Questioni di genere

Siamo tutti condannati alla libertà, anche e soprattutto le donne

18 Novembre 2017

La violenza sulle donne si consuma ogni giorno: sono quasi 7 milioni, secondo i dati dell’ultimo rapporto Istat, le vittime che hanno subìto qualche forma di abuso nel corso della propria vita. È un argomento che è stato per tanto tempo taciuto, difficile da trattare, per la vittima che si sente sempre un po’ colpevole: colpevole di non saper reagire, colpevole di trattenere su di sé la violenza senza saperla smaltire. Spesso la denuncia si tinge dei colori della vergogna. Molte volte per questo motivo, quando se ne parla, si ha sempre il timore di violare l’intimità e la riservatezza della persona violenta.

Sensibilizzare la gente, per far conoscere, per far capire che non si vive in una condizione normale in cui non succede niente di male, e che le notizie di cronaca nera non sono avulse da quel luogo così perfetto che ciascuno reputa essere la propria casa, significa creare una famiglia umana in cui il dolore, lo stesso dolore, può essere condiviso arginando un problema.

La donna non è solo un corpo, un prodotto spettacolarizzato, una merce che a seconda dei casi può essere mostrata, oppure  oggetto di ira e maltrattamenti, le donne sono depositarie dello stesso rispetto e dignità che si deve a ogni essere umano.

Il sesso femminile ha da sempre dovuto combattere contro discriminazioni, ha dovuto lottare perché le fosse riconosciuto il diritto di voto, ha dovuto lottare per dimostrare che intelligenza e bellezza possono camminare di pari passo. Ha dovuto lottare per dimostrare che una gonna più corta non è necessariamente un invito, ha dovuto combattere contro il “sesso forte” per poter ottener diritti e rivendicare la propria indipendenza.

Questo è un dato di fatto se consideriamo le discriminazioni che ancora ci sono a livello normativo, economico, politico, sociale e culturale. A volte alla violenza fisica si aggiunge quella psicologica, e arriva anche da chi dovrebbe proteggere e mai giudicare.

Orrende le parole di Don Lorenzo Guidotti il quale ha ammonito la ragazza che a Bologna aveva denunciato di essere stata stuprata da uno straniero per aver assunto una condotta colpevole, le ha detto senza mezzi termini che se la era cercata. “Ti ubriachi da far schifo! Ma perché? E dopo la cavolata di ubriacarti con chi ti allontani? Con un magrebino?” .

In primis la Chiesa che non conosce differenza di umanità non avrebbe dovuto fare la differenza tra allontanarsi con un Magrebino o un Italiano.

“A quel punto svegliarti semi-nuda è il minimo che ti possa accadere… dovrei provare pietà? No!”. Un’espressione già brutale in sé, lo è ancora di più in quanto in un mondo in cui tutto è sotto gli occhi di tutti, perfino la predica di un padre della Chiesa che forse avrebbe dovuto tenersi in uno stretto riserbo, si è asservita alla regola dello show must go on che impera nei luoghi dove l’intimità è schivata come una malattia letale. Forse perché detta con le parole di Paolo Conte “il vino (quello offerto simbolicamente sull’altare) spara fulmini e barbariche orazioni che fan sentire il gusto delle alte perfezioni”.

Spesso esposte alla violenza e al sopruso, non tutte le donne rispecchiano quel mondo in cui tante ce l’hanno fatta ad imporre un’immagine di donna forte ed indipendente. Molte sono fragili, possiedono un’ identità opposta all’immagine giovane e splendente offerta dalla pubblicità e dai mass media.

Il caso Weinstein e il filone che ne è seguito, ha portato alla ribalta mediatica un problema che si è solo nascosto da anni sotto il tappeto, donne che sono state aggredite, o semplicemente infastidite dal produttore di turno.

In conclusione, credo che le donne abbiano il diritto di rivendicare la loro sana femminilità, le donne possono pensare, decidere, agire. Le donne scelgono e dovrebbero essere libere di scegliere perché in quanto esseri umani, come Sarte sostenne, siamo condannati alla libertà.

È proprio sulla facoltà di scelta che ci consente di essere uomini liberi che avrei provato a costruire, lontano dai social, un dialogo con tutte quelle donne che hanno abdicato a tale facoltà.

A tale proposito mi pare opportuno per una cultura della diffusione e della solidarietà, segnalare il cortometraggio contro la violenza di genere, prodotto dalla Maxima Film di Marzio Honorato e Germano Bellavia. Presentato nell’Aula Mediterraneo dell’Ospedale Cardarelli di Napoli.

La presentazione è avvenuta durante la conferenza stampa “Il Cardarelli è al fianco delle donne”, tenuta dal Direttore generale dell’ospedale Cardarelli, Ciro Verdoliva, in presenza dell’Assessore regionale Chiara Marciani, che annovera tra le sue deleghe quella alle Pari opportunità; la Dott.ssa Elvira Reale, responsabile scientifico del Centro Dafne, che nei primi 10 mesi di attività ha effettuato 144 interventi a tutela di vittime di violenza di genere; l’attore e produttore Marzio Honorato; il regista del cortometraggio Corrado Ardone e gli attori protagonisti Rosalia Porcaro e Antonio Pennarella.

Al riguardo, l’attore e produttore Marzio Honorato ha dichiarato: «Quando si parla di violenza sulle donne non si può più parlare di casi isolati, bensì di un fenomeno crescente. Questo cortometraggio vuole trasmettere un messaggio chiaro alle donne che si identificano nel personaggio di Lia. Il messaggio è: “Non continuate a far finta di niente”, non si può fingere che tutto vada bene, perché potrebbe essere estremamente pericoloso. Quello che desideriamo dire alle donne è: “Parlatene, rivolgetevi a centri di aiuto e prevenzione”. Agli uomini invece, che vedono negli atteggiamenti e le parole del personaggio di Antonio se stessi, possiamo solo dire: “Fermatevi, prima che sia troppo tardi”».

 

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