Terrorismo
Gli imprenditori della polarizzazione: nessuno nasce terrorista
Sono giorni, questi, in cui ciascuno tenta di offrire la propria interpretazione dei gravissimi fatti e del massacro avvenuto a Parigi venerdì scorso. Tra le tante parole, a me tornano sempre in mente quelle di un mai superato saggio di Cass Sunstein scritto nel 2002 e che, allora, provava a spiegare un certo humus sul quale possono germogliare eventi come l’attentato alle Torri Gemelle e il clima di frammentazione sociale ad esso collegato. Il saggio si intitola Why they hate us: the role of social dynamics ed è valido, a mio modo di vedere, ancora di più oggi che cerchiamo un po’ di luce sui fatti di Parigi.
La questione molto chiara descritta da Sunstein è la seguente: come dice bene l’economista, nessuno nasce terrorista, per quanto violente possano essere le sue convinzioni o le sue idee. I terroristi sono il prodotto, piuttosto, di meccanismi sociali ben precisi, di forze che muovono e dirigono strategicamente questi gruppi.
In psicologia si parla di group polarization, la polarizzazione dei gruppi, quel meccanismo per cui, durante un’interazione sociale tra persone che si scambiano le proprie opinioni, le posizioni più estreme possono muoversi ulteriormente verso posizioni ancora più radicali.
La sintesi che emerge da un gruppo dipende, infatti, da diversi fattori: il livello di consapevolezza dei singoli membri del gruppo; il livello di omogeneità degli stessi; quanto i membri del gruppo si sentono parte di una comunità identitaria che non ammette il dissenso; la distribuzione iniziale delle opinioni.
In un contesto simile, la pressione sociale può esercitare un ruolo fondamentale ben più importante della composizione etnica e di qualunque identità religiosa che, spesso, sono le interpretazioni correnti del fenomeno terrorismo.
Il terrorismo non è legato a specifici tratti di una cultura; si tratta piuttosto di un fenomeno spiegabile attraverso precise dinamiche sociali e di psicologia di gruppo.
Se mi trovo a seguire una conferenza in cui si dibatte di problemi ambientali e sono moderatamente scettico nei confronti del cambiamento climatico, è possibile che, di fronte a persone che sono molto più scettiche di me sullo stesso problema, io sposti la mia opinione proprio in direzione di una maggiore radicalità delle mie posizioni.
Secondo Sunstein molti gruppi terroristici (lui fa il caso di Al Qaeda, ma la logica si può applicare benissimo all’ISIS) sfruttano proprio questa dinamica di gruppo. Essi sono prevalentemente costituiti da giovani con uno stesso background socio-culturale, privi di istruzione e tendenti a identificarsi l’uno con l’altro. Sunstein parla di imprenditori della polarizzazione, persone che riescono a sfruttare queste dinamiche sociali proprio per spingere verso una maggiore radicalizzazione e guidare i membri di tali gruppi verso le azioni più scellerate e violente, in nome semplicemente del mantra ‘loro sono il male’, ‘non è ammesso alcun ripensamento’.
L’economista descrive i “corsi di formazione” ai tempi di Osama Bin Laden, basati sulla somministrazione ossessiva di video che mostravano, ovunque nel mondo (Bosnia, Cecenia, Iraq) immagini di violenze subite da persone di religione islamica. Solo in questo momento, e solo per effetto di una vera e propria induzione dall’alto, la religione veniva utilizzata, meramente come pretesto, per costruire e fabbricare un terrorista perfetto.
Sunstein più volte, e non a caso, usa un linguaggio legato al mondo industriale: i leader di Al Qaeda, come dell’ISIS, seguono una precisa strategia commerciale e un business plan molto chiaro teso a costruire la loro macchina del terrore.
Sul fronte dei potenziali adepti, entrano in gioco anche meccanismi di self reputation: se io considero me stesso normalmente come persona che ha posizioni più radicali contro gli Stati Uniti e mi trovo a parlare dentro a un gruppo di persone che ha posizioni parecchio estreme, è possibile che, per mantenere la mia consapevolezza e auto-stima di persona estremista, sposti ulteriormente l’asticella verso convinzioni radicali.
Sunstein trova le logiche dei gruppi terroristi non diverse da quelle di qualunque gruppo politico che difende e propone posizioni politiche estreme, a destra come a sinistra, all’interno di un mercato elettorale che si alimenti della radicalizzazione delle posizioni.
La visione dei leader dei gruppi terroristici come imprenditori della polarizzazione è particolarmente interessante proprio in virtù della caratteristica struttura delle nostre forme politiche, in cui pesi e contrappesi istituzionali sono l’ancora e la garanzia di una gestione democratica di posizioni polarizzate. L’esistenza di due rami di un parlamento, del bicameralismo, di un presidente che ha potere di veto sull’approvazione di determinate leggi, per esempio, secondo Sunstein rappresentano appunto la possibilità che le istituzioni hanno di mediare la creazione di queste dinamiche sociali potenzialmente molto pericolose e legate alla polarizzazione estrema.
L’economista chiude il saggio con un riferimento a un tema che, troppo spesso, viene dimenticato dal dibattito politico internazionale. Si tratta, cioè, della libertà di associazione. Questo è sicuramente, e lo dice anche Sunstein, un caposaldo delle democrazie occidentali, una libertà inviolabile e che, il più delle volte, produce soltanto effetti positivi su una società perché garantisce il pluralismo delle posizioni e la democraticità del dibattito. Tuttavia, dice Sunstein, la libertà di associazione, in caso di forte frammentazione sociale, è anche ciò che porta alla costituzione di quelle dinamiche che, proprio per effetto dei meccanismi sopra descritti, si traduce nella possibilità di costituire enclavi di potenziali reclute degli imprenditori della polarizzazione.
Perché, dice Sunstein, bisogna accettare che gruppi in grado di associarsi liberamente, promuovano messaggi di odio e di violenza nei confronti di un governo? “L’odio” dice l’economista “difficilmente è considerabile come illegale. Di per sè, non rappresenta una ragione valida che porti da sola alla guerra. Ma quando l’odio è il prodotto delle forze sociali che abbiamo descritto, e rende dunque il terrorismo possibile, questo offre una valida argomentazione a supporto di chi vuole sciogliere e bandire tutti quei gruppi che istigano le persone a comportamenti violenti”.
Su questo a me pare serve una riflessione sempre più attuale, al di fuori di qualsiasi retorica.
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