Terrorismo
Di terrorismo, di folle e speranza
Solo una volta mi sono trovato in balia di una folla impazzita di paura. Era il luglio del 2001, mi trovavo a Genova – io già scettico, io già arrabbiato, io forse già disilluso – insieme a migliaia di altre persone. La polizia aveva preso a sparare decine di lacrimogeni sopra l’enorme corteo che sfilava lungo il mare. Sparavano dagli elicotteri e dalle colline circostanti. L’aria era irrespirabile e mi sentivo come se mi stessero versando in gola bicchieri e bicchieri di cemento istantaneo. Non riuscivo a riprendere fiato e, come me, immagino non potessero respirare tutti gli altri uomini e le donne, i ragazzi e le coppie di vecchi che poi avevano iniziato a correre in mille direzioni diverse. Erano letteralmente impazziti di terrore e alcuni si gettavano nel vuoto dall’alto, verso la spiaggia. Nello stesso momento la polizia aveva preso a caricare da due o da tre punti diversi: con rabbia, alla cieca, senza risparmiare nessuno. Ovviamente avevo paura anch’io, ma in piazza ci stavo già da qualche anno e riuscivo a pensare che sarei morto soffocato ma che lo avrei fatto “con calma”, senza schiacciare nessuno. Ricordo di essermi trovato nei primi momenti al fianco di alcuni di quei matti che – proprio come nella canzone degli Assalti Frontali – hanno il vizio di correre nella direzione sbagliata (devo confessare – altrimenti sarei ipocrita – che non amo ormai da tempo certe facili retoriche, ma nel racconto di quei momenti ci hanno preso e anche bene); un certo numero di matti, dunque, che insieme ai vari servizi d’ordine presenti avevano provato a reggere l’impatto delle cariche e quantomeno a incanalare il rinculo, la fuga, quel maledetto riflusso. In parte ci erano riusciti e credo che abbiano salvato molte persone da conseguenze addirittura peggiori. Qualcuno, già nei giorni precedenti, ci aveva rimesso la pelle, dunque non era scontato star lì e mantenere la calma. Era una forma generosa di coraggio che comunque servì a poco e per poco. Non serve che io finisca questo racconto, credo di averlo già fatto anche altrove. Non mi interessa nemmeno chiedermi se un’organizzazione migliore e diversa – ieri, in piazza San Carlo a Torino – avrebbe potuto agevolare e incanalare la fuga come a Genova avevano fatto gli stessi manifestanti.
Mi interessa invece fermarmi sull’umanità della fuga, sulla disperata corsa verso la vita di persone perbene che – molti anni fa a Genova, ieri a Londra e a Torino, recentemente ancora in Inghilterra e anche in Francia, e poi in Asia, in medio-oriente, dappertutto sotto le bombe nel mondo – corrono corrono e corrono più veloce che possono per salvare se stessi o per salvare un bambino, com’è accaduto ieri a Torino. M’interessa capire cosa spinge, cosa sostiene quelle corse ed è certo la voglia di vivere ancora; e cosa sostiene, al contrario, quell’oscura forza che corre dietro a quelle stesse persone. Penso ai genitori del povero bambino di Torino, alla loro disperazione, alla loro impotenza. Penso ai momenti di odio che sporcano le nostre vite. Penso che c’è sempre qualcuno che sembra odiare un’intera generazione e addirittura la vita in sé: la propria e pure quella degli altri. È questa l’oscura forza che sembra rincorrere le folle impaurite. È l’odio per un’umanità che si mette o che almeno si mantiene in cammino. Penso a mio figlio che ha già cominciato a fare piccole uscite da solo e ai miei difficili “sì, esci pure”. Penso a mio figlio che a dodici anni ha paura di prendere la metropolitana anche quando esce con me, e al fatto che recentemente non ha trovato neppure il coraggio – o forse soltanto le parole – per dirlo, e a come soltanto le mie domande lo abbiano poi incoraggiato a parlarne. Paura è forse la parola chiave del terzo millennio. Un terzo millennio che si è aperto con la sconfitta del movimento no global (quanto mi sembra sbagliato visto da oggi quel nome, quel nome per l’unico movimento, per quanto limitato e da me poco amato, davvero globale di fatto e di cuore). Un terzo millennio che, almeno per il momento, sembra vittima della stessa paura che ha dispensato a grandi palate sulle spalle della sua generazione migliore. Senza speranza non ne verremo mai a capo. La speranza è l’unico antidoto che mi sento d’usare. Bombardateci, bombardateli di speranza oppure mai più.
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