Questioni di genere

Una causa comune per femministe e donne cattoliche: no alla GPA

28 Novembre 2017

Essere donne credenti e cattoliche ed essere femministe, magari attivamente impegnate nel proprio contesto per l’abbattimento dei muri di diseguaglianza e sopraffazione che ancora separano la condizione maschile da quella femminile, non è sempre facile.

Non è facile all’interno della Chiesa, perché pur accettando e rispettando il ministero dei presbiteri e la gerarchia si vorrebbe potersi esprimere per quello che si è, offrire il proprio contributo, mentre spesso e volentieri l’attesa comune è che le donne abbassino la testa e rinuncino alla propria assertività. Non a caso i modelli femminili amati e propagandati sono quelli della sottomissione al maschile: della donna moglie e madre devota, che non chiede nulla per sé ed è ben felice di pulire il salone parrocchiale dopo che il predicatore di turno ha annunciato la Parola di Dio.

Non è facile neppure trovare spazio all’interno del movimento femminista, perché l’appartenenza a una struttura patriarcale è stata vista sempre con sospetto, quando non con disprezzo. Non è stato facile in passato anche perché non si sono potute condividere molte battaglie: la più difficile di tutte quella per l’aborto che ha visto necessariamente su fronti contrapposti le donne cattoliche rispetto alle altre femministe e ha creato – a onor del vero – un fossato difficile da oltrepassare.

Ora però è un tempo nuovo e preme l’urgenza, ma anche la possibilità, di formare un fronte comune e compatto con la maggior parte dei movimenti femministi, d’Europa e non solo, per una causa giusta, importante, che mina alle radici il rispetto per la donna e per l’essere umano in generale: sto parlando della pratica della maternità surrogata, già regolamentata o almeno tollerata in alcuni paesi dell’Unione Europea e che una certa corrente di sinistra cerca di legittimare culturalmente anche in Italia, dove è vietata. Recentemente anche nelle reti pubbliche sono emerse posizioni a sostegno, anzi di promozione della GPA, senza alcuna considerazione per la sua illegalità.

È questa una battaglia che può e deve vedere unite, senza se e senza ma, donne credenti e femministe perché si tratta di un livello di barbarie inedito, nel quale il corpo della donna viene cosificato fino a renderlo un mezzo di produzione di bambini e nel quale la povertà delle donne (sempre in posizione di minorità) viene sfruttata per acquistarne la capacità procreativa, facendo della donna prima e del bambino poi un oggetto in vendita.

Senza alcun rispetto per la verità si pretende di dire che la donna che ha portato un bambino in grembo non ne è la madre e che non ha diritto a tenerlo con sé, dando priorità alla genetica sulla gestazione e il legame che si stabilisce durante quei mesi; è recente la sentenza inglese per la quale una madre surrogata che si era pentita si è vista togliere il figlio per darlo alla coppia che l’aveva commissionato.

Sono temi complessi, controversi, ma sui quali pesano i fatti e tra questi i più importanti sono  documentati da infiniti studi su ciò che avviene tra madre e figlio quando si trova ancora nell’utero. Negarli significa ledere nel profondo l’umanità, laddove è più fragile, nel suo stato nascente e nel cuore delle relazioni.

Le donne cattoliche non possono lasciare che un tema così grosso, che tocca fin nel profondo la dignità umana, diventi appannaggio di frange tradizionaliste e omofobiche (Adinolfi e company, per capirsi): possono e debbono avocarlo a sé, in quanto donne, in quanto femministe, in quanto discepole di un maestro che le donne le ha sempre rispettate e valorizzate e per il quale i bambini sono il cuore e il modello dell’umanità… e possono farlo solo recuperando la sorellanza con le tante femministe che questa battaglia stanno conducendo da prima e più di loro.

 

 

 

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