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La Francia che ha arginato la Le Pen sta progettando una nuova Guantanamo

13 Dicembre 2015

Per la stampa francese non ci sono dubbi: lo staff tecnico del premier francese Manuel Valls ha chiesto un parere legale al Consiglio di Stato rispetto all’apertura nel territorio nazionale di centri di detenzione ad hoc per sospetti di terrorismo.

I fermati contrassegnati con al ‘fiche S’, quelli a rischio terrorismo, su indicazione dei servizi di intelligence transalpini, potrebbero venire gestiti al di fuori della giurisdizione tradizionale. Immediatamente la stampa ha ribattezzato la ‘Guantanamo francese’ questo progetto, anche se a differenza della base militare Usa a Cuba non ci sarebbero tribunali militari e riguarderebbe anche i cittadini francesi.

Aspettando di vedere come andrà a finire questa storia, dopo quindici anni dall’inizio della ‘guerra al terrorismo’ inaugurata nel 2001 dopo la strage delle Torri Gemelle di New York, quali risultati pratici ha fornito Guantanamo? Quanto hanno contribuito le detenzioni extragiudiziali alla sicurezza degli Usa e del mondo?

Uno dei documenti più interessanti in questo senso, è sicuramente il rapporto diffuso da Amnesty International in occasione del decennale dell’utilizzo della base militare come carcere speciale. Disponibile anche in italiano, e consultabile a tutti, il rapporto è molto duro verso le amministrazioni Bush e Obama.

“Guantanamo ha finito per diventare il simbolo di dieci anni di sistematica mancanza di rispetto per i diritti umani da parte degli Usa nella loro reazione agli attacchi dell’11 settembre. Il governo statunitense ha violato i diritti umani dal primo giorno di apertura del centro di detenzione e continua a violarli ora che entriamo nell’undicesimo anno”, ha sostenuto Rob Freer, ricercatore di Amnesty International sugli Usa.

I passaggi che portarono all’allestimento della prigione speciale all’interno della base navale Usa sono noti:
il 14 settembre 2001, tre giorni dopo la strage, il Congresso degli Usa approva la risoluzione “Autorizzazione all’uso della forza militare” (Aumf), che conferisce al presidente un’autorizzazione senza precedenti a usare la forza contro “nazioni, organizzazioni e individui” che egli determini siano collegati in qualunque modo agli attacchi o a futuri atti di terrorismo internazionale. Il 17 settembre seguente,  il presidente degli Usa Georg W. Bush firma un memorandum che autorizza la Cia ad allestire centri di detenzione al di fuori del territorio statunitense e che contiene informazioni relative alle modalità con cui la Cia dovrà attuare il programma di detenzioni. Il memorandum resta segreto. Il giorno dopo, Bush firma l’Aumf, che diventa legge.

Il 13 novembre 2001,  il presidente Bush emana l’ordine militare “Detenzione, trattamento e processo di determinate persone che non sono cittadini statunitensi, nella guerra contro il terrorismo”, ordinando al segretario alla Difesa di trovare una “collocazione adeguata” per la detenzione, a tempo indeterminato e senza incriminazione, di persone non di nazionalità statunitense.

L’ordine cerca di impedire ai detenuti di cercare un rimedio giudiziario presso i tribunali nazionali, stranieri e internazionali. Se un detenuto dovesse essere processato, il procedimento si terrebbe di fronte a una commissione militare, un organismo creato dal potere esecutivo, diverso da un tribunale ordinario, indipendente e imparziale. L’11 gennaio 2002 arrivano a Guantanamo i primi detenuti provenienti dall’Afghanistan. Vengono collocati nelle gabbie chiuse da un reticolato di filo metallico, in una sezione chiamata Campo X-Ray.

Un documentario, Camp X-Ray, e il film Road to Guantanamo, raccontano molto bene l’inferno che si apriva per gli uomini in tuta arancione, rinchiusi in gabbie disumane, spesso incappucciati e ammanettati. Il presidente Obama, vinte le elezioni del suo primo mandato, aveva promesso la chiusura di Guantanamo, ma non è ancora avvenuta. Negli anni, nel campo sono arrivati più di 800 detenuti.  Torturati per anni, come rivelato da WikiLeaks e pubblicato dal New York Times (i cosiddetti Guantanamo Files) e da altre testate internazionali.

Detto dei diritti umani violati, in tempi cupi come quelli che viviamo da quindici anni, non sono pochi a sostenere che nonostante tutto un buco nero del diritto come il Camp X-Ray sia stato utile alla lotta al terrorismo. Se nulla più è importante, da un punto di vista etico e morale, minando lo stesso concetto di democrazia, almeno a livello pratico quali risultati ha portato Guantanamo?

Ad oggi, solo un detenuto è stato portato davanti a una Corte Federale statunitense con un impianto accusatorio serio. Potrebbero avere la stessa sorte, più o meno, altri sei. E gli altri? Centinaia di loro sono stati tenuti prigionieri senza alcuna ragionevole motivazione. Un quattordicenne è rimasto anni in cella perché poteva essere utile per rintracciare il talebano che lo aveva rapito. Un tassista è stato segregato perché «conosceva a menadito la regione di Kabul e altre zone frequentate dai talebani», e si pensava potesse segnalare qualcosa di interessante. Un cittadino uzbeko perché si sperava avrebbe fornito informazioni sui servizi segreti del suo paese; un uomo di 89 anni, affetto da demenza senile, nella speranza che potesse fornire notizie su suo figlio.

E ancora: un giornalista dell’emittente Al Jazeera, detenuto per sei anni, era ufficialmente sospettato di avere avuto contatti con gruppi estremisti ma è stato interrogato solo su quanto avveniva all’interno delle redazioni di Al Jazeera. Negli ultimi anni oltre seicento prigionieri sono stati liberati alla chetichella, rinviati nei rispettivi paesi senza troppa pubblicità, mai processati.

Quando non era possibile rimpatriare i detenuti, perché la madre patria li rifiutava o perché  – in una farsa tragica – il paese di origine veniva ritenuto non rispettoso dei diritti umani, gli Usa provavano a piazzare a pagamento gli ex detenuti in giro per il mondo.

Celebre il caso del tentativo di trasferire 17 prigionieri Uiguri (provenienti dallo Xinjang, regione cinese a maggioranza musulmana) sull’isola nell’oceano Pacifico di Palau. Nel 2006, l’Albania aveva accolto l’invito del governo statunitense accogliendo alcuni ex-detenuti uiguri.

Ma se anche l’aspetto pragmatico, oltre che quello etico, lascia indifferenti, che dire dell’aspetto economico? Il 2 dicembre scorso, La Casa Bianca ha bocciato la relazione del Pentagono sui costi stimati per la chiusura del centro di detenzione di Guantanamo e la costruzione di un’alternativa negli Stati Uniti, chiedendo al dipartimento della Difesa di rivederla.

Secondo il Pentagono, ci vorranno fino a 600 milioni di dollari per chiudere la prigione, incluso l’investimento di 350 milioni di dollari per la costruzione di una struttura alternativa, secondo le fonti del Wall Street Journal, che hanno avuto accesso al piano. Il costo annuale per gestire il centro di Guantanamo si aggira intorno ai 400 milioni di dollari. Moltiplicate per quattordici. E tirate le vostre conclusioni.

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