Costume

Vacca, sciampista, gallina: l’Italia non è un paese per donne

12 Ottobre 2015

Bangladesh, Mozambico , Bulgaria e Costarica precedono l’Italia nella classifica per la parità di genere in politica, mentre immediatamente dietro di noi stanno Bolivia, Angola, Messico.
E’ una fotografia che dice molte cose. Filippo Maria Battaglia con il suo libro Stai zitta e va’ cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo (Bollati Boringhieri) ne raccoglie e ne propone parecchie in poco meno di 100 pagine.

Scrittura brillante, esposizione rapida dal libro di Filippo Maria Battaglia  nessuno esce vivo: dalla battaglia sul divorzio alle norme contro la violenza sessuale, dall’accesso alla magistratura al dibattito sulle quote rosa, questo libro è un succinto racconto storico – incredibilmente attuale –, per capire come si è diffusa e perpetrata la misoginia politica in uno dei Paesi più maschilisti d’Europa.

“Le donne porteranno nella lotta politica una nota di gentilezza che forse contribuirà a renderci tutti migliori”. E’ il commento che esprime Pietro Nenni, nell’autunno 1945 nel momento in cui viene introdotto il suffragio universale.
Sembra una frase accattivante, benevola, in somma “aperta”. Non è proprio così.
Negli stessi giorni, Ferruccio Parri, ancora per poco Presidente del Consiglio, così commenta il diritto di voto alle donne, rivolgendosi all’Unione donne italiane (UDI) l’associazione più rilevante della sinistra: “E’ stato giusto che sia stata data questa parità, [ma] è evidente che voi non penserete di venire a ripetere in campo politico, sociale, economico, intellettuale, quelle stesse cose che facciamo noi uomini”. Insomma : partecipate alla vita pubblica, ma fino a un certo punto e preferibilmente in maniera defilata e al più ausiliaria. Non da protagoniste.
Principio dalla lunga vita nel pensiero e nell’immaginario del maschio italiano.
Noi italiani siamo misogini? Probabilmente sì. Filippo Maria Battaglia ce lo racconta in maniera brillante.
E’ una vicenda e una convinzione che attraversano trasversalmente l’intero arco politico italiano da destra a sinistra: dal socialista  Craxi al comunista Luigi Longo (esemplare la sua iniziativa di annullare il matrimonio con Teresa Noce, a totale insaputa della moglie); dalla Dc (note sono le sfuriate sul vestire decente del giovane Scalfaro poi Presidente della Repubblica), a Ignazio la Russa, Francesco Storace, senza dimenticare, ovviamnte Silvio Berlusconi. Ma anche ricordando  Beppe Grillo e molti dei suoi  (per esempio Claudio Messora e Massimo De Rosa) in tutto questo parterre non sfigurano, anzi fanno la  loro “porca figura”, come da copione.

La donna nell’immaginario del maschio italiano della prima , della Seconda e, per quel che si è visto sin qui, anche della prossima Repubblica , fa carriera solo perché è bella, se è emancipata “è donna di facili costumi” se è brillante, non è farina del suo sacco o è manovrata. Soprattutto se ne può abusare comunque se subisce violenza non ha diritto se non dopo una lunga pratica a veder riconosciuto l’abuso del suo corpo (ci metterà circa venti ’anni a divenire legge: dal 1979, quando viene presentato un primo disegno di legge, al 15 febbraio 1996, quando finalmente passa la legge contro la violenza sessuale).
Ma prima di tutto è una questione di testa. Nilde Iotti non avrà mai vita facile nel Pci e solo molto dopo la morte di Togliatti riuscirà ad esser riconosciuta per il suo valore; se Daniela Santanché , Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna non hanno mai goduto di particolari apprezzamenti da parte del mondo maschile e dell’altro fronte politico, lo stesso, a parti rovesciate si può dire di Maria Elena Boschi, Rosy Bindi, che non hanno mai avuto giudizi sulla loro qualità politica, per non dire, per esempio di Laura Boldrini.
E al di là delle critiche anche legittime è difficile pensare che se le proposte avanzate dall’allora ministro del lavoro Elsa Fornero fossero state proposte da un uomo, la riposta sarebbe stata identica e identica la qualità degli insulti o le modalità della satira. Si potrebbe anche osservare che se Emma Bonino è l’unica donna che gode di un autorevolezza politica almeno sul piano della sua fisionomia, non è che poi tutto questo si sia trasformato in reale riconoscimento politico, e alla fine, per quanto liberatrio, il Paruto radicale resta sempre una creatura di Marco Pannella.

Il caso di Cécile Kyenge, va oltre e dice che il problema è molto radicale nella cultura italiana, perché se è vero che la maggior parte degli insulti nei suoi confronti sono stati targati Lega Nord ( rispettivamente Roberto Calderoli, Francesco Speroni e Mario Borghezio) non è che poi l’universo maschile della politica parlamentare abbia avuto granché da dire.

Lungo i sessant’anni dell’Italia repubblicana – sia della prima che della Seconda – le occasioni in cui il giudizio sulle donne in politica passa attraverso l’immaginario del sesso insistendo sulla loro sregolatezza o attraverso il l’immagine della insulsaggine non si contano. Dalla discussione sulla legge sull’aborto, a quella sulla fecondazione assistita nel 2003, alla più recente discussione sulla riforma elettorale.

Nota alla fine Battaglia che in tutto questo è in aumento il coinvolgimento pubblico delle donne e il numero di donne che ricoprono incarichi di interesse nazionale e che il dato della partecipazione alla politica che ancora rimane molto separato tra uomini e donne over 75, tende ad equivalersi nelle fasce generazionali giovani smentendo la vulgata che vuole i giovani in fuga dalla politica. E chiude. “Anche a queste percentuali è affidata la speranza che i dati che inchiodano l’Italia tra i paesi più maschilisti d’Europa possano gradualmente cambiare”. Forse, ma è davvero poco.

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