Legislazione
Alfano, ma perché internet dev’essere un’aggravante per i reati di terrorismo?
Il testo ancora non è visibile e quindi siamo costretti a basarci su resoconti governativi e dichiarazioni ufficiali. Quel po’ che vediamo non è granché. Probabilmente a caccia di visibilità improvvisa che faccia dimenticare la pietosa figura rimediata durante l’elezioni di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, Alfano ieri si è preso la scena in occasione della presentazione delle misure urgenti contro il terrorismo, discusse e approvate durante il consiglio dei Ministri. Si tratta, come può spiegare qualunque giurista di media cultura, di un insieme di regole – per ora di annunci – che vanno nella direzione della legislazione dell’emergenza, che tendono a creare figure di reato che sono in realtà in buona parte doppioni di quelle già esistenti: pensiamo alla “nuova figura di reato destinata a punire chi organizza, finanzia e propaganda viaggi per commettere condotte terroristiche”. Oggi sicuramente già punibili, in molti casi con i reati di associazione, in altri con il concorso o il favoreggiamento.
Ma si sa: quando c’è l’emergenza, o quando la propaganda politica ha bisogno di dimostrare che siamo nel pieno dell’emergenza, ogni mezzo è buono. Lo vedemmo a suo tempo, durante gli anni del terrorismo nostrano, quando il diritto penale fu forzato, tirato e allargato – spinto al limite di ogni logica liberale, o anche oltre – per poter rassicurare un’opinione pubblica spaventata, o per poterla spaventare meglio, sempre sulla spinta dell’emergenza. Nuovi reati, nuove procedure, e una tendenza costante e non proprio democratica a punire sempre di più le intenzioni e sempre di meno le azioni lesive. Cioè, la tendenza a costruire un diritto penale un po’ meno democratico e un po’ più autoritario.
Una tendenza non proprio sana che, purtroppo, vediamo rinverdita dagli annunci di ieri, che mostrano una preoccupante volontà di dare in pasto all’opinione pubblica nuovi spettri e nuove armi di combattimento, senza troppi distinguo. In questo quadro, stupiscono particolarmente i riferimenti a Internet trovati sia sul sito del governo sia nelle parole di Angelino Alfano. Sul sito, dove si annunciano i provvedimenti, si spiega infatti che saranno previste “aggravamenti delle pene stabilite per i delitti di apologia e di istigazione al terrorismo commessi attraverso strumenti telematici”. Attendiamo di vedere il testo di legge ma, intanto, rimaniamo parecchio sorpresi. Un delitto di apologia e istigazione diffuso via internet merita di essere punito più gravemente dello stesso delitto commesso “offline” indipendentemente da quante persone siano raggiunte? Un’adunanza di centinaia di uomini esaltati dalle parole di un istigatore è di per sé, per il nostro futuro diritto penale, meno pericolosa di un sito che magari conta poche dceine di visite in un mese? Sarebbe strano, no? Non per Alfano, evidentemente, che sempre ieri, in conferenza stampa, ha spiegato che “la reclusione sarà dai 3 ai 6 anni per chi si arruola in organizzazioni terroristiche. Da 3 a 6 anni per chi supporta i foreign fighters e da 5 a 10 anni per i cosiddetti ‘lupi solitari’ che si autoaddestrano all’uso di armi ed esplosivi. Con una aggravante di pena per chi lo fa via web“.
A parte la clamorosa sproporzione tra le punizione per chi si arruola (quindi parte, è pronto a combattere) e chi semplicemente si autoaddestra (potrebbe anche non partire mai, e quindi rimanere fermo alle intenzioni), ma a parte questo, resta un dubbio: ma perché autoaddestrarsi sul web è più grave che farlo su libri comprati al mercato nero? Davvero Alfano voleva dire questo? Davvero un ministro poco più che quarantenne parla di internet come se fosse il lupo cattivo? Attendiamo il testo con la speranza che la propaganda sia peggiore della legislazione.
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