Parigi

Ci sentiremo più sicuri con un presidente dotato di “poteri straordinari”?

25 Novembre 2015

I recenti attacchi terroristici di Parigi hanno destato viva commozione. Gli effetti si sono fatti immediatamente sentire sulla vita quotidiana di tutti i cittadini. Ma essi andranno ad influire con assoluta certezza sulle politiche degli Stati e spingeranno i Governi ad adottare nuovi provvedimenti volti a fronteggiare il terrorismo internazionale.

Come avvenne a seguito degli attacchi dell’11 settembre 2001, ci si interroga se si debba o meno intervenire con nuove norme, se non addirittura direttamente sulla Carta costituzionale, prevedendo poteri eccezionali al fine di preservare i principi liberaldemocratici e di tutelare i cittadini da possibili attentati. Un sostenitore di questa teoria è sempre stato Bruce Ackerman, il quale sottolineava nei sui lavori la necessità di una Costituzione per l’emergenza, che permettesse di adottare misure immediate, al fine di prevenire un secondo attentato, con durata limitata nel tempo. In questi momenti, poi, sarebbe possibile anche derogare le garanzie dei diritti fondamentali, finalizzati alla tutela della collettività.

Anche il Presidente francese si è ora posto il medesimo interrogativo, ossia se per far fronte agli attacchi terroristici non sia necessario modificare la Carta fondamentale; ma più che di un esercizio teorico, la sua è stata una vera e propria presa di posizione a favore del cambiamento, dal momento che ha annunciato al Parlamento l’intenzione di presentare un progetto di riforma della Costituzione, al fine di inserire nel suo interno il c.d. “stato di urgenza”, così come proposto dal Comitato Balladur nel 2007 (Rapport du Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions de la Ve République).

La modifica andrebbe ad interessare due articoli; l’art. 36, che regola lo stato di assedio, e l’art. 16, che permette al Presidente di attribuirsi poteri eccezionali in casi di gravi minacce. L’intervento sarebbe giustificato dalla circostanza che le ipotesi previste da queste norme sono del tutto peculiari, non adatte ai fatti verificatisi: la prima perché trasferisce alcuni poteri all’autorità militare, la seconda perché si presta ad una deriva autoritaria. Lo stesso Ackerman, peraltro, criticava le previsioni contenute nell’art. 16 perché concedono al Presidente poteri arbitrari.

In realtà un meccanismo che disciplina lo stato di urgenza è già presente nell’ordinamento francese ed è la legge n. 55-385 del 3 aprile 1955; essa prevede che, con decreto del Consiglio dei Ministri, vengano attribuiti al ministro dell’interno ed ai prefetti tutta una serie di poteri, come il divieto di assemblee e riunioni, di circolazione e di soggiorno, la possibilità di istituire posti di blocco, di effettuare perquisizioni a domicilio di giorno e di notte, solo per citare alcuni dei poteri previsti. La durata è però fissata a 12 giorni; ogni sua proroga deve essere autorizzata dal Parlamento per un massimo di 3 mesi. Ciò è stato effettivamente decretato a seguito degli attacchi terroristici e la proroga è stata disposta con la legge 2015-1501 del 20 novembre 2015.

Senza voler entrare nel merito di quest’ultimo provvedimento – che peraltro ha modificato anche la normativa del 1955 – resta sullo sfondo la necessità o meno di procedere ad una riforma costituzionale, ad introdurre una norma che disciplini un’ipotesi differente da quella prevista dall’art. 16 Cost., ossia dallo stato di assedio vero e proprio.

La proposta suscita però due perplessità. L’introduzione di tale disciplina nella Costituzione porta ad irrigidire la fonte, che quindi non potrà, per il futuro, essere modificata se non seguendo il macchinoso strumento della revisione costituzionale. In sostanza, si preferisce ad una disciplina agile e facilmente emendabile a seconda delle esigenze, una che necessita di un iter molto più complesso (approvazione dei due rami del Parlamento e referendum o votazione con la maggioranza dei 3/5 da parte del Parlamento in seduta comune).

La seconda è diretta conseguenza della prima. La modifica costituzionale potrebbe mirare a rendere più libero il Governo, a riconoscergli la possibilità di agire senza incontrare lo stretto controllo del Parlamento, derivando la legittimazione direttamente dalla Carta fondamentale. E’ questo allora ciò che si cela dietro la richiesta di modifica costituzionale, il riconoscimento di una sorta di “potere di prerogativa” di lockiana memoria, ossia da esercitarsi in vista del pubblico bene senza prescrizioni della legge e talvolta anche contro di essa.  All’esecutivo, quindi, in ipotesi del tutto eccezionali, potrebbero essere attribuiti poteri peculiari, finalizzati a risolvere le situazioni emergenziali che si vengono a creare. Ma questa logica, in connessione alla perdurante minaccia terroristica, porta a condividere quanto affermato da Giorgio Agamben, secondo il quale lo stato di eccezione si presenta sempre più come una tecnica di governo e non come una misura eccezionale.

Ed è forse questo un dato che deve allarmare e che deve portare a riflettere sulla necessità che i poteri emergenziali vengano, oggi più che mai, circondati da una serie di tutele e garanzie che li rendono sempre e comunque rispettosi dei principi e delle regole che caratterizzano gli ordinamenti costituzionali. Altrimenti, ad essere messi sotto attacco saranno i pilastri degli ordinamenti liberaldemocratici ed è questo un rischio che deve essere assolutamente evitato.

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