlo quando lo vedeva in bicicletta lungo le rogge della Bassa e nulla immaginano della gioventù di papà. Eppure dopo il Risorgimento quelli sono stati i passaggi importanti del paese, storicamente e per viva cultura politica.

È vero, la storia degli anni ’70 non la abbiamo voluta scrivere noi perché ci sono nomi e cognomi vivi e vegeti. Ci indignamo per Battisti ma non scriviamo una riga sul perché di Battisti. Non spieghiamo ai nostri figli che Hannah Arendt ha scritto parole definitive sui totalitarismi del ventesimo secolo, che le stesse parole sono discusse solo per capire se il Fascismo era “totalitarismo” come Nazismo e Comunismo (Emilio Gentile) o “Autoritarismo” (Arendt e De Felice). E invece leggiamo che ancora qualcuno dice che non si possono equiparare “vittime e carnefici” come se Stalingrado fosse stata una battaglia tra totalitarismo e democrazia (mentre erano due totalitarismi che combattevano per la sopravvivenza) o come se l’Armata Rossa avesse sul serio liberato Berlino: Berlino, quella del muro di Bernauerstraße, quella che uscita dal nazismo finì sotto il comunismo e che per essere liberata dovette aspettare il Novembre dell’Ottantanove.

Il non aver scritto la storia degli anni ’70, il non aver fatto comprendere quegli errori come il non aver fatto una Norimberga italiana, almeno culturale, dopo il ’45 sono all’origine della spaventosa ignoranza del legislatore di oggi; sono all’origine della mancanza di memoria, nemmeno condivisa ma memoria autentica, che permette oggi all’anima più profonda della borghesia italiana del Nord di ripresentarsi nella sua versione più antistatuale vibrando istintivamente al suono di parole che nessuno ricorda (o vuole sapere) quanto furono gravide di conseguenze nefaste.

Avere “anestetizzato” la analisi sul comunismo degli anni ’70 relegandola nell’oblio dell’album di famiglia (qualcuno ricorderà leggendo…) comporta la rimozione dalla storia anche di tutto quanto accadde prima, dal diciannovismo in avanti. E significa che le cicatrici di chi ha subito gli anni ’70 sanguineranno copiosamente al ricordo ancora vivo; e, ancora, significa che quella grossolana banda che si accalca improvvisando l’avanspettacolo tra Chigi e Montecitorio, tra Porta a Porta e il Papeete inciamperà ogni giorno nei non ricordi, nel populismo ignorante, nella incapacità intellettuale del Paese di fare i conti con la propria storia, primo ineludibile passo (salvo errori appunto dolorosi e cialtroni) per declinare una dignitosa cultura di governo.

 

 

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