Terrorismo
I numeri nudi del terrorismo
Tempi duri, durissimi e oscuri.
Tempi in cui ognuno vuole dire la sua e, nell’assumere mille identità (#jesuischarlie #jesuisahmed #jesuisjuif), si finisce confusamente con il non riconoscere la più banale delle verità: e cioè che siamo tutti esseri umani, con un’irreprensibile e cocciuta difficoltà nel riconoscerci membri dello stesso gruppo di creature viventi.
Pensavo a cosa poter scrivere, in questi giorni in cui la speranza si è spenta come uno zaino vuoto che pesa 100 kg sulle spalle. Ho letto molto e mi sono confuso abbastanza, perso nella tenaglia della contraddizione tra libertà e sicurezza.
Soprattutto smarrito di fronte al fatto che il rapporto tra le due sfere debba configurarsi per forza come una contraddizione.
E allora cosa ho da dire?
Niente di particolarmente intelligente.
Come spesso mi capita quando rischio di rimanere preda delle convinzioni, o delle mie idee più radicate e sincere (per gli amici: pregiudizi ideologici), sono andato in cerca di numeri.
E con sorpresa ho trovato un’ancora, il database dell’università del Maryland che si chiama Global Terrorism Database. Una raccolta di informazioni su più di 125 mila attacchi terroristici, realizzati in tutto il mondo tra il 1970 e il 2013, con più di 45 variabili raccolte dai ricercatori.
Sono un’enormità di eventi: significa 2900 attacchi all’anno e più di 7 al giorno, il che si spiega col fatto che 4 bombe fatte saltare non simultaneamente in parti diverse di una città vengono registrate come 4 atti differenti.
Ci sono notizie sul numero dei morti, dei feriti, sul valore di proprietà privata intaccato, sulle motivazioni, il tipo d’attacco, l’obiettivo, quante persone facevano parte del comando, a quale organizzazione dicevano di appartenere.
Si sa se l’attacco ha avuto successo, o meno; si sa quali armi sono state utilizzate e via di seguito.
Nella documentazione annessa, inoltre, c’è una definizione esauriente di quali devono essere gli elementi per poter parlare di atto terroristico.
Sono 3 gli elementi fondamentali:
– L’attacco deve essere intenzionale
– l’attacco deve essere violento o ispirarsi a qualche azione violenta
– gli autori dell’attacco non devono essere membri delle istituzioni dello stato dove l’attentato viene realizzato (non si considera, insomma, il cosiddetto terrorismo di stato)
Passate queste eliminatorie del terrore, devono sussistere poi due dei tre seguenti criteri perché un atto possa essere incluso nel GTD (Global Terrorism Database):
Criterio 1: l’atto terroristico persegue un obiettivo politico, economico, religioso o sociale
Criterio 2: al di là delle vittime dirette dell’attentato, gli autori dell’attacco devono avere l’obiettivo di raggiungere con il loro gesto una platea più ampia di ‘destinatari dell’intimidazione’
Criterio 3: l’azione dev’essere classificabile al di fuori delle tradizionali attività di guerra
Mi sono perso dentro questi numeri come facendoci un bagno pesante, nuotandoci dentro senza sapere dove andare a parare nè cosa cercare. Non avevo obiettivi specifici, nè ho trovato grandi verità: l’analisi dell’orrore mi è servita principalmente a starci dentro, banalmente, per contabilizzare, meno banalmente, una a una le vittime di attacchi che sono sempre senza un motivo ragionevole.
C’è l’attacco dell’11 settembre del 2001, con tutte le sue vittime e la sintesi arida di una classificazione in variabili categoriche che costringe le vittime di una tragedia in un rigo.
E però c’è anche la distribuzione degli attentati nelle regioni del mondo che, come potete vedere, vede gli Stati Uniti come bersaglio fortemente minoritario degli attacchi (appena sopra il 2%).
Il grosso degli attentati avviene tra Sud America, Asia del sud e Africa centro-settentrionale:
Volevo poi verificare una mia curiosità, frutto delle percezioni degli ultimi anni: quanti sono gli attentatori kamikaze?
Il GTD ha una risposta anche a questa domanda e la statistica mi rasserena assai, mostrando che mai, negli anni, la percentuale di attacchi suicidi ha superato il 10%: sul totale:
In quanto al tasso di successo degli attacchi terroristici, l’efficienza di questi ultimi è elevatissima, visto che il 90% degli attentati ha raggiunto l’obiettivo (n.b.:si badi bene che questo non è il database degli attacchi sventati, ma di quelli effettivamente realizzati).
Senza perdermi eccessivamente nei numeri della disperazione, chiudo l’articolo con due grafici: uno è sul tipo di attentati e l’altro sugli obiettivi degli attentatori.
Nel primo caso, gli atti terroristici più diffusi riguardano rapimenti e dirottamenti di aerei, mentre nel secondo una parte consistente degli attacchi terroristici è rivolto contro cittadini privati, che non fanno riferimento cioè a nessuna organizzazione politica, associazione, istituzione religiosa o corpo di polizia e dell’esercito (ma guarda un po’!):
Per il resto, lo 0,1% degli attacchi terroristici è rivolto ad altri gruppi terroristici, in una meta-follia che si attorciaglia su di sè in un uroboro impazzito.
L’attentato di Parigi mi ha molto colpito, è innegabile, forse perché in quella città ci ho vissuto due anni. O forse perché mi sono reso conto di non prestare la stessa attenzione ai morti nigeriani vittime di Boko Haram. Oppure perché mi sono accorto di avere dimenticato già i bambini pakistani cancellati da un attacco omicida poco prima delle festività natalizie.
Dentro i numeri ci si perde, a volte per ritrovarsi e, altre, per un rabbioso insistere contro il muro della crudeltà umana. Le cifre in colonna dei 125 mila attentati registrati dal 1970 ad oggi scorrono senza un vero significato, senza un vero perché.
Non c’è il nome delle persone che sono morte uccise, non c’è il tempo di immagazzinarlo in un file. E ti accorgi, chiudendo il database, che quello che non hai contato conta più di tutto il resto.
Devi fare login per commentare
Accedi