Terrorismo
Le lacrime di Federica Mogherini sono l’Europa. Cosa c’è da vergognarsi?
Federica Mogherini ha pianto. Abbiamo pianto tutti, ieri. Questo ci rende meno forti, noi europei?
Dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue – si è detto – non ci si attende commozione, ma fermezza. Churchill non lo avrebbe mai fatto – ha chiosato Massimo Bordin nella puntata post tragedia di Stampa e Regime. La stessa Mogherini, in missione in Giordania, ha ritenuto di dover scusare quella sua manifestazione di vulnerabilità scrivendo a Repubblica una letterina di giustificazioni in cui, da brava burocrate, inserisce la frasetta rituale sull’impegno che naturalmente le istituzioni europee prenderanno contro il terrorismo, come se ci fosse pure bisogno di dirlo.
In realtà proprio quelle lacrime danno il senso della forza dell’Europa, che è l’idea di uomo al centro di tutto, la persona origine e fine di questa Unione tra popoli che resta, nonostante la involuzione contabile, la cosa migliore si potesse sperare di ricevere in eredità. Popoli diversi che tuttavia superano differenze culturali e linguistiche e abbattono confini e costruiscono spazi comuni – mercati, istituzioni, università. E fanno tutto questo perché le differenze non reggono la forza delle somiglianze, perché costruire insieme è infinitamente più arricchente che fare le cose da soli.
Abbiamo visto la reazione virile del fanfarone Hollande all’indomani della strage del Bataclan. La sua retorica bellica – andiamo in guerra contro l’Isis: ma quale guerra, dove, come?
Abbiamo visto la sua reazione idiota, perdente e quella sì anti-europea di imporre uno stato permanente di eccezionalità, cioè limiti alla libertà delle persone, barriere ridicole ai confini e roba così. A cosa serve tutto questo? A nulla. Non certo alla sicurezza di noi europei – ché una cintura esplosiva alla fermata dell’autobus o alla biglietteria del cinema la possono indossare veramente tutti.
La retorica pseudo-virile di Hollande, l’ostentazione machista del suo Premier Valls, l’insistenza dei vari leader nazionali sulla fermezza e bla bla, sulla guerra e bla bla, cosa ci restituisce in concreto della nostra libertà? La libertà che gli attentati non rendono meno libera, solo meno scontata. Ecco, quel machismo retorico e dannoso non ci restituisce nulla.
Piangiamo, invece. E piangiamo per noi stessi che ci illudiamo di potere ignorare i tanti “noi” fuori di noi: i “noi” profughi a Idomeni che abbandoniamo al loro destino illudendoci di poter occultare lo sporco della nostra coscienza pagando tangenti al regime turco di Erdogan. Noi che consideriamo i “noi” israeliani un non-noi, un’altra cosa. Gli israeliani che sono europei geograficamente localizzati altrove, noi rifiutiamo di considerarli “noi” perché loro fanno la guerra al nemico che li attacca mentre noi-noi possiamo permetterci di dichiarare guerra con i titoli dei giornali senza in realtà avere alcuna guerra da dichiarare – non uno stato, non un esercito, non un’istituzione cui formalizzare la dichiarazione.
Noi che possiamo permetterci di non imbrattarci le mani di sangue perché non abbiamo gente che ci fa piovere sulla testa razzi come fossero grandinate estive, improvvise e devastanti. Noi che non abbiamo la necessità di costruire le nostre case con una stanza bunker – come è invece costretto a fare Israele – e possiamo permetterci di non fare il servizio militare, di non essere richiamati da riservisti e strappati al nostro lavoro, alle nostre famiglie, solo perché un giorno Hamas o Hezbollah si sveglia e decide che è il momento di una nuova offensiva contro noi-stato-da-sterminare. Noi che non riconosciamo i “noi” fuori da noi, e che ci preoccupiamo che le nostre lacrime possano dare il segno di vulnerabiltà, siamo gli stessi “noi” che dimenticano che la persona, l’uomo, la vita è quello che dà il senso del nostro essere “noi”. Ed è quello l’unico senso che dobbiamo ritrovare. Perché è quello il senso che l’Europa dei ragionieri, dei burocrati, dei politici da rassegna stampa del giorno dopo hanno completamente smarrito.
Piangiamo sì, ma non lacrime di coccodrillo ché il solo modo per non doverci vergognare delle nostre lacrime è non perdere un minuto in più per salvare i profughi siriani e ridare loro una vita – la stessa vita che i terroristi, qualunque sia il loro passaporro o territorio di azione, invece disprezzano.
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