Terrorismo
La notte dell’Europa sta sorgendo
L’ora più buia dell’Europa dal 1945 è vicina. In questo momento sono le tre del mattino, e ancora non si sa chi ci sia dietro i terribili fatti di Nizza, che sembra siano costati la vita ad almeno una settantina di innocenti (cattolici ma anche musulmani, secondo quanto dichiarato al Guardian da un giornalista iraniano sul posto). Tuttavia, se venisse confermata (come sembra probabile) la matrice terroristica della tragedia, per l’Unione Europea sarebbero guai. Grossi guai.
Infatti non sono né la Brexit né le difficoltà della Grecia a minacciare questa splendida, seppur imperfetta costruzione che è l’Unione Europea. No: è la tenuta delle istituzioni democratiche in alcuni Stati membri a rendere concreto, seppure ancora improbabile, il rischio del ridimensionamento (o addirittura il fallimento) del progetto europeo.
In questi ultimi anni le capitali europee sono state insanguinate dalla follia del terrorismo islamista (Madrid, Londra, Copenaghen, Parigi, Bruxelles, Istanbul) e dall’azione di “lupi solitari” di estrema destra (a Oslo Anders Breivik, a Londra Thomas Mair omicida di Jo Cox). Parallelamente, e probabilmente non si tratta di una mera coincidenza (il voto di pancia è una costante), è cresciuto il populismo nazionalista, ostile alla UE e all’Islam: un populismo che i critici definiscono anti-storico e di corto respiro, ma che senza dubbio raccoglie crescenti consensi in ogni angolo del Vecchio Continente.
Dalla Polonia ai Paesi Bassi, dalla Finlandia alla Francia, dal Regno Unito all’Austria, uno spettro si aggira per l’Europa: il populismo di destra ed estrema destra. Un populismo che ha già raggiunto risultati impensabili sino a pochi anni fa, portando al potere (o a un passo dal potere) partiti ultra-nazionalisti ed euroscettici in capitali come Varsavia, Budapest, Vienna, Copenaghen, tanto per citare alcuni casi noti.
E se nell’Europa centrale – dove le istituzioni democratiche hanno radici meno profonde che in Francia o Inghilterra, e l’islamofobia una tradizione invece molto solida, che risale ai tempi delle guerre con gli ottomani – la democrazia liberale sembra già traballare, sostituita da una sorta di democrazia proto-populista e sovranista allergica ai diktat costituzionali e simpatetica con Putin o Erdogan, in Europa occidentale la democrazia dei nonni e dei padri ancora regge, ma c’è chi sembra smanioso di sostituirla con altro (la democrazia patriottica? la democrazia popolare? che cosa?), o almeno “migliorarla” in un modo che forse piacerebbe a Donald Trump (che, per inciso, sembra aver raggiunto la parità con la signora Clinton nelle intenzioni di voto degli americani).
Il punto è che in alcune delle società più avanzate dell’Europa occidentale i partiti populisti (ma non sarebbe il caso di trovare termini più adeguati e calzanti?), hanno concrete possibilità di governare a livello nazionale. Non nel Regno Unito magari, dove però sono stati decisivi nel far vincere il Leave al referendum. Ma in Austria sì. Nei Paesi Bassi pure. E soprattutto, in Francia.
La Francia oggi è il vero malato d’Europa. Non tanto dal punto di vista economico, ma da quello politico. Con un presidente, Francois Hollande, che è un’anatra zoppa con cui i giornali si divertono a fare il tiro al bersaglio (l’ultima è lo scandalo del salario del suo parrucchiere); e una destra (post)gaullista in ordine sparso. Resta una terza opzione: quella incarnata da una signora, la Le Pen, tanto abile quanto carismatica.
E se già oggi il populismo (e soprattutto il suo linguaggio, il suo pensiero) sembra raccogliere tra i francesi consensi sempre più vasti, cosa accadrà tra qualche giorno, qualora si dovesse scoprire un’eventuale matrice islamistica della tragedia di Nizza? Specie considerando che il sud della Francia (specie la Provence-Alpes-Côte d’Azur) già oggi vota la Le Pen…
Senz’altro la disoccupazione e l’anemia economica giocano, in Francia come in Polonia o in Ungheria, un ruolo fondamentale nell’alimentare la rabbia degli elettori. Coloro che votano i populisti sono spesso gli sconfitti della scelta economica neoliberista abbracciata in Europa sia dai conservatori che dai socialisti: i disoccupati delle regioni minerarie del nord della Francia, i contadini delle periferie polacche e ungheresi, le fasce meno colte ed agiate nello Jutland e nelle Midlands.
Ma l’economia non è la sola ragione del boom del populismo europeo. Perché l’economia va male anche nell’Europa del sud (anzi, soprattutto lì), ma in Spagna, in Portogallo e in Italia la scelta degli elettori è tra i grandi partiti tradizionali e realtà molto diverse da quelle in Francia, nei Paesi Bassi o in Austria. E paradossalmente, i migliori alleati che Berlino si ritrova sono proprio le capitali di un’Europa mediterranea forse sprecona, ma al momento esempio di una tenuta democratica invidiabile.
L’Unione Europea può perdere l’Ungheria o il Regno Unito, ma non può perdere la Francia. Eppure, se la signora Le Pen dovesse diventare presidente nel 2017, il già fragile progetto della UE probabilmente cesserebbe di esistere. Con conseguenze economiche, geopolitiche e militari gigantesche. Perché senza l’Unione Europea a fare da collante commerciale, politico e culturale tra le nazioni europee, Dio solo sa che cosa potrebbe accadere, ad esempio in zone di tensione nazionale o internazionale come l’Ucraina divisa, i paesi baltici, il Belgio ormai a pezzi…
Ecco perché la risposta alla tragedia di Nizza deve essere, in primis europea. Bisogna creare la tanto invocata (da alcuni, incluso il sottoscritto) FBI europea. Bisogna iniziare a parlare sul serio di un esercito europeo comune. Bisogna forgiare una nuova politica economica che dia una mano agli sconfitti della globalizzazione. Perché i disoccupati di Calais, i contadini della Masuria e gli operai delle Midlands hanno le loro ragioni. E se l’alternativa al populismo è il sostegno forzato a un progetto ultraliberista senz’anima, allora tanto vale emigrare. Non negli USA, magari. Meglio in Canada. O in Nuova Zelanda.
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