Arte
L’incubo del pittore Toral: Benedetto XVI in mano al Daesh
Il pittore Cristóbal Toral ha trasformato in quadro un suo incubo: il Papa emerito Benedetto XVI preso in ostaggio da due jihadisti che in mezzo al deserto lo sorreggono in attesa di una probabile esecuzione (almeno questo ci ha insegnato il loro ripetitivo e disumano copione di morte). Il Papa appare sereno, con uno strano sorriso che gli atteggia le labbra a certezza, che quasi sfida i due boia: il martirio è un concetto che cristianesimo e islam compartono, e proprio questo delinea un’assurda interdipendenza tra le figure della vittima e quella degli esecutori della condanna: il Papa, forte della sua fede, mantiene la serenità anche difronte al male, necessario all’esaltazione del bene (ricordate Giuda Iscariota?).
Proprio come Giuseppe Tartini, che mise in musica un sogno che ebbe nel 1713, Toral attribuisce meriti e colpe della sua opera a un’ispirazione inconscente. Il compositore italiano scrisse la Sonata per violino in sol minore dopo esser stato visitato in sogno, sostiene la leggenda, da un diavolo in vena di musicherie; ragione per la quale la sua famosa sonata, di difficilissima esecuzione tecnica, è detta anche Il trillo del diavolo. Tartini ammise che benché fosse riuscito a ricordare lunghi tratti della sonata che il diavolo gli aveva dettato, quella originale era infinitamente più bella (non a caso era stata dettata da Belzebù).
Non sappiamo se il quadro dipinto dal pittore andaluso (Antequera, 1940) corrisponda esattamente a quanto sognato, la trasposizione delle immagini nel suo stile realista non dev’essere stata immediata; sappiamo tuttavia che ci ha lavorato per oltre un anno, e che, proprio l’altro ieri, ha svelato il risultato del suo lavoro ai giornalisti di El País. Ancora emozionato da quanto apparsogli tra le coperte, nonché dal risultato pittorico, ha assicurato che l’incubo fu causato dalle terribili notizie che infestavano in quel periodo i telegiornali, raccontando dei massacri compiuti dal Daesh contro innocenti.
Nella grande tela il Papa emerito è preso per le braccia dai due yijadisti, come se, dopo il giapponese Kenji Goto, gli americani James Foleyse e Steven Sotloff e le altre vittime innocenti, gli uomini del califfato fossero riusciti a catturare anche il Pontefice. Benedetto XVI sanguina dalla mano sinistra e con la destra stringe un rosario; l’abito talare macchiato dalla sabbia del deserto. Sorride come se fosse, ha affermato il pittore “sicuro di se stesso e della propria fede”. Quel sorriso risulta tuttavia beffardo in una situazione simile, e non ha mancato di suscitare polemiche.
Toral non è religioso né frequenta luoghi di culto. “A volte mi soffermo in una chiesa per ascoltarne il silenzio”, racconta, “ma non bado ai preti”. Ha raffigurato il Papa, sostiene, per esprimere “un grido di allarme rivolto alla Chiesa e agli uomini di potere”. “Com’è possibile”, si chiede, “che per anni gli jihadisti abbiano sgozzato persone ignare senza che si sia ascoltato, da parte della Chiesa, una forte voce contro queste ignominie?”. Non è necessario essere a capo dell’ufficio stampa del Vaticano, tuttavia, per ricordare che i Pontefici che si sono succeduti durante gli anni delle violenze dei fondamentalisti islamici hanno condannato gli atti di guerra compiuti in nome della religione. In questo senso, anzi, Giovanni Paolo II si dimostrò ben più cauto di alcuni capi di Governo.
A parte la metafora del quadro, che allude a due religioni in lotta, una presa a pretesto da fanatici che non hanno niente a che spartire con la vera natura della propria religione, e l’altra, la cattolica, che ha conosciuto, anche lei, epoche di fanatismi, Toral sostiene di voler mostrare la violenza dei nostri tempi. “È una lotta tra il bianco e il nero, che riporta al grande maestro Zurbarán”. Una sensazione di crudeltà che si risolve in una violenza che fa rabbrividire, e che nessuno è riuscito a impedire.
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