Terrorismo

Continuiamo a disegnare, a ballare, a reagire al terrore

8 Gennaio 2015

Sulle pagine del New Yorker George Parker si interroga sulle cause dell’attacco a Charlie Hebdo: ”gli omicidi di oggi a Parigi non sono il risultato del fallimento della Francia nell’assimilare due generazioni di immigrati musulmani dalle sue ex colonie”, né la diretta conseguenza delle azioni militari francesi contro l’Isis, e neanche frutto della violenza nichilista che ha portato ad attentati in stile Oslo. Parker è chiaro: sono gli ultimi colpi di un’ideologia che prova a raggiungere il potere con il terrore, ideologia che ha emesso sentenze di morte verso Salman Rushdie per aver scritto un romanzo e ucciso Theo Van Gogh per aver girato un film (minacciando anche la collaboratrice Ayaan Hirsi Ali). Non è una sorpresa, dunque, ridestarsi un mattino in un mondo che fa fuori dei vignettisti, dei disegnatori, degli animatori di satira. Non è una sorpresa osservare ancora una volta come un cittadino che non sa di essere in guerra esca di casa senza armi, vada a lavoro, e muoia. Nonostante questo, per fortuna non siamo ancora arrivati al punto di abituarci all’orrore.

Non tutti i musulmani sono terroristi, parliamo di una minoranza fanatica: questa è una convinzione che dobbiamo continuare a sostenere e diffondere, e chiunque non sia in malafede non può negarlo. Ma tutte le ideologie della violenza e del terrore si somigliano a loro modo, e sono altrettanto crudeli e da condannare. Non c’è verso di far retorica e ragionamenti in proposito, né di tirar fuori dal cappello magico della meravigliosa storia occidentale l’arte della tolleranza a prescindere. Se c’è qualcosa che abbiamo imparato proprio dalla nostra storia è come rispetto e tolleranza vadano guadagnate con dure prove quotidiane. E avremmo davvero bisogno di una grande e malata fantasia per paragonare la libertà di espressione di un uomo armato di pistola a quella di un disegnatore che tra le mani regge solo una matita.

Si può dire che Charlie Hedbo ha provocato l’attacco, come hanno scritto il Financial Times e un bel mucchio di gente su twitter? Equivarrebbe a dire che per difendervi da un’offesa in strada abbiate diritto a sfidare il vostro avversario a singolar tenzone e ammazzarlo. In un mondo ricco di tribunali e cavilli legali con cui tirar fuori dalle tasche altrui un bel po’ di soldi per un’offesa sembra addirittura una scelta idiota. ‘‘Tutti quelli che sono inorriditi da questi crimini devono usare la libertà di parola che gli assassini hanno cercato di mettere a tacere – e utilizzarla per condannarli, senza equivoci”, scrive il Guardian.

Abbiamo questo straordinario dono, la libertà di parola. Insieme a quella abbiamo la libertà di disegnare, quella di ballare, quella di scrivere poesie e leggere libri che in altri tempi sarebbero stati ritenuti scandalosi (pensare oggi che Oscar Wilde fosse scandaloso un centinaio di anni fa ci fa sembrare appena usciti tutti dal ballo delle debuttanti). E quello che resta da fare con questa libertà è coltivarla al meglio: non urlare al razzismo, ma contemporaneamente condannare chi è stato razzista nei confronti di un vignettista occidentale, condannare qualunque genere di razzismo e fanatismo. E difendere coi denti stretti fino alla fine la nostra libertà di ballare, e leggere libri, scrivere poesie, cantare e disegnare. In fondo siamo qui per vivere al meglio e condividere insieme il tempo per il meglio: all’al di là ci penseremo un’altra volta. Però adesso è tempo di reagire.

 

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