Terrorismo
Da Belgio a “Belgistan”: perché Bruxelles è la culla del jihad
Dopo i recenti avvenimenti a Bruxelles, dopo la cattura di Salah Abdeslam proprio nella capitale belga e dopo che si è ormai appurato che la base europea dei guerriglieri dediti al califfato si trova proprio nella capitale della nostra Unione europea, viene da chiedersi: ma perché proprio a Bruxelles? Perché proprio in Belgio?
Da paese che fu la culla dell’arte e della cultura cristiana, il Belgio si è progressivamente trasformato nel quartiere generale del jihad europeo, crocevia dell’odio islamista in europa: insomma, nel cosiddetto “Belgistan“. Come dimostrato da un recente sondaggio del Centre Interdisciplinaire d’Etude des Religions et de la Laïcité, nella capitale dell’Unione europea i cattolici praticanti sono scesi al dodici per cento della popolazione, mentre il diciannove per cento sono musulmani praticanti. Dunque, il ruolo del cristianesimo è andato progressivamente scemando e ha lasciato spazio ad un nuovo credo, l’islam, che ha guadagnato notevole importanza. Ma quando è iniziato questo processo?
Come spiega l’ottimo Giulio Meotti a Il Foglio, tutto ha inizio nel 1974 quando in Belgio regnava il cattolicissimo re Baldovino, il quale spinse per il riconoscimento ufficiale della religione islamica, dati i buoni rapporti che intercorrevano fra esso e la monarchia saudita. Il Belgio fu dunque il primo paese europeo a riconoscere l’islam, ma in cambio non ottenne solo la benevolenza dei sauditi bensì importanti rifornimenti di petrolio nel bel mezzo della crisi petrolifera che attanagliava l’europa intera. In quel periodo i musulmani in Belgio erano alla prima generazione, lavoravano nelle miniere e desideravano spazi per pregare, e il re Baldovino glieli offrì: così il Pavillon du Cinquantenaire, enorme edificio che sorge a duecento metri dal Palazzo Schuman e dal quartier generale dell’Unione europea, andò in affitto ai sauditi per una durata stabilita di 99 anni, ed essi lo trasformarono nella Grande Moschea del Cinquecentenario che divenne l’autorità islamica de facto in Belgio. Alla fine degli anni 90 nacque una autorità formale, l’Esecutivo dei Musulmani in Belgio, che si occupa degli aspetti materiali, ma non degli aspetti teologici. Questo spazio è rimasto occupato dalla Grande Moschea sotto guida saudita.
Tuttavia il patto con il Belgio rientra in un più vasto progetto globale: dal 1979, le autorità saudite hanno speso più di sessanta miliardi di euro nella diffusione nel mondo del wahabismo, una visione dell’islam che si basa sul monoteismo assoluto (tawhid), il divieto di innovazioni (bid’ah), il rigetto di tutto ciò che non è musulmano, la scomunica dei “miscredenti” (takfîr) e la lotta armata (jihad). L’Arabia Saudita dona ogni anno un milione di euro alle venti moschee di Mollenbeek, quartiere di Bruxelles e noto covo di jihadisti, per il rinnovamento e la manutenzione. Inoltre, nella Grande Moschea di Bruxelles, dono del re belga ai sauditi, si sono formati imam come Rachid Haddach, uno dei più popolari predicatori salafiti oggi a Bruxelles: egli, nelle sue prediche, spiega che i bambini musulmani in Belgio, anziché andare alla scuola materna, dovrebbero stare a casa fino all’età di sei anni in modo da non essere contaminati da un ambiente non islamico. Nel 1978, la Grande Moschea di Bruxelles venne aperta al pubblico dopo un lungo restauro a spese dell’Arabia Saudita, in presenza del re Khaled Abdulaziz Al Saud e del monarca Baldovino, e nel 1983, con la firma di André Bertouille, ministro dell’Istruzione, un regio decreto approvò anche le operazioni della Lega Islamica Mondiale a Bruxelles, che servì a trasformare l’Arabia Saudita nel “polo egemone di tutto il mondo musulmano.
Così, mentre paesi come la Turchia si sforzavano per portare avanti un’opera di educazione religiosa non estremista, gli imam del Marocco, da cui veniva la maggioranza dei musulmani del Belgio (i futuri Salah Abdeslam), venivano egemonizzati dai sauditi con il loro approccio salafita e wahabita, lo stesso cui oggi si ispira lo Stato Islamico che, guarda caso, fa rifornimento della maggior parte di adepti proprio in Arabia Saudita.
La scelta del Belgio di quarant’anni fa ha generato molte preoccupazioni nel tempo, dato il diffondersi di idee fondamentaliste nella Grande Moschea. Il paese famoso per la Madonna di Michelangelo a Bruges, paga ora il prezzo di quel patto suicida che si concluse nel 1974, definito dal ministro francofono belga Rachid Madrane, anch’egli musulmano, come “sconsiderato“.
Lo stesso Madrane, in un’intervista al giornale “La Libre“, ha dichiarato: “Il peccato originale del Belgio consiste nell’aver consegnato le chiavi dell’islam nel 1973 all’Arabia Saudita per assicurarci l’approvvigionamento energetico”.
Dunque fu semplicemente “Oil for Islam“. Greggio in cambio di Islam.
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