Questioni di genere

Tra cartoline e giochi. Per il Piano Fertilità se non fai figli sei narcisista

1 Settembre 2016

Il problema non è rendere consapevoli gli italiani e le italiane sulla fertilità e le cause dell’infertilità, la buona informazione dovrebbe essere accolta sempre a batti mani, buona appunto e non confusa, approssimativa e superficiale, oltre che di cattivo gusto.

Nelle scorse ore sui social network è stato diffuso il link della agenzia di comunicazione che si è aggiudicata il bando del ministero della Salute sul fertility day, cercando su google il nome di questa associato al trend topic delle ultime ore ho cliccato su un risultato ed ho trovato una nuova informazione datata 27 luglio 2016, un nuovo tassello della campagna informativa del Ministero della Salute in tema di fertilità. Oltre le cartoline non solo di dubbio gusto, che sono piaciute però alla Ministra Lorenzin come ha recentemente affermato nel corso di una intervista, il progetto di sensibilizzazione comprenderebbe anche il fertility game. Una applicazione, un gioco. Purtroppo il link del blog risulta oggi, dopo il caso montato, irraggiungibile, 404 not found, per precauzione ne avevo fatto uno screenshot. Un “gioco divertente, fruibile da smartphone e pc“, “è possibile scegliere il proprio avatar, uno spermatozoo se si decide di giocare come ragazzo, un ovulo se si sceglie di giocare come ragazza” si leggeva. Qual è lo scopo del gioco, che non sappiamo ancora se sarà messo in circolazione? Obiettivo dello spermatozoo è quello di divincolarsi tra “i nemici dell’infertilità” mentre dell’ovulo di “farsi raggiungere dagli spermatozoi“.

Al di là della trovata del gioco quello che turba è il significato del significante,  le immagini e le parole utilizzate nelle cartoline virtuali, come nessuno si sia posto un paio di domande sui possibili feedback, ed anche certi passaggi del testo del “Piano per la fertilità” che in alcuni punti si contorna di manifesto ideologico da ventennio. Il Piano al punto 4 e 5 nella parte introduttiva si propone ad esempio di “Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione.” e “Celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility Day”, Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “Prestigio della Maternità”.

Nel paragrafo del Piano dedicato a “media e comunicazione” è riportata nero su bianco la seguente frase: “Il messaggio da divulgare non deve generare ansia per l’orologio biologico che corre – il tempo costituisce già per la donna moderna un fattore critico quanto piuttosto deve incentrarsi sul valore della maternità e del concepimento e sul vantaggio di comprendere ora, subito, che non è indispensabile rimandare la decisione di avere un figlio.” Le immagini invece prodotte come quella in cui compare la clessidra accompagnata dalla frase “La bellezza non ha età, la fertilità sì” vanno in tutt’altra direzione e a dire il vero lo stesso paragrafo nella chiosa finale pare in antitesi con l’incipit. Ed a proposito di delicatezza e di evitare ansia viene citato il linguaggio “diretto e chiarissimo” utilizzato all’estero come esempio in Australia “Dopo una certa età rischi di non avere più figli“.

Chiaro è che la questione del contenuto comunicativo inopportuno del Ministero della Salute possa essere osservata da diverse prospettive, ad esempio ancora una volta le donne al centro di un dibattito che sminuisce la loro capacità e diritto di autodeterminazione, l’indelicatezza verso una parte del mondo femminile che non vuole avere figli o che non può, la leggerezza con cui si affermano una serie di concetti assumendoli a verità e non considerando la libertà di scelta di ogni singolo individuo, anzi quasi colpevolizzandolo, chi “ritarderebbe o escluderebbe” la procreazione secondo il Piano della minisitra Lorenzin sarebbe dedito  “Da un punto di vista psicologico” a “un ripiegamento narcisistico sulla propria persona e sui propri progetti, inteso sia come investimento sulla realizzazione personale e professionale, sia come maggiore attenzione alle esigenze della sicurezza, con tendenza
all’autosufficienza da un punto di vista economico e affettivo”. “Nelle donne, in particolare, sono andati in crisi i modelli di identificazione tradizionali” si legge. Ah non ci sono più i focolari domestici di una volta. Ed ancora “funzionamenti narcisistici, la tendenza a privilegiare la propria realizzazione, personale e professionale, incapacità e paure ad assumersi le responsabilità genitoriali costituiscono un insieme di fattori che si rinforzano reciprocamente ed ostacolano il progetto procreativo“. Assieme alla vulnerabilità economica.

Fosse vero e lo è che non è più come una volta ciò però non può essere leva per tacciare più di una generazione di narcisismo ed egoismo perché non fa figli,  poiché i fattori e le variabili che inducono a non averne possono essere molteplici e riguardano le singole persone, la loro individualità, la possibilità di scegliere, cosa e quando.  Se tra questi poi volessimo dare un peso anche al fattore economico, com’è giusto il dibattito stia sottolineando, la realtà è che non si può crescere un figlio, figuriamoci più di uno, senza potergli garantire sostentamento, cure, un livello di vita dignitoso se non lo si può garantire a se stessi, e come lo Stato dovrebbe favorire ai sensi dell’art 36 della Costituzione. “Paura e incapacità”? O assunzione di responsabilità?

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