Terrorismo
La rivincita dei nessuno
Ci sono tratti comuni ad alcuni degli attentati avvenuti in Occidente e rivendicati dall’Isis ultimi mesi: a compierli sono stati “lupi solitari”, cioè terroristi apparentemente non inseriti in un’organizzazione, in un certo senso jihadisti “fai da te”; tutti condividevano una situazione di disagio psicologico o psichico più o meno grave e sembrano essersi radicalizzati poco tempo prima di compiere i loro orrendi delitti.
da Orlando a Nizza, l’arma vincente di Daesh è questa sorta di “franchising del terrore”: è sufficiente (nel caso di Nizza, neppure necessario) che l’attentatore proclami pubblicamente la sua fedeltà allo Stato Islamico perchè arrivi la rivendicazione del suo gesto, che ne amplifica enormemente l’impatto mediatico. Ma che cosa spinge queste persone a mettere la propria follia omicida al servizio della causa jihadista?
L’Is ha perfettamente compreso uno dei meccanismi che determinano il successo delle grandi organizzazioni: la capacità di dare un ruolo e una dignità a tutti gli aderenti, anche quelli sul gradino più basso della gerarchia. Le religioni cristiane, ad esempio, hanno valorizzato la preghiera, un compito alla portata di tutti i credenti; i grandi partiti del Novecento si erano inventati le feste, dove i volontari addetti alle cucine trovavano il loro momento di gloria; oggi, la militanza on line permette a chiunque di combattere nei social le sue battaglie quotidiane a favore della propria causa preferita.
Per i killer, uccidere decine di persone inermi in nome dell’Isis è probabilmente una specie di rivincita: un modo per uscire dalle proprie frustrazioni, riscattando con la propria morte e con quella delle vittime un fallimento esistenziale. Per l’organizzazione terrorista ogni attentato è una vera manna, perchè crea l’illusione che essa sia potentissima e onnipresente: un risultato che può ottenere semplicemente “ispirando” persone squilibrate, già disposte ad atti estremi e mostruosi, a imbracciare un’arma automatica o a condurre un camion sulla folla.
E’ una strategia micidiale che, in un certo senso, sta prendendo piede anche da noi, seppure solo a livello “virtuale”: i partiti che arruolano volontari per una propaganda social sempre più aggressiva sfruttano la rabbia e la voglia di “esserci” dei loro attivisti per “montare” la messinscena di una presenza preponderante, seppure in realtà solo “digitale” e illusoria. Occorre però stare attenti, perchè oltre certi livelli si rischia che i “leoni da tastiera” (o i loro più classici predecessori, i piantagrane da bar sport) passino dalle parole ai fatti e, anzichè limitarsi ad abbaiare alla luna gli slogan più o meno feroci dei loro leader di riferimento, arrivino all’aggressione diretta: con conseguenze che possono essere tragiche, come si è visto a Fermo.
Per frenare questa pericolosa deriva, che trasforma persone “qualunque” in potenziali pluriomicidi, occorrerebbe una strategia uguale e contraria: riuscire cioè a coinvolgere anche le persone più “ai margini” della società in azioni piccole, semplici, ma positive e gratificanti, che le facciano sentire importanti e”coinvolte”. Solo così si potrà allontanare la tentazione del gesto solitario e eclatante, terribilmente distruttivo; è forse questa una delle possibili, faticose vie per la prevenzione del terrorismo dei tanti “nessuno” in cerca di rivincita.
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