Terrorismo

Povera Valeria, vittima prima dell’Isis e ora della pornografia della morte

24 Novembre 2015

Il dottor Michele Gallucci non è un politico né un personaggio pubblico. E’ un medico. Responsabile dell’Hospice annesso all’ospedale San Martino di Genova, in trentacinque anni di attività ha accompagnato alla morte, stando a un suo calcolo approssimativo, circa diecimila persone. Pazienti per i quali le cure non avrebbero potuto più nulla e che vengono indirizzati a questo tipo di strutture per le cure palliative che ne possano lenire le sofferenze fisiche ed esistenziali.
Gallucci è stato intervistato da Matteo Viviani per un servizio su eutanasia e suicidio assistito che potete guardare sul sito del programma di Italia 1 a questo link.

Involontariamente, il dottor Gallucci, intervistato nell’estate scorsa, quando è stato realizzato il servizio mandato in onda ieri sera, ha introdotto un argomento che può legarsi all’attualità di questi giorni, a quello che sta accadendo intorno alla morte di Valeria Solesin, l’unica vittima italiana delle stragi del 13 novembre a Parigi, i cui funerali, celebrati stamattina, saranno seguiti in diretta anche dal Tg1.

“Esiste una pornografia della morte”, ha asserito Gallucci. In altre parole, “in una società che guarda al benessere e alla forma fisica la morte non deve apparire”.
Una considerazione che porta a riflettere amaramente intorno al cadavere di Valeria Solesin, dove a uscirne a testa alta sono i genitori della dottoranda veneziana vittima dell’Isis, non i politici e i media italiani.

Quando nel marzo scorso ci fu la strage al museo del Bardo, tra le ventidue vittime dei terroristi ci furono quattro italiani. Sfido chiunque a citarne a memoria i nomi.
Per loro non ci furono funerali di Stato, passerella delle più alte cariche istituzionali e nessuna rete, pubblica o privata, decise per la diretta delle esequie.

Per spiegare questo diverso trattamento, forse bisogna approfondire proprio le parole del dottor Gallucci sulla pornografia della morte.
Valeria Solesin era un bella ragazza, l’abbiamo vista sorridente in tutte le sue foto, è morta dissanguata tra le braccia del suo fidanzato. Tutte circostanze che l’hanno resa la protagonista ideale per il casting di una morte altamente “pornografica”, secondo quelli che sono i canoni che nel 1955, lo psicoanalista e sociologo Geoffrey Gorer descrisse in un articolo intitolato proprio “La pornografia della morte”, in cui dimostrava come nel mondo occidentale la morte fosse diventata qualcosa da mettere da parte, da allontanare dalla vita sociale. Parlare della morte era considerato di cattivo gusto, la morte si costituisce dunque come un nuovo tabù così come il sesso lo era stato in epoca vittoriana. Chi vuole leggere l’intero articolo (in italiano) pubblicato sulla rivista Encounter può scaricare il pdf dal link qui sotto:

La pornografia della morte (G. Gorer)

Collegare la pornografia alla morte a molti può sembrare un ossimoro. Siamo abituati ad associare la pornografia al sesso, alla gioventù, al godimento, alla vita; la morte alla fine, alla vecchiaia, alla decomposizione dei corpi, al dolore. Qual è, dunque, il legame tra i due? Il legame – ci spiega Gorer – sta nel fatto che entrambi sono circondati da divieti, interdizioni, tabù che rendono difficile la libera circolazione di parole, espressioni, comportamenti relativi alle rispettive sfere di azione.

Come scrive il sociologo Romolo Capuano

Che le cose stiano così, è facile verificarlo. Nella contemporaneità, la pornografia ha perso quasi tutti i suoi veli censori, perdurando poche interdizioni anagrafiche (come la proibizione di contenuti esplicitamente sessuali ai minori di diciotto anni); geografiche (il materiale pornografico non può essere esibito liberamente dappertutto e in tutti i paesi), e temporali (le televisioni non possono trasmettere programmi pornografici in tutte le fasce orarie, a meno che non siano canali on demand). Per il resto, la pornografia è oggi ubiquitaria e, a dispetto di divieti sostanziali e retorici, accessibile a tutti tramite internet e le nuove tecnologie. La pornografia detta il nostro sapere in fatto di sessualità (mai come nel nostro tempo abbiamo avuto modo di accedere al backstage del sesso in maniera così facile), rivoluziona il senso del pudore, orienta comportamenti sessuali e stili di vita, promuove i suoi interpreti al ruolo di star dell’entertainment (con fughe laterali verso domini apparentemente altri, come la politica e l’imprenditorialità), invade campi contigui come il cinema mainstream, la pubblicità, la moda, la letteratura, il mondo accademico. Tanto che non è esagerato dire che siamo tutti pornofili, che ne siamo consapevoli o no.
Al tempo stesso, la morte è quasi scomparsa dal nostro orizzonte esistenziale, ed è stata relegata in anfratti angusti, quasi invisibili, certamente poco frequentati. Non si muore più a casa, ma più spesso in ospedali, cliniche, ospizi. I funerali hanno perso del tutto la maestosità e l’importanza di un tempo e sono percepiti come poco più di una formalità burocratica, razionalmente gestita e poco visibile, affidata a efficientissime agenzie funebri o funeral homes, che sovrintendono a ogni singolo aspetto del rituale, dal manifesto funebre ai doveri di comunicazione anagrafica. I cortei funebri, con il loro carico di dolore e lutto, non attraversano più le strade delle città. Intere categorie sociali (bambini, malati) sono sollevate dal prendervi parte. I cadaveri non appaiono nella loro caducità, ma sono imbalsamati, cioè vivificati in maniera artificiale, in modo che non impressionino i sopravvissuti. I cimiteri, un tempo urbanisticamente centrali, sono luoghi sempre più marginali e conchiusi, affinché non vi sia commistione tra i vivi e i morti. Non si indossano più abiti listati a lutto. Non esistono più le prefiche. Il pianto di dolore è sempre più contenuto e, se prolungato oltre un certo tempo, che tende a essere sempre più breve, soggetto a certificazione medica.
Soprattutto, però, ciò che dà fastidio è parlare della morte, un tempo oggetto di riflessioni e prediche sulla precarietà dell’essere umano. E allora, ecco un articolato apparato eufemistico sempre pronto a venirci in soccorso, allorché un parente o amico muore, o meglio, “passa a miglior vita”. L’alternativa è la spettacolarizzazione, l’esibizione a scopo di consumo, la glamourizzazione della morte, come appare in film come Weekend con il morto (1982), serie televisive come Six Feet Under, programmi che offrono autopsie ogni giorno, 24 ore su 24. L’importante è evitare ogni riferimento diretto alla morte, che è semplicemente inaccettabile nella sua dimensione più cruda.

Quello che sta accadendo attorno al cadavere della povera Valeria può essere spiegato anche direttamente con le parole di Gorer (morto nel 1985).

La pornografia si sviluppa contemporaneamente al senso del pudore e, di solito, i periodi di maggiore produzione pornografica sono caratterizzati da manifestazioni estreme di pruderie. Al contrario dell’oscenità, che è definita soprattutto dalla situazione, il pudore è definito dal soggetto: un dato aspetto dell’esperienza umana è considerato intrinsecamente vergognoso o ripugnante, per cui non è possibile discuterlo o menzionarlo in pubblico, né avvicinarsi a esso, se non in maniera clandestina, tra sentimenti di colpa e viltà. A questo punto, l’aspetto innominabile dell’esperienza diventa oggetto di molte fantasie private, più o meno realistiche; fantasie colme di piacevoli sensi di colpa o di piaceri colpevoli; chi è dotato di scarsa fantasia o nutre bisogni insaziabili alimenta il mercato delle fantasie su carta sostenuto del pornografo

E ancora:

Nel diciannovesimo secolo, caratterizzato da alti tassi di mortalità, solo rari individui riuscivano a evitare l’esperienza di veder morire almeno una persona o di porgere i propri omaggi alle “belle salme”; i funerali erano occasione di grande ostentazione per la classe operaia, per la classe media e per l’aristocrazia. Il cimitero costituiva il luogo principale di ogni villaggio antico, ed era un elemento di primo piano in quasi tutte
(…)
Non credo di conoscere una sola persona di età inferiore ai trenta anni che abbia avuto la stessa esperienza. Ovviamente le mie conoscenze non sono molto ampie, né compongono un campione particolarmente rappresentativo; ma, in questo caso, penso che le loro risposte indichino un mutamento di atteggiamento e di “visibilità”.

Mentre la morte naturale è sempre più soffocata dal senso del pudore, la morte violenta svolge un ruolo sempre più importante tra le fantasie offerte dai mass media: racconti polizieschi, gialli, film western, romanzi di guerra, storie di spionaggio, fantascienza e, da ultimo, fumetti dell’orrore. Mi sembra che esistano una serie di paralleli tra le fantasie che stimolano la nostra curiosità a proposito del mistero del sesso, e quelle che stimolano la nostra curiosità a proposito del mistero della morte. In entrambi i casi, le emozioni solitamente correlate alle azioni – l’amore e il dolore – ricevono scarsa o nessuna attenzione, mentre le sensazioni acquistano intensità nella misura in cui lo consente la tradizionale insufficienza del linguaggio.

Il senso di questo articolo non vuole essere né polemico né divisorio, ma i morti per mano dei terroristi avrebbero meritato forse uguale trattamento. Senza dimenticare mai che “lo sfarzo dei funerali interessa più la vanità dei viventi che la memoria dei morti” (François de La Rochefoucauld).

Riposa in pace, Valeria.

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