Questioni di genere
Quei meravigliosi stereotipi di genere
L’altro giorno ero in farmacia. Una bambina piangeva aggrappandosi all’espositore dei mascara; doveva avere cinque, forse sei anni. “Papà se non me lo compri non smetto” gridava, nello sconcerto generale. Il padre, imbarazzato, guardandosi intorno si è giustificato: “E’ una di quelle bambine che preferiscono i trucchi ai giocattoli”.
Sì, esistono bambine che preferiscono i trucchi ai giocattoli. E sono molte. Amano guardare i tutorial di makeup su youtube, sanno cosa è un correttore e cosa un fondotinta; se sei truccata male – e mi è capitato, durante una serie di interviste a Pitti Bimbo -, ti studiano allibite, ti danno dei consigli mirati su come rendere l’occhio più grande, le labbra più turgide. Superfluo dire che i consigli sono sempre molto pertinenti e utili, e che queste bambine sanno un sacco di moda (di trend, di super top model, di stilisti). Chissà se conoscono anche gli Heelarious, tacchi a spillo per neonati in commercio dall’anno scorso.
Naturalmente le bambine sono legate a doppia mandata con le loro mamme. E a volte le mamme di queste bambine spendono il loro intero stipendio (o quasi) per truccare le loro amate, far sistemare loro i capelli e farle assomigliare a piccole donne. Ne ho documentate a decine in Bellissime, ma nessuna ha mai toccato le vette altissime di Jenna Eastland, 31 anni da Newton Aycliffe e una figlia di sette, Layla, che farebbe di tutto (ed effettivamente sta facendo di tutto) per diventare famosa. Per ora Layla combatte la sua scalata al successo – che l’ha portata, come rappresentante del Regno Unito sulla passerella del “Junior Model International” e in India per “Miss Superglobe” – con ciglia finte, allungamenti ai capelli, una cura spasmodica per la forma e per l’alimentazione perché, come sentenzia la madre: “desidera esclusivamente essere famosa e ha la mente di un adulto. Per il suo compleanno mi ha detto che voleva una gita in barca”. Da evidenziare i selfie da adulta che Layla posta sui social network, la routine di bellezza con pelle idratata ogni giorno, gli abiti succinti e il trucco sempre molto curato (per inciso: Layla è la bambina che vedete nella foto qui sotto. E sì, ha 7 anni).
Ma l’UK è anche un laboratorio allargato di riflessione. Recentemente l’Advertising Standards Authority (ASA), l’organizzazione di autoregolamentazione dell’industria pubblicitaria del Regno Unito, ha divulgato un elaborato report sulla stereotipizzazione di genere attraverso la pubblicità (Depictions, Perceptions and Harm), focalizzandosi sulle conseguenze che questa produce sulla vita di tutti i giorni e su come sia necessario limitare, se non vietare, le pubblicità che sostengono la definizione di ruoli di genere, spesso dando un’immagine negativa della donna.
Proprio dalla Gran Bretagna, dopo la pubblicità della GAP – che l’anno scorso suggeriva in una campagna il bambino come “piccolo scolaro” e la bambina come “prezzemolina” o “farfallina” – arriva un altro epic fail. Questa volta tocca a Clarks, accusata di sessismo per aver battezzato calzature della medesima linea con prospettive diverse: “Leader” quelle destinate ai bambini e “Dolly Babe” per le bambine. Ne è nata una polemica che si è focalizzata anche sulla differenza pratica dei modelli. Quelle per maschi sono scarpe ben rifinite e adatte a essere utilizzate all’aria aperta, quelle per femmine più delicate e assolutamente inadatte alle attività outdoor. Alla fine, Clarks ha rimosso “Dolly Babe” dai suoi negozi (a onor del vero l’azienda ha spiegato che la linea era prossima all’esaurimento, peccato che fosse stata al centro di un recente lancio e che online sia ancora reperibile su diversi siti di shopping).
Diventa allora lecito chiedersi quanto influiscano questi elementi, che genericamente potremmo liquidare come piccolezze, nella vita di ognuno di noi. Che nesso c’è fra dei tacchi per neonate (o il reggiseno per bambine di 7 anni che viene venduto in USA) e la pubblicità di una t-shirt per maschietti con la faccia di Einstein? Che rilievo ha una bambina che in UK sogna di affermarsi con la nostra quotidianità (e con quella delle nostre figlie, cugine, sorelle, amiche)?
E, ancora: ha senso prendersela con gli stereotipi di genere? Ha davvero senso contestare cose in cui siamo immersi da immemore tempo? In fondo, non sono proprio gli stereotipi di genere quelli che ci rasserenano, e cullano le ambizioni di una vita? Non è più semplice credere, come racconta GAP, che il bambino sarà un “piccolo scolaro” e la bambina avrà per sempre il destino di “social butterfly”?
Potrebbe essere una soluzione. Intanto, mentre decidiamo se arrenderci o combattere, gli stereotipi di genere producono conseguenze ben più tremende di quelle immaginabili sulla breve distanza. Lo sintetizza perfettamente uno studio dell’Institution for Engineering and Technology del Regno Unito, che ha evidenziato come i giocattoli di genere rivolti alle bambine le scoraggino dall’intraprendere studi tecnici o di ingegneria. Secondo la ricerca il 31% di giocattoli di ingegneria sono pubblicizzati esplicitamente per i maschi, e solo l’11% sono rivolti anche alle bambine. Qualche mese fa, grande scalpore fece lo studio statunitense pubblicato da Science su come le bambine già a sei anni fossero convinte di essere meno intelligenti dei coetanei maschi. I dati rivelano poi che già all’età di 7 anni, quasi il 75% delle bambine e dei bambini ha acquisito lo stereotipo secondo cui le bambine non sono portate per la matematica. La lista potrebbe continuare per pagine e pagine, fino a crollare nel gap salariale fra uomo e donna, e in quello della quotidianità. Un dato su tutti: le donne italiane dedicano alla casa tre volte il tempo di un uomo (quando va bene). Ancora una volta dire che tutto comincia dall’infanzia e dagli stereotipi che mangiamo fin dalla colazione sarebbe superfluo. O forse no?
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