Terrorismo
Charlie Hebdo: se la sono cercata?
Dopo la strage di Parigi, ho parlato del fatto con alcuni amici e una delle frasi che più mi hanno colpito è stata quella di Federica: “Dai, un po’ però se la sono cercata i vignettisti di Charlie Hebdo”. Stasera, poi, ho letto che i criminali sono stati uccisi durante le azioni della polizia francese. Mi è molto dispiaciuto sapere della loro morte, non solo perché sarebbe stato utile ottenere informazioni per la lotta al terrorismo. Mi è dispiaciuto perché avrei voluto che avessero un assaggio di cosa sia la civiltà, in particolare la civiltà occidentale, ed è quello che vorrei tentare di spiegare a me stesso in queste righe. “Se la sono cercata” Inizialmente, come al solito, mi è venuto spontaneo controbattere, contraddire l’affermazione. Però non potevo ignorare che un po’, questa cosa, la pensavo anche io. Ma cosa si sono cercati? Certamente un vignettista ha un obiettivo, cerca di ottenere qualcosa con i propri disegni. Credo che l’obiettivo della satira sia cercare di far riflettere, di scuotere, di mettere in discussione. Quindi, è vero che “se la sono cercata”: una reazione di qualche tipo, certamente la cercavano, la desideravano, e sarebbe stato deludente non ottenerla, avrebbe significato che la vignetta era poco pungente, era inutile insomma. Preciso meglio la questione. La vignetta è stata disegnata in Francia, un Paese democratico che tutela la libertà di espressione, dove credo esista l’equivalente dell’articolo 21 della nostra Costituzione, il quale afferma (all’ultimo comma) che “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”. Ora, dò per scontato che non ci siano dietrologie, complotti (o meglio, gombloddi) o forze oscure che abbiano manovrato in qualche modo i terroristi. Assumo quindi che il movente della strage siano i sentimenti religiosi degli attentatori offesi dalla satira della rivista parigina. Certamente, se gli attentatori fossero stati democratici e avessero ritenuto che quel tipo di satira fosse troppo pesante, avrebbero potuto fare pressione (ad esempio tramite un disegno di legge di iniziativa popolare) affinché la legge francese le dichiarasse contrarie al buon costume. Credo che una reazione del genere sarebbe stata perfettamente comprensibile e accettabile anche ai disegnatori di Charlie Hebdo. Perché non hanno seguito questa via e hanno preferito la via della violenza? Da qui si diramano più possibilità. 1 – gli attentatori, urtati dalla satira, ritenevano inefficace ricorrere alla legge per far valere le loro ragioni e quindi hanno optato per una via più diretta, al fine di intimorire altri vignettisti ed evitare ulteriori offese al loro Dio. 2 – gli attentatori avrebbero voluto ricorrere alla legge ma non ne conoscevano la possibilità. 3 – gli attentatori avrebbero voluto ricorrere alla legge ma non ne avevano i titoli (ad esempio perché non erano cittadini francesi). 4 – gli attentatori ritenevano che l’unica giusta punizione per delle vignette simili contro il loro Dio fosse la morte. La prima ipotesi mi sembra legata al generale problema della distanza tra Stato e cittadini, ma non giustifica comunque il ricorso alla violenza: forse sarebbe occorsa un po’ di pazienza e un po’ di tempo, ma alla fine gli offesi avrebbero potuto far valere le loro ragioni davanti a una qualche autorità che avrebbe valutato la questione. È tra l’altro interessante il fatto che grazie alla strage la diffusione delle vignette incriminate sia aumentata non solo in Francia, ma in tutto il mondo, proprio in segno di solidarietà alle vittime. Quindi, l’obiettivo di contenerne la diffusione sarebbe miseramente fallito. Allo stesso modo, la seconda ipotesi non giustifica alcunché, al massimo può essere di stimolo a diffondere la cultura della legalità tra la cittadinanza. La terza ipotesi mi interessa maggiormente. Parto dal presupposto che una vignetta pubblicata in Francia non sia contraria alle norme francesi sulla libertà di stampa, perché altrimenti sarebbe stata in qualche modo censurata, multata, ritirata. Un altro fatto è che a qualsiasi contenuto multimediale digitalizzabile si può accedere facilmente da qualunque Paese del mondo, grazie alla globalizzazione dell’informazione. Anche da Paesi dove tale contenuto sarebbe stato ritenuto impubblicabile perché urtante per la sensibilità della maggioranza della popolazione (o di chi detiene il potere). Ora, credo che a questo punto si ponga il grosso problema. L’autorità francese è tenuta a considerare solo la sensibilità della maggioranza dei francesi o di tutti quelli che potrebbero anche solo potenzialmente avere accesso a un certo contenuto? In altri termini, il buon costume può essere standardizzato? Come esistono degli standard per viti e bulloni, che hanno caratteristiche compatibili dovunque siano prodotti, così dovrebbe essere anche per i prodotti della fantasia: compatibili con qualsiasi sensibilità? Ma non sarebbe questo un “sovranazionalizzare” una parte della sovranità, consistente appunto nel determinare cosa sia il “buon costume” in un certo territorio e per una certa popolazione? Esiste un “buon costume” globale? Questi interrogativi restano, forse a sproposito, aperti. Cerco invece di valutare l’ultima ipotesi. Se queste persone avessero avuto una cultura democratica, avrebbero dovuto sapere che anche le religioni e in generale le convinzioni personali non possono giustificare atti contrari alla legge, in particolare contrari a principi fondamentali, come l’omicidio. Questa è la ragione per cui mi spiace di più della morte dei terroristi: avrei voluto mostrare loro che nonostante abbiano ucciso degli innocenti, nessuno li avrebbe uccisi, anzi lo Stato (e quindi in parte anche le famiglie degli uccisi) li avrebbe probabilmente mantenuti, sebbene carcerati, per molti anni, dopo un regolare processo. Avrei voluto che vedessero come la cultura occidentale ponga davanti a tutto alcuni diritti fondamentali, e come non li neghi neppure a coloro che li negano.
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