Letteratura
LE STRAGI DEGLI INNOCENTI E IL LESSICO OBITORIALE
Per un attimo, grazie al titolo di Libero («Bastardi Islamici»), abbiamo pensato che il giornale diretto da Maurizio Belpietro si fosse aggiudicato la primogenitura del lessico obitoriale che, dopo l’immane tragedia di venerdì 13 novembre, tenterà di seppellirci in quel trionfo di luoghi comuni e incontinenze tautologiche che nel nostro Paese accompagnerà l’esacerbarsi della «Terza Guerra Mondiale a pezzi», come l’ha chiamata profeticamente Papa Francesco.
Invece, no. È Claudio Magris dalle colonne del Corriere della sera ad aggiudicarsi l’imbarazzante primato, sbaragliando i numerosissimi concorrenti con l’indimenticabile frase: “La violenza va repressa con la violenza”. Avete capito bene. Non si tratta di uno svarione. Né di una licenza poetica, di una fuga in avanti dai toni visionari o parossistici. E non è neanche un commento esegetico, chennesò, di un passo dell’Ecclesiaste, l’auspicio di una palingenesi.
Niente da fare. L’allegro abominio in forma enunciativa – chissà quanto voluto e quanto no – sfugge alla tastiera e alla lingua, per l’occasione più da camallo scolarizzato in pausa pranzo che da professore triestino, di Claudio Magris, evocando in un contraddittorio disordine dall’imperativo gastrointestinale all’augurio vendicativo, dall’ansimante supplica all’ordine di servizio, dal sopruso notarile all’omelia apocrifa e alla macabra esortazione. Tutto e niente, insomma, ma con una vena smaccatamente sanguinolenta.
Fare i duri per iscritto, dopo la mattanza, costa poco. Se non suonasse ridicolo e non avessimo additato l’articolo 414 del codice penale (“istigazione a delinquere”) come un manganello ideologico di cui liberarci, ci sarebbe qui forse materia per una replica di quanto avvenne già col «sabotaggio» chiosato per mesi in tribunale dal collega Erri De Luca che, tra l’altro, del distribuire patenti di legittimità alle proteste sparse per il pianeta ha fatto la sua specialità.
Persino Fabio Fazio, il celebre USD (Uomo Senza Domande) inventato da Riccardo Bocca, ha avuto qualche esitazione, domenica sera, quando con la punta della lingua ha indugiato a lungo nell’aere, disegnadovi ghirigori, prima di affondare il colpo e domandare all’ospite Magris quanto sudore gli fosse mai costato il ritrovamento di cotanta «verità». E il professore via a rispondergli seriamente…
Con un’idea peraltro piuttosto meccanicistica, molto vicina linguisticamente a una visione totalitaristica dei percorsi educativi, nello stesso articolo Magris si compiace anche di spiegare che tornerebbe utile (per esorcizzare la violenza) instillare «pure nelle zucche più dure la banale ma sacrosanta verità che dire Dio anziché Allah o viceversa non può offendere nessuno». Averne di convinzioni così coriacee. E di cotante zucche in giro, pure.
Disgraziato il Paese (e l’epoca) in cui gli scrittori non sanno quello che scrivono, verrebbe da dire. Perché, se è vero che, almeno in Italia, ci si è via via rassegnati a una stampa il cui ambizioso scopo non è più la formazione di un’opinione ma la sua confezione, è anche vero che, a chi ne ha gli strumenti e per ruolo o responsabilità deve formare le idee altrui, basta poco per correggere certe storture.
Anche a caldo, chiamati a commentare atrocità come il 13/11 parigino, è possibile affrancarsi dalla reattività intestinale con cui continuiamo a ragionare sul mondo aderendo alle logiche propagandistiche dei rapporti di forza, blaterando di violenza e barbarie e stati canaglia da schiacciare (dopo averli finanziati). Il tutto con il neanche tanto velato gusto di compiacere lo sdegno del lettore, blindandolo nella sua falsa coscienza invece di, almeno, informarlo.
Spietata era ed è, ad esempio, per davvero, invece, la memorabile testimonianza di Lydia Wilson, una ricercatrice di Oxford che solo qualche giorno prima della strage degli innocenti ha spiegato che l’80% degli iracheni che hanno aderito all’esercito dell’Isis erano bambini all’epoca dell’invasione del 2003 e sono cresciuti sotto l’occupazione americana.
Il loro più insopportabile risentimento è costituito dal non aver avuto un’adolescenza. Molti dei loro padri sono stati imprigionati o giustiziati dagli occupanti o dal governo, entrambi diventati oggetto della loro rabbia. Non sono affatto attratti dalla creazione di uno Stato Islamico ma lo Stato Islamico è il primo ad offrirgli, oltre ai soldi, una via di riscatto per le loro dignità umiliate.
Ora. Di tutto ciò nell’articolo di Magris non v’è traccia. Come non c’è traccia di una memoria semplice, cortissima, abbordabilissima (perché fornisce una pesante spiegazione nell’arco di un’unica e ancora incompiuta generazione) in quasi nessuna delle analisi sciorinate da chi discetta di orgoglio identitario o di mettere «gli stivali» sul terreno del nemico.
Se è vero che il profilo del combattente Isis è quello dei figli della II Guerra del Golfo, bisognerà avere il coraggio di chiamare con il suo orrendo nome tecnico la strage degli innocenti del 13/11: un «danno collaterale» come quelli profusi dall’Occidente nella scellerata esportazione di democrazia che avevamo contestato dodici anni fa e per la quale tutte le inchieste hanno stabilito che erano stati approntati falsi pretesti.
Persino l’agghiacciante coincidenza del ritrovamento, qualche ora prima della strage di Parigi, di otto neonati cadaveri, nel cuore d’Europa, a Wallenfels, in Baviera, sembra urlarci in faccia una verità dura ma inderogabile: la necessità di un colpo di reni, sì, ma nel saper deporre l’istintualità belluina delle nostre reazioni per ricominicare a comprendere i legami fra le cose, anche quelle fra loro distanti.
Compito che un tempo, senza calcoli, assolvevano proprio gli scrittori.
A volte ritornano, è vero. Questa volta sono i «bambini» a cui la marcia ipocrisia di un Occidente corrotto ha tolto la vita, i sogni e l’innocenza. Sono imbottiti di altri sogni, altre droghe, altri esplosivi. Finanziati, magari, da fondi obbligazionari mondiali.
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