Mediterraneo
Giornata di fuoco a Tunisi
Erano le 12.30 quando sul web è iniziata a circolare la notizia: Tunisi, colpi di arma da fuoco all’interno dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo (ARP). Nel giro di un’ora i maggiori tg nazionali e internazionali l’hanno confermata, aggiungendo che dopo il fallito attacco al Parlamento i terroristi si erano spostati verso il museo del Bardo.
Il blitz dell’antiterrorismo si è concluso con almeno 11 vittime accertate: 8 turisti, 1 agente e 2 terroristi. I numeri, tuttavia, non sono definitivi e vengono continuamente aggiornati. Alcuni, infatti, parlano addirittura di 22 morti e tra questi ci sarebbero anche alcuni italiani.
Questo vile attacco terroristico (la cui rivendicazione da parte di IS è in attesa di conferma) è particolarmente indicativo e simbolico in quanto rappresenta una vera minaccia per la pacifica transizione tunisina. Una transizione di successo, democratica e civile, che oggi è stata pagata a caro prezzo da un paese che si oppone a chi vorrebbe imporsi con il terrore.
Inserita nel contesto nordafricano, infatti, la Tunisia può essere considerata un paese all’avanguardia. Tanto per fare un esempio, sul territorio ci sono numerosissime ONG e non è un caso se per la seconda volta in tre anni Tunisi ospiterà il World Social Forum. Anche se questo non fa diminuire i potenziali rischi e tenendo conto della posizione geografica del paese e della sua centralità nel fenomeno dei foreign fighters, resta il fatto che non possiamo non valutare questi significativi, per alcuni forse banali e troppo semplici, dati di fatto.
Anzi, adesso diventa ancora più importante sottolineare che la Tunisia è nel mirino proprio perché è un esempio da seguire per tutti i paesi che sono stati protagonisti delle primavere arabe. Questo dovrebbe spingere l’Occidente e le sue istituzioni a restituirle l’importanza e il ruolo che merita, non solo sostenendola con partenariati “pseudo-economici”. Inoltre sarebbe il caso di rivalutare la Tunisia anche rispetto all’Egitto, storicamente considerato il paese leader tra quelli arabi. Questo perché possiamo quasi essere certi che in Tunisia non si assisterà ad una deriva militare come quella avvenuta con al-Sisi in Egitto, dove di fatto non c’è stata alcuna transizione democratica. “Stabilità egiziana”, infatti, non può essere considerata sinonimo di “democrazia tunisina”.
La tragedia di Tunisi rappresenta la punta di un iceberg che sta emergendo con forza e che fino ad oggi era rimasto sommerso grazie agli anticorpi sviluppati dalla società civile tunisina. Non abbandoniamola.
@Fra_Lozzi
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