Germania
Neonazista accusato di correo in pluriomicidio difeso citando Hitler
La Corte è più che prevenuta ed il verdetto di condanna sarà già stato scritto fin dal primo giorno di processo perciò non avremmo voluto neanche presentare le conclusioni difensive; il nostro cliente è un neonazista e come tale colpevole già condannato dalla stampa e dai giudici. Così più o meno hanno esordito nella settimana appena conclusasi due dei tre legali che difendono l’ex consigliere comunale della NPD Ralf Wohlleben imputato di correo in 9 casi di omicidio e sostegno dell’associazione terroristica Clandestinità nazionalsocialista NSU. Nicole Schneiders, che all’inizio del processo aveva i capelli tinti di rosso ed ora di bianco, ed il collega Olaf Klemke, che per contrasto il capo lo ha sempre perfettamente rasato, sono entrambi politicamente schierati all’estrema destra, ma non per questo avvocati impreparati. Con affondi contro i giudici e contro i media hanno ripetuto che il loro assistito per il quale l’accusa ha chiesto una condanna a 12 anni dipingendolo come il burattinaio che tirava i fili di tutti coloro che hanno aiutato i terroristi e che ha procurato loro la Česká 83 con silenziatore usata per otto omicidi di cittadini con origini turche e nell’assassinio di uno di origine greca ed altre due armi, una attraverso il militante di destra Jürgen Helbig ed una consegnata dall’altro imputato Holger Gerlach, in realtà è innocente e va assolto.
La sua unica colpevolezza sarebbe stata quella di avere voluto aiutare gli amici Uwe Böhnhardt, Uwe Mudlos e Beate Zschäpe, i primi due morti suicidi il 4 novembre 2011 dopo essere stati intercettati dalla polizia dopo una rapina in banca, la terza sul banco degli imputati con lui. Li aiutò a sottrarsi all’arresto nel 1998 quando fu scoperta un’officina per fare delle bombe in un garage affittato da Beate Zschäpe e decisero di darsi alla macchia, ma lui non avrebbe mai saputo che le bombe fossero null’altro che ordigni dimostrativi. I due avvocati a turno ripetono che Ralf Wohlleben si è sempre dimostrato contro la violenza. Non lo si po’ ritenere un razzista per avere giocato una sola volta al gioco Pogromly, una versione antisemita del Monopoly fatta dai tre in clandestinità, ma che non trovò neppure divertente. Il suo convincimento è invece che tutti i popoli hanno pari dignità, purché ciascuno stia a casa propria. Per questo ha concepito la “Festa dei popoli per un Europa delle Patrie” un raduno di estremisti di destra che, da un’informativa dei servizi di scurezza italiani (AISI) agli atti avrebbe avuto un’edizione anche a San Martino di Passiria (BZ) nel 2007. (La stessa fonte indica poi che nel marzo di due anni dopo Ralf Wohlleben avrebbe partecipato anche ad un altro incontro nella provincia di Bolzano, questa volta a Caldaro, dove neonazisti tedeschi avrebbero dato una elargizione di denaro per il sostegno degli omologhi sudtirolesi). In un filmato propagandistico dall’emblematico titolo “Xenofobia” di cui i legali vorrebbero venisse ancora effettuata la proiezione in aula, hanno indicato, il pacifismo del loro cliente emerge a tutto tondo. Che tra i capi di Ralf Wohlleben spiccasse anche una maglietta con la raffigurazione della rampa di arrivo dei treni di deportati ad Auschwitz-Birkenau e la dicitura “ferrovia romantica” non hanno fatto cenno. Errore giovanile, solo per non fare brutta figura col gruppo di amici, che abbia partecipato ad appendere un manichino con una stella gialla attaccato con dei cavi ad una finta bomba su un ponte dell’autostrada dove doveva passare il convoglio dell’allora Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche tedesche Ignatz Bubis.
All’ex consigliere comunale della NPD di Jena, hanno indicato i legali, può solo rimproverarsi di avere acconsentito alla domanda di Uwe Böhnhardt, che era già stato traumatizzato in carcere, di fargli avere un’arma per suicidarsi in caso fosse caduto in mano agli agenti. Non sarebbe però stata la pistola usata dai terroristi per uccidere, come afferma la Procura forte dei risultati balistici e del ritrovamento di una Česká 83 calibro 7,65 mm con silenziatore semicarbonizzata nelle ceneri del rogo dell’ultimo covo del gruppo terroristico a Zwickau.
Ralf Wohlleben ha preso posizione sulle accuse rispondendo alle domande di tutte le parti con la sola eccezione dell’avvocato Axel Hoffmann (questi rappresenta una cittadina di origini turche che ha visto potenzialmente la propria vita messa in pericolo dall’esplosione di una bomba a Colonia nel 2004 ma per la difesa dell’imputato non sarebbe stato legittimato, al contrario la Corte, sentito un perito, lo ha ammesso come legale di parte civile). I due avvocati sottolineano che Ralf Wohleben ha risposto in prima persona a tutti i punti di accusa. Il fatto che non abbia voluto dare la password per decifrare un hard disk sequestrato in casa sua è da ritenersi esercizio legittimo del diritto di non fornire agli inquirenti prove a proprio carico. Ralf Wohlleben avrebbe poi prestato la propria mediazione anche con l’avvocato Hans Günter Eisenecker -un legale deceduto già legato alla NPD – perché almeno Beate Zschäpe si costituisse uscendo dalla clandestinità ed in ogni caso dal 2001 avrebbe cessato di prestare qualsiasi ulteriore aiuto ai fuggiaschi. Quello che i legali non evidenziano è che Ralf Wohlleben ha parlato solo dopo alla 251ma udienza quando ha visto che il processo prendeva ormai una brutta piega per lui ammettendo quanto ormai innegabile.
A parte la considerazione -sia qui notato per inciso- che aiutare qualcuno ad ammazzarsi per sfuggire all’arresto non è forse una grande prova di amicizia, la responsabilità per l’imputato emerge fondamentalmente dalla testimonianza del co-imputato Carsten Schultze che ha riconosciuto l’arma come quella che Ralf Wohlleben gli avrebbe fatto comprare da Andreas S.. Carsten Schultze ha riportato che Ralf Wohlleben avrebbe maneggiato l’arma in un angolo non visibile di casa propria, vi avrebbe montato il silenziatore avendo cura di indossare dei guanti di pelle nera e gliela avrebbe puntata contro con un ghigno. Episodio che l’imputato contesta, ma che per la procura comproverebbe invece egli fosse perfettamente al corrente di cosa sarebbe stato fatto con l’arma. Rivoltella di cui gli inquirenti hanno ricostruito in modo stringente tutti i passaggi di proprietà dagli armaioli svizzeri fino ai terroristi.
Proprio nel fatto che il processo si basa su una catena di indizi stringenti e convincenti, per gran parte degli osservatori la colpevolezza dell’imputato sarebbe stata comprovata. I legali difensori invece hanno messo sapientemente a nudo che l’affidabilità dell’imputato e testimone principe dell’accusa Carsten Schultze potrebbe essere fallace. In primo luogo, non parrebbe credibile egli possa avere validamente riconosciuto l’arma a distanza di oltre 12 anni avendola vista solo per pochi momenti. Non avrebbe fornito inoltre, un elenco di caratteristiche confrontabili per comprovare la genuinità del riconoscimento. Non sarebbe neppure escluso che in realtà possa avere agito per scaricare le proprie responsabilità a discapito di Ralf Wohlleben. Gli sforzi dell’imputato per fare riaffiorare ogni ricordo in un tentativo, coscientemente o meno, di guadagnarsi un’assoluzione lo avrebbero portato a provocare ricordi successivi artefatti; in parte indotti anche dagli stessi inquirenti. Le modalità stesse del riconoscimento dell’arma sarebbero state perseguite in modo errato: mentre come per ogni riconoscimento di un individuo si dovrebbe procedere a sottoporre al teste una sequenza di foto successive chiedendogli ex ante di indicare le caratteristiche che ricorda ed includendo poi nella sequenza individui simili; nel caso del riconoscimento della pistola dei delitti che si vuole essere stato operato da Schultze le armi sono state presentate tutte insieme, senza che questi abbia prima indicato in modo univoco alcuna caratteristica certa, includendo oltre a tutto anche armi affatto diverse da quella da riconoscere.
Non si tratta di critiche irragionevoli; non fosse che gli inquirenti hanno anche ricostruito in modo convincente tutti i passaggi proprio di quella Česká 83. Ma, anche a questo riguardo i difensori non si sono dati per vinti. In primo luogo, è emerso in sede probatoria un contrasto se l’arma fosse stata ordinata con il silenziatore o meno: per il coimputato Schultze no ed anzi si sarebbe dovuto trattare di un’arma di fabbricazione tedesca, ma la Česká 83 fu l’unica disponibile; per l’indagato Andrea S. gli fu invece chiesta fin dall’inizio una rivoltella con un silenziatore. In seconda battuta, le affermazioni dell’indagato Andreas S. per la difesa di Ralf Wohlleben non sono utilizzabili perché la Procura lo avrebbe indotto a fare delle affermazioni senza indicargli che quale indagato avrebbe potuto rifiutarsi di fare qualsiasi dichiarazione. In terzo luogo, la Corte avrebbe rifiutato a priori di considerare altre possibili vie alternative dell’arma. I difensori hanno reiterato la richiesta di ammettere nuovamente come testimone un componente della scena di desta che avrebbe trafficato in armi. Nel proporre nuovamente l’istanza di escussione di Sven R. hanno sfidato i magistrati, che già in passato hanno rigettato la loro istanza ma hanno poi dovuto precisare meglio le motivazioni del rifiuto. La Procura ha ribadito che anche questa volta la richiesta dovrà essere rigettata; ma è probabile che se la Corte ne seguirà l’indicazione, avendo essa già deciso che la ricostruzione della via dell’arma offerta dall’accusa è convincente, spianerà la strada ad un’ulteriore richiesta di ricusazione nei suoi confronti.
Gli inquirenti, hanno lamentato gli avvocati difensori di Ralf Wohlleben, non hanno poi voluto vedere veramente il ruolo avuto dai servizi di sicurezza nazionali tedeschi del Verfassungschutz che avevano una marea di informatori e non hanno acciuffato i fuggiaschi. Un argomento a discarico per la difesa, perché se gli inquirenti fossero stati efficienti avrebbero evitato la serie di omicidi. Una tesi sostenuta anche dalle fila delle parti civili che avevano parlato di razzismo istituzionale da parte degli investigatori. Certo il Verfassungschutz ha cercato di coprire le sue mancanze e salvo l’aver sgombrato il posto da un paio di personalità al vertice nessuno ha avuto conseguenze penali. Ma non ci sono elementi per sostenere che lo Stato abbia ammesso gli omicidi come danni collaterali per non rilevare le sue fonti; quanto invece che esso sia stato semplicemente e colpevolmente inefficace ed abbia poi cercato di coprire le sue responsabilità. Altro sarebbe se invece avesse esso stesso agito con gli informatori come agenti provocatori, come vorrebbero inferire i difensori. senza che però ce ne sia evidenza.
Gli avvocati Schneiders e Klemke hanno sottolineato che il processo è stato caricato fin dall’inizio con un profilo politico, mentre l’imputato deve essere giudicato in base alle prove e non agli indizi. In dubio pro reo. Uwe Mundlos ed Uwe Böhnahrdt erano due psicopatici che cercavano sempre maggiori sfide, colpendo sempre più in prossimità di caserme della polizia, e persino in uno spiazzo aperto in pieno giorno come nell’assassinio della poliziotta Michèle Kiesewetter, e questo non era riconoscibile dall’imputato Wohlleben come sarebbe stato dimostrato se i giudici avessero voluto disporre una perizia psichiatrica sui terroristi defunti. Non è un’obiezione del tutto infondata; anche l’ex avvocatessa di parte civile Angela Wierig aveva indicato ai giudici che gli indizi non sarebbero sufficienti -provocando però l’ira della sua mandante che sentendosi tradita le ha revocato l’incarico- e si è pure presa poi la briga di consegnare il suo punto di vista in un libro come ha riportato la taz. Non fosse che il collega e terzo avvocato della difesa Wolfram Nahrath, un passato nell’organizzazione neonazista Wiking Jugend, ha riportato tutto proprio ad un processo politico cavalcando nella sua arringa un evidente tentativo di revisionismo storico. Il legale ha dapprima offerto una sua serie di definizioni dei termini razza, etnia e popolo atte a legittimarne l’impiego in senso nazionalista; poi ha gettato in un calderone unico, quasi come fossero sinonimi, crociati, islamisti e sionisti, il genocidio armeno e le persecuzioni dei nativi americani, per relativizzare che gli omicidi di massa non sono stati un’esclusiva del nazionalsocialismo; infine ha messo insieme una serie di citazioni da Adolf Hitler a Joseph Goebbels, per passare attraverso Joachim von Ribbentrop e tanti altri e dimostrare che il nazismo è stata sì una dittatura ma Hitler era un pacifista e la seconda guerra mondiale fu voluta solo da Winston Churchill insieme agli Alleati e perciò il popolo tedesco deve smettere di sentirsi storicamente in colpa. Il rappresentante della fondazione Rosa Luxemburg, legata al partito dei Linke, insieme ad altri, si alza e lascia la platea in aperto dissenso. I giornalisti rimangono per dovere di cronaca. Nahrath conciona, i terroristi dello NSU non sapevano nulla del nazionalsocialismo, ne avevano nozioni sommarie, di loro può solo restare la U (di clandestinità). Il legale sa che nell’arringa finale può dire quasi tutto e come confermerà dopo l’udienza il Procuratore Generale Jochen Weingarten una comparsa conclusionale può anche essere affastellata di citazioni storiche di per sé irrilevanti, ma di per sé non perseguibili. I giudici dunque avrebbero fatto bene a non interromperla. Per l’avvocato di parte civile Axel Hoffmann certi avvocati vogliono più profilare sé stessi che cogliere l’interesse del cliente. Ralf Wohlleben però non ha dimostrato di dissociarsi dalle dichiarazioni del suo rappresentante legale, ha seguito tutta l’arringa mano nella mano alla moglie, così come anche il coimputato André Eminger che è dichiarato nazionalsocialista ha fatto con la propria, in uno stucchevole scambio di smancerie durante ogni pausa. A tratti saluti verso l’alto a due simpatizzanti nella platea sovrastante l’aula, uno dei quali accompagnato da un ragazzino che avrà avuto sì e no dieci anni.
Trascorso il periodo di ferie legato alle Pentecoste i giudici dovranno decidere sulle istanze probatorie riproposte e poi -se la scaletta prevista non subirà modifiche- spetterà la parola ancora ai tre legali d’ufficio dell’imputata Beate Zschäpe. Quindi gli imputati potranno prendere ancora la parola. Il dispositivo del verdetto giungerà dopo altri dieci giorni.
Immagine di copertina: Pixabay, https://pixabay.com/it/tranquillo-nonviolento-rosa-mano-3324536/
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