Questioni di genere
Serva Italia, di dolore ostello
Oggi parto dalla neolingua per attaccarmi al secolare problema dell’istruzione. Mi scuserete per le ripetizioni, ho già scritto in passato dell’argomento ma una rinfrescata, soprattutto in periodi caldi come questo, male non fa.
In tutta questa ricerca della neolingua che dovrebbe includere ma che secondo me tenderà sempre più a escludere perché è una cosa che viene da un cerebralismo politicamente (s)corretto, manca una coscienza idiomatica. La nostra lingua, sviluppatasi dal latino, ma che ha incluso nel corso dei secoli un’immensa mole di parole provenienti da altri idiomi e dialetti, anche abbastanza lontani dall’Arno, ha un complesso rapporto tra concordanze e declinazioni. Se si è sviluppata mantenendo immutate le caratteristiche del genere per secoli, con un maschile prevaricante per i plurali di generi misti, non credo sia per una visione maschiocentrica che oggi va abbattuta per lasciare spazio a soluzioni più neutrali (o inclusive). Io, da omosessuale, se mi includessero in un discorso come neutro mi risentirei. Io sono di genere maschile, non mi riconoscerei in un altro genere e quanto meno nel neutro. Chi si opera per cambiare sesso in maggioranza lo fa per diventare, almeno esteriormente, del sesso opposto, non per farsi etichettare come una creatura neutra, di mezzo, indefinita. Può darsi che ci sia chi voglia restare nell’indefinito, ma se un uomo trans poi diventa effettivamente donna, oppure ne veste solo i panni esteriori, si rivolge a sé stesso al femminile, e gradirebbe che il mondo le si rivolgesse al femminile. Suppongo. Non credo che a un transgender possa piacere una neutralità, soprattutto linguistica. Ed è giusto che se uno cambia sesso definitivamente questo risulti anche sulla carta d’identità o sul passaporto. Certo, se la foto sul passaporto o sulla carta d’identità sono assai diversi da chi si presenta, ci credo che i doganieri abbiano qualche difficoltà a riconoscere il soggetto in questione. È come portare una maschera. Ma è una maschera che a volte ha anche un processo doloroso dietro, perché un cambio d’identità e di sesso è una cosa serissima e va affrontato colla giusta delicatezza. Qualità a volte assente nei corpi di sicurezza della Nazione, dove si leggono certi verbali che un insegnante d’italiano di scuola media arabescherebbe di rosso e blu da capo a fondo. Forse con le impronte digitali un passo avanti si potrebbe fare, dal momento che l’aspetto fisico esteriore è soggetto a cambiamenti. Ditemi voi se alcuni/e cantanti assai noti/e, che sono ricorsi/e alla chirurgia estetica pesante, soprattutto al viso, alterando labbra, naso, occhi, orecchie, possono essere le stesse persone raffigurate nelle foto di un passaporto di otto anni prima. Anche loro sono trans.
Nei media se Platinette o Vladimir Luxuria o Drusilla Foer o altri parlano di sé lo fanno al femminile, perché sia che vogliano considerarsi transgender come Luxuria, o anche solo delle parodie, come nel caso di Platinette o Drusilla, è quello il modello di riferimento: un tipo di donna. Va bene che sono tutte delle parodie, anche se Drusilla Foer è una parodia molto più chic delle altre. Se Achille Lauro si veste da Elisabetta I ma poi vuole essere chiamato al maschile, Achille, appunto, è superfluo pensare che si debba inventare una desinenza apposita per parlare di lui, transgender a intermittenza, solo sul palcoscenico. E in questa guerra al gender, di cui Pillon è il soldato più devoto e convinto, bisognerebbe spiegare accuratamente (anche a lui, sebbene io credo che sia una battaglia persa, visto il soggetto) che cos’è il gender, cos’è la drag queen, cos’è il travestimento, perché gli intolleranti come lui mettono tutto insieme senza capire un pipi, e come tutto ciò non sia assolutamente un pericolo per nessuno. Non è stato spiegato mai abbastanza bene.
Non credo nemmeno che sia uno scandalo usare il femminile di alcune professioni, se è possibile crearlo e non disturba un assetto idiomatico – fatto, come dicevo prima, di concordanze – come sindaca, ministra, ingegnera. Suona bene “è stata una brava sindaca” anziché “ è stata una brava sindaco”. Avvocata – perfino la preghiera Salve Regina prevede il termine, riferito alla Madonna – viene preferito ad avvocatessa, che invece non piace alle donne, chissà perché. Così come presidentessa, non piace. Eppure esistono la leonessa, la diavolessa, la principessa, la papessa, la profetessa, l’autorimessa (una che si è rimessa a posto da sé), la scommessa (una che forse un tempo era commessa), e così via. Chissà perché, in fondo è un arcaismo che proviene dal greco antico, dove si diceva “-issa”, poi passato al latino e, nel processo evolutivo della lingua, mutatosi in –essa. Basilissa, per esempio, era titolo delle imperatrici di Bisanzio. Nulla, non fa contente le signore che a volte si sentono quasi sfottute. Comunque avvocata è previsto e la Crusca dà preziose indicazioni per i femminili delle professioni.
Un caso che mi disturba particolarmente, in questa identificazione sessuale a oltranza, preoccupazione principale dell’oggi, è “la” soprano. No, è “il” soprano, e tutti gli aggettivi qualificativi che lo accompagnano vanno concordati al maschile. Perché “soprano” in lingua italiana è maschile, e denota sia il soprano femminile che il soprano maschile, la voce più acuta tra le voci umane.
“La” soprano è un errore, oltre che un orrore. E anche se poi questo errore viene fatto continuamente da giornalisti, da presentatori, da persone ignare, perfino da musicisti, che pensano che soprano sia femminile solo perché la cantante è di sesso femminile, resta un errore. Al plurale come fai: le soprani? Le soprano? I Soprano(s) sono una famiglia mafiosa italoamericana da serie tv. E poi, per comporre il plurale, l’inglese mette una s. Così fan loro. Noi no. Punto.
Ah, dite che esiste Petralia Soprana. In questo caso è aggettivo, non sostantivo, e non si riferisce alla musica ma a un luogo che sta sopra qualcosa. Infatti c’è la Petralia Sottana, a pochi chilometri più giù. Dite che vorreste estenderlo alle cantanti? La soprana Maria Callas? Vi sembra che suoni bene? Ma che orecchie avete? Smettetela di dire sciocchezze e usate il maschile, perché in italiano è così. No, la mano, non c’entra nulla. La mano è femminile, non posso farci niente, mano è femminile e soprano maschile. E problema? Qualcuno che conosca bene la lingua italiana oserebbe dire la problema? Come soprano è maschile, mano è femminile, problema è maschile. Fate pace con voi stessi, la lingua è così. Pensate che l’orchestra, che in italiano è femminile, in francese è maschile, così come il mare da noi è maschile e da loro femminile, la mer (qu’on voit danser le long des golfes clairs…). E il sole e la luna in tedesco hanno i generi invertiti, la sole e il luna, die Sonne, der Mond. Che ci si può fare? Ogni lingua ha le sue. Gli ispanofoni risolvono presto tutto: el doctor, la doctora, el regente, la regenta, el autor, la autora, el pintor, la pintora… e così via. Ma l’italiano non si presta, fatevene una ragione. I plurali inclusivi sono la cosa più difficile in assoluto, poi. Pittor*, autor*… e perché mai dovrebbero essere inclusivi dal momento che comunque così privilegerebbero la radice maschile? Perché a questo punto di isterie idiomatiche non dovrebbe privilegiarsi la radice femminile pittric* e autric* o, meglio, pit* e aut* – che sono le vere radici – essendo le due parole variabili? L’italiano non si presta: pittore, pittrice, pittori, pittrici, autore, autrice… mettetevelo in capo.
Il voler farci stare sempre tutti e il privilegiare la libertà grammaticale espressiva può squinternare la lingua, perché se poi tutto il sistema, costruito nei secoli vacilla e nessuno più riesce a scrivere bene e, soprattutto, a capirsi bene, lo scopo del linguaggio è finito, si ritorna a Babele. Manco i dadaisti e i futuristi colle loro parole in libertà ci sono riusciti, sebbene abbiano creato dei poemi suggestivi e perfino divertenti, ma l’ordine sintattico ha prevalso, certo, cambiando stile, però, almeno fino a quando ho fatto le scuole io, è stato un punto di riferimento. Inoltre, cosa da non sottovalutare, non è sufficiente che le persone siano dotate di un’informazione di alta qualità. Se non si riescono a creare sillogismi logici, cioè corretti dalla premessa fino alla conclusione, si crea il disastro comunicativo e quindi in questi casi il linguaggio fallisce: alle regole della grammatica bisogna applicare quelle della logica. E, coi social network, è assai più facile immedesimarsi in sillogismi astrusi e farli propri, senza spesso rendersi conto della gravità e della falsità di quella informazione. Resto dubbioso quando vedo biglietti, pizzini, messaggi sul cellulare o per e-mail e mi aspetto prima o poi articoli di giornale scritti in socialingua: xkè nn è kome ai detto tu oppure ke fiko mikele ke a vinto x la 3za volta a burrako. Xkè alla fine, se non si mette 1 freno alla deriva idiomatika, c si ridurrà kosì e il mio bell italiano sarà ucciso x sempre.
Già spesso leggo, e in quotidiani nazionali ben noti, frasi disarticolate, concordanze inesistenti, parole troncate o ripetute collo stesso errore.
Nel programma elettorale di Letta, almeno, c’è un accenno di attenzione all’istruzione. Ma come sarà, perché una cosa sono le belle parole, che sono certo assai importanti, come urlava Moretti, e altra cosa poi i magri fatti, in una scuola assai danneggiata da riforme sconclusionate che hanno prodotto schiere di allievi ignoranti che all’Università scrivono nella socialingua mentre i professori universitari sono costretti dai rettori a promuoverli nonostante siano evidenti analfabeti? Ho letto certe tesi di laurea raccapriccianti. In cosa consisterà questo miglioramento dell’istruzione assassinata dai precedenti ministri? Lo vorrei spiegato meglio nei dettagli, perché fare demagogia alla Salvini o alla Berlusconi è la cosa più facile del mondo.
Per esempio, il problema della dispersione scolastica, delle condizioni sociali nei quartieri più negletti delle metropoli, dove avviene la maggior dispersione e il conseguente degrado. Si pensa di arginarlo (risolverlo è troppo pretendere) in qualche maniera? Sarebbe bene specificarlo nei programmi elettorali anziché, forse ed eventualmente, semplicemente enunciarlo come un buon proposito o un fioretto da fare a san Giuseppe da Copertino. Ci saranno altre buone scuole, altre scuola=azienda, altre riforme stile Moratti e Gelmini? Ci saranno ancora idee geniali e circensi come i banchi a rotelle? Ameremmo sapere cosa le varie parti propongono per il 25 settembre.
Anche Berlusconi aveva tirato fuori dal cilindro la chiave risolutiva dell’istruzione per il vero futuro dell’Italia: le tre i: inglese, internet e impresa. Era solo questo che bisognava insegnare, secondo lui. Ma lui vende mutande tre per due, parla per slogan e se ne nutre. Si sono visti i risultati nel Ventennio cavalleresco, l’ignoranza è aumentata. Nei suoi deliri milionari l’ex-cavaliere non ha mai detto: vi prometto un milione di professori in più, un milione di scuole in più, un milione di insegnanti di sostegno in più, un milione di laureati di qualità in più, un milione di medici in più, un milione di scienziati in più, un milione di archeologi in più, un milione di letterati in più. No. Nel suo nuovo furbastro schema elettorale monomilionario ha perfino avanzato l’offerta di un milione di alberi in più, forse da piantare nelle sue tenute in Sardegna, a Lampedusa, a Milano, a Roma e in tutti i luoghi e in tutti i laghi dove l’ex ha comprato suoli e edifici. Perché un milione di alberi in più non sono assolutamente niente per un territorio vasto come il nostro. Un milione di analfabeti in più, questo sì, probabilmente è anche un risultato per difetto. È lui, forse, la vera drag queen, campione di dissimulazione e travestimenti. A parte il fatto che deve veramente consumare molti più prodotti per il trucco di quanto faccia una donna, almeno da ciò che si vede nelle sue apparizioni. Elettori, pensateci, e mi ricollego all’esatta comprensione della lingua, di cui parlavo all’inizio, scovate cosa c’è tra le righe di queste propagande elettorali, la lingua travestita che viene usata furbescamente dai politici.
Il partito “Povera Italia” si annuncia sempre più affollato di iscritti.
Devi fare login per commentare
Accedi