Terrorismo
L’Isis somiglia al nazismo: noi somigliamo a chi lo sconfisse?
Parigi Brucia? Non lo chiedo io. Era la domanda che insistentemente ripeteva il gabinetto del Führer nei giorni immediatamente precedenti (20-25 agosto 1944) l’abbandono della città, quando poi arrivano gli alleati e le forze della Francia libera del generale De Gaulle. L’episodio dice molte cose, di allora, ma anche di ora, se non ci facciamo ricattare dal peso delle parole. Per misurarle, credo che si debba prendere la misura partendo da dove eravamo rimasti, da Parigi “liberata”, almeno così credevamo, domenica 11 gennaio 2015, dopo l’attacco a “Charlie Hebdo” e al supermercato ebraico.
Quando in quella domenica, a Parigi come nel resto della Francia, scesero in strada milioni di persone, si poteva pensare che il problema fosse avere la forza del numero. L’idea era che occorreva rimettere insieme i cocci a partire dall’idea di fraternità, un’idea debole, più debole di “libertà” o di “eguaglianza”. Il banco di prova, come sempre nelle democrazie, consisteva nel come si difendono le minoranze, come si tutelano i diritti, come si difendono le persone, sapendo che senza fraternità, niente cittadinanza.
Questa, almeno era la scommessa dell’11 gennaio. Da ieri sera, dieci mesi dopo ci troviamo di nuovo a riflettere sulla debolezza di quella scelta e a rimettere in gioco la risposta “dolce” di allora. Rispetto ad allora dobbiamo dirci che la forza della risposta non sarà più nel numero, o se faremo dei pellegrinaggi liberatori sui luoghi della morte, o se semplicemente ci riprenderemo la strada o la notte o il diritto alla felicità. Sarà importante non cambiare abitudini, ma questo non garantirà della libertà.
Dunque, primo dato. Da ieri sera siamo meno liberi e saremo in questa condizione una forma e per un tempo che l’Europa occidentale, dai giorni neri dell’Europa nazificata, non ha più conosciuto. Non saremo nella condizione di sospendere le libertà o di vivere in una condizione di eccezionalità. Ma la condizione del controllo aumenterà.
Secondo aspetto. Cosa sarà la qualità di vita dell’“islam europeo” sia degli immigrati musulmani in Europa? È un tema enorme, sul quale non ho delle risposte, ma che non può essere né evitato né taciuto. È un problema che per primi hanno proprio questi due soggetti. Perché se è in corso un confronto che ha i tratti del conflitto radicale, senza territorio di mediazione, la posizione della neutralità non è praticabile. Questa è ancor più vero a partire da ieri sera.
Terzo aspetto. Come si sconfigge il nemico? Anche in questo caso è importante la forma in cui inquadrarlo. Perché sapere come lo si sconfigge è conseguente a inquadrare la natura di Isis, ovvero descrivere che cosa sia in quanto espressione, cultura e pratica politica. Ritenere che ciò che abbiamo di fronte sia un attacco terroristico implica intraprendere un percorso di contrasto che fa della controinformazione, dell’uso spregiudicato dell’intelligence, l’arma essenziale. Tutti i movimenti terroristici in età contemporanea sono stati sconfitti in seguito a un processo di rottura al loro interno, in altre parole “per defezione”. A un certo punto si è prodotta una falla e in forza di una capacità di contrasto e di intelligence qualcuno ha attraversato quella terra di nessuno in cui si era ritirato e “ha parlato”.
È pensabile che accada anche con ISIS? Vorrei pensarlo, ma non credo. ISIS ha la fisionomia del movimento politico, ideologico che si fa esercito, movimento fondato sulla convinzione. Movimento costituito da “soldati politici”.
Una sola esperienza nel corso del Novecento ha avuto questo percorso. L’esperienza politica, culturale, ideologica e mentale rappresentata dal nazismo. Il nazismo non è stato sconfitto da nessuna defezione. I suoi sopravvissuti, non hanno mai intrapreso una strada di pentimento, non hanno mai “abbandonato il campo”. Hanno attraversato il lungo dopoguerra senza mai aprire i conti con il loro passato, semplicemente perché ritenevano di avere ragione, ma di avere avuto il solo torto di essere sconfitti.
È una diagnosi impegnativa, ma che implica anche una risposta all’altezza, su tutte e tre gli aspetti. Che per di più non concede molto tempo. Del resto, come sempre, il tempo in politica non è una variabile indipendente.
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