Parigi
Attentati a Parigi: la rassegna stampa internazionale
“La guerra in piena Parigi”, scrive Le Figaro. “La Francia si risveglia sotto shock dopo una notte di terrore”, titola Le Monde. Liberation parla invece di “mondo sotto shock dopo gli attentati di Parigi”. Il New York Times mette in primo piano “lo Stato d’emergenza” dichiarato da Francois Hollande, e l’indiano Firstpost dice “Siamo tutti francesi, uccidere innocenti non è Islam”. Proprio Firstpost propone un articolo del musulmano Wajahat Qazi che respinge qualsiasi affinità tra Islam e quanto accaduto nella capitale francese:
Il mio Islam è un Islam che detiene e tratta tutta la vita come sacra – un dono di Dio che solo Dio può prendere. Il mio Islam è un islam il cui Dio è ‘Rabb al Alaameen’ – Dio di tutto. Il mio Islam è un islam che sostiene la santità di ogni vita, donne, uomini bambini e anche di tutta la creazione. Il mio Islam non è un islam che ha sete di sangue o che si nutre del sangue degli innocenti. Chino il capo per la vergogna e sono molto arrabbiato con coloro che prendono la vita di innocenti in nome dell’Islam portando discredito al mio all’Islam.
La stampa francese e internazionale racconta tutte le sfaccettature della tragedia di venerdì 13 novembre. Il bilancio oscilla tra i 120 e 158 morti, confermando in qualsiasi caso che si è trattata di una strage ancora difficile da quantificare in termini di vite umane. A distanza di qualche ora, però, la dinamica dei fatti è stata chiarita: prima l’attacco kamikaze nei pressi dello Stade De France, dove si stava giocando la partita amichevole Francia-Germania, poi le sparatorie al ristorante Petit Cambodge e nella sala concerti Bataclan, dove c’è stato il maggior numero di vittime. Ma i siti di informazione hanno anche proposto delle analisi sul terrorismo e sulle conseguenze del 13 novembre 2015.
“La più grande sconfitta”, titola il suo editoriale il direttore di Liberation, Laurent Joffrin. «La barbarie terroristica ha raggiunto l’apice storico. Un massacro coordinato nel cuore di Parigi e allo Stade de France, condotto con una fredda determinazione, con lo scopo di massimizzare le vittime. I luoghi volutamente colpiti sono dedicati al tempo libero e al divertimento. Così vuol dire che i francesi sono minacciati nella loro vita semplice e quotidiana». Gustavo Sierra, sul quotidiano argentino El Clarin, sottolinea come l’allarme fosse già alto.
Tutta l’Europa era in stato di allerta in quanto si è saputo che dei droni americani avevano sparato missili e uccidendo Emwazi Mohamed, meglio conosciuto come Jihadi John, l’uomo mascherato con un accento britannico che aveva decapitato diversi ostaggi occidentali in nome dell’ISIS. La preoccupazione di molti era che ci sarebbe stata una rappresaglia, molto presto, da qualche parte nel mondo.
Le Figaro, in un articolo di Cristophe Cornevin e Jean-Marc Leclerc, evidenzia che l’intelligence temeva un’azione del genere. «Gli esperti antiterrorismo si attendevano un attacco importante in Francia. Le unità di intervento si stavano preparando da tempo per questo tipo di attacchi con obiettivi multipli». I due giornalisti hanno raccolto l’analisi di Yves Trotignon, esperto di antiterrorismo. «Il pericolo viene da gruppi, più o meno grandi, di ragazzi che provengono da teatri di operazioni in cui hanno vissuto, forse la Siria, la Libia, lo Yemen, che reperiscono le armi in loco e agiscono».
Sul quotidiano spagnolo El Pais, Fernando Reinares, analizza il problema degli immigrati di seconda generazione, che alimenta la minaccia terroristica. Il titolo “Fabbrica di terroristi” lancia un grido preoccupato sull’integrazione.
Spagna e Italia hanno importanti popolazioni musulmane, ma ancora in gran parte sono composte da immigrati di prima generazione e hanno registrato livelli molto più bassi di infiltrazioni del movimento jihadista. Tutto questo dimostra che i governi dell’Europa occidentale hanno un problema serio con la seconda generazione di musulmani nelle nostre società plurali e pluralistiche. Né per gli inglesi né per i francesi il processo di assimilazione del multiculturalismo può essere giudicato in maniera positiva.
Il New York Times si è affidato al racconto personale di Pamela Druckerman, su come ha vissuto la tragedia: «Imparo la parola francese per il coprifuoco: couvre-feu. Ascolto la notizia che stanno riportando, molte persone sono morte dentro il Bataclan. I numeri sono insondabili. I miei figli sono addormentati. La loro baby sitter non c’è. Tutto quello che continuo a pensare è: che cosa dirò loro quando si svegliano?». Infine, sul britannico The Guardian Natalie Nougayrède si sofferma sulla risposta da dare:
Sarà fondamentale per i funzionari francesi per inviare i segnali che possano impedire il tipo di appartenenza sociale con la disgregazione nazionale, che chi ha orchestrato questo ultimo assalto ha senza dubbio cercato di provocare. Per la scena europeo, e più in generale per l’Occidente, quanto è successo a Parigi non può che essere uno spartiacque e molti vedranno come un rozzo, violento, ricordo traumatico del fatto che tutti noi continuiamo a vivere nell’era post-11 settembre.
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