Terrorismo

I magistrati italiani chiedono nuove leggi contro i terroristi

16 Gennaio 2015

Maria Giulia ‘Fatima’, la giovane partita da Inzago per arruolarsi in Siria nelle file dell’Isis, può essere definita una terrorista per la legge italiana? Rispondere a questa domanda è vitale per comprendere in quale direzione possano andare eventuali ipotesi di riforma delle norme sul terrorismo. Di certo sappiamo che la Procura di Milano sta svolgendo accertamenti sulla rete che avrebbe sostenuto e finanziato la 27enne estremista col velo integrale. Lei invece per il momento non è indagata perché, spiegano fonti giudiziarie, «si è limitata a prendere la decisione di partire per la Siria, senza svolgere azione di proselitismo in Italia».

Alcuni magistrati impegnati nel contrasto al terrorismo ritengono che sia necessaria una norma che introduca la punibilità per soggetti come Maria Giulia, convertita all’Islam assieme alla sua famiglia e diventata una foreign fighter. Spiega Stefano Dambruoso, autore come pm di inchieste sul radicalismo islamico e attuale parlamentare di Scelta Civica: «La legislazione italiana sul terrorismo è adeguata, ma questa fase di jihadismo di ritorno va considerata come nuova e suggerisce dei miglioramenti. Penso a un’ipotesi di reato che persegua chi partecipa ovunque a conflitti riconosciuti come terroristici». Mettersi in viaggio per la jihad è un reato negli altri Paesi? «In Europa – precisa Dambruoso – abbiamo un solo caso per il momento, quello di un cittadino tedesco che è a processo dopo essere partito per la jihad e tornato in Germania. Vedremo come si svilupperà in questo senso la giurisprudenza internazionale, ma intanto  dobbiamo pensare che le nostre leggi debbono essere sensibili ai nuovi fenomeni». Dambruoso valuta anche di inserire nel nostro ordinamento un reato che colpisca «chi, attraverso siti specializzati, offre agli utenti stimoli e possibilità di raggiungere i luoghi della jihad, dimostrando che non c’è più bisogno di un cattivo imam che dà messaggi di violenza nella moschea».

A ottobre dell’anno scorso un canadese convertito all’Islam, al quale era stato ritirato il passaporto per le sue invettive sul web, ha fatto fuoco in Parlamento uccidendo un uomo mentre era incorso una riunione su come prevenire il terrorismo. Altri pubblici ministeri sottolineano i limiti della nostra legge in tema di intercettazioni preventive, cioé senza l’autorizzazione di un giudice, strumento introdotto dopo l’attentato alle Torri Gemelle ma ritenuto da alcuni «inefficace perché poi le conversazioni carpite non possono essere utilizzate per le indagini e nel processo». E ancora, fanno notare che «le forze dell’ordine possono perquisire senza il consenso del magistrato potenziali terroristi solo se sia presente il sospetto di trovare in quel luogo armi o droga».

Fin qui, le idee e le proposte di chi deve indagare. Ma c’è anche l’altra parte processuale, gli avvocati, che intravvede in questo desiderio di mettere mano alle norme antiterrorismo un pericolo per i diritti di espressione e la libertà degli individui. Riflette Luca Bauccio, avvocato dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche d’Italia: «Ho paura che si riformi la legge guardando la realtà in modo ottuso, senza rendersi conto che c’è una grande differenza tra chi va a combattere contro un regime e chi è un terrorista. Io assisto la famiglia di Giuliano Delnevo, il ragazzo genovese convertito all’Islam e morto in Siria combattendo coi ribelli contro il regime di Assad. La Procura di Genova lo ha indagato ritenendo che abbia svolto attività di reclutamento dei terroristi, ma è un ragazzo che ha seguito una causa giusta e non aveva mai fatto del male a nessuno».

In questa prospettiva si ritorna alla controversa sentenza firmata dalla giudice Clementina Forleo nel 2005 che assolse dei presunti appartenenti a una cellula terroristica sulla base della distinzione tra “guerriglieri” e “terroristi”. Il verdetto, in un primo momento confermato dai giudici d’Appello, venne poi ribaltato su indicazione della Cassazione lasciando sospesi interrogativi che oggi tornano attuali. È un terrorista chi va a combattere per la libertà del suo popolo? Una certezza la offre il pm Grazia Pradella, esperta di terrorismo islamico: «Credo che sia importante l’interpretazione delle norme da parte del magistrato. In ogni caso, se fai una strage di civili o violi la Convenzione di Ginevra sui crimini di guerra, parliamo di terrorismo».

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