Costume

Qualsiasi estremismo è ignorante. E anche parlare di morti di serie B

19 Novembre 2015

Siamo estremisti un po’ tutti. Poi, per carità, chi più, chi meno. Io, per esempio, lo divento in auto. E alla minima trasgressione o angheria che ritengo di avere subito mi inalbero con parole taglienti e gesti irriverenti. Poi segue qualche minuto di silenzio e mi riconosco profondamente ignorante per come mi sono appena comportato. Il problema è che la volta dopo la scena si ripete, più o meno sempre alla stessa maniera. E non miglioro. Dai piccoli estremismi si passa poi ai grandi estremismi, quelli, per esempio, della politica. Il voto di protesta, tanto per cominciare, è estremistico. Così come è estremistico il populismo duro e puro, quello che cerca di minare alla base la convivenza pacifica di una società per tacciare qualcuno o qualcosa di tutti i peggiori mali che le nostre democrazie possono conoscere. Fino alla dimensione planetaria, in cui la minaccia viene portata ad una scala addirittura apocalittica. Vedi il fondamentalismo islamico, che nella confusione degli acronimi viene chiamato anche IS, ISIS o ISIL. Sarebbe meglio dire Daesh, come vuole una recente campagna partita dal web.

Ed ogni estremismo, anche quel mio piccolo estremismo da autista metropolitano, si fonda sull’ignoranza. E gioca sul vuoto di conoscenza e “fa ben gioco tra i semplici, tra quelli senza cultura e senza conoscenza, che lo seguono sulla via della paura, dello spavento”. Con questa parole Dario Fo ha definito il ‘fenomeno’ Salvini sulle frequenze di Radio Cusano Campus. Ma il fondamento etico di un politico, sottolinea Fo, dovrebbe essere ben altro, “chi fa il politico dovrebbe avere una chiarezza morale e profonda e non giocare sul falso e sull’ipocrisia”. Sulla stessa linea d’onda il commento che ha riservato Fo al titolo che Libero ha dedicato ai fatti del 13 novembre. “Quel titolo andava evitato. Questa è gente che usa qualsiasi chiave per ubriacare e sconvolgere gente che non ha conoscenza. Tutti quelli che ora vogliono strumentalizzare quanto accaduto a Parigi giocano sull’ignoranza delle persone”. Brutta bestia l’ignoranza. Perché alimenta la paura e allo stesso tempo costruisce steccati in noi stessi e tra di noi. E alimenta il sospetto, che è esattamente la cosa peggiore da fare in questo momento in cui dovremmo essere tutti davvero molto uniti.

Esemplare in questo senso è il dibattito che si è sviluppato in questi giorni sui morti di seria A e di serie B. Esemplificando, la seria A, secondo alcuni commentatori, sarebbe andata a Parigi. E la serie B a Beirut e alla Russia. Fuori dai denti di queste cose ne parlano quelle sei ragazze mussulmane di un istituto tecnico di Varese che lunedì sono uscite dall’aula durante il minuto di silenzio in commemorazione delle vittime degli attentati di venerdì sera. “Volevano capire perché commemorare solo Parigi e non l’aereo russo o Beirut – ha detto la docente all’Ansa – il gesto è stato una richiesta di aiuto a capire quale sia la discriminante nella valutazione dei morti; la scuola deve educare, formare e raccogliere gli interrogativi posti dagli alunni”. Tento una mia personale risposta: credo che valga, purtroppo, a livello psicologico, anche in questi casi, un criterio di prossimità, per cui ciò che avviene nelle nostre più immediate vicinanze ci colpisce emotivamente di più di quanto può avvenire a centinaia di chilometri di distanza. E se è lecita la domanda delle ragazze, credo sia altrettanto lecito tentare di fare capire loro che davvero non si può parlare di morti di seria B.

Allora dovremmo fare tutti molta attenzione a non dare ragione a quanti tirano fuori la logica dei morti di serie B, perché è una logica che divide. Allora quei fischi all’inno francese all’inizio di Turchia-Grecia ritengo che siano quanto mai ignoranti in un momento come questo. Perché non tengono conto del cordoglio e soprattutto perché non tengono conto di un fattore quanto mai evidente come il criterio di prossimità a cui accennavo prima. Forse sono stati il pretesto per marcare ancora una volta una differenza e allo stesso tempo un’indifferenza. I morti sono tutti uguali, sono i vivi che non lo sono per una molteplicità di ragioni. E sono i vivi che presumono differenze tra i morti e nel farlo, secondo me, li privano di quel necessario rispetto che meritano. Li privano di quella solenne considerazione che si deve dare a coloro che sono vittime della violenza più cruda. E li privano di quel doveroso ricordo che dovrebbe essere tributato loro. I morti, a qualsiasi nazione appartengano, non si fischiano. E forse non si dovrebbe nemmeno inveire dall’abitacolo delle nostre auto contro coloro che popolano gli abitacoli di altre auto. Sono tutte persone come noi. E contro le persone non si dovrebbe né fischiare, né inveire. Mai!

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