Questioni di genere

Se fosse il femminismo la strada per la ripresa demografica?

27 Maggio 2018

Qualche giorno fa è comparso sul NYTimes un articolo di Michelle Goldberg nel quale la giornalista e saggista riflette sulla sostanziale diminuzione del tasso di natalità americano mettendo in fila alcuni elementi che a prima vista apparirebbero banali, ma non lo sono.

L’esperienza scandinava, rileva la Goldberg, non ci dice solo che le politiche attive per la famiglia incidono sul tasso di natalità, ma che a fare la differenza sono la parità e la l’impegno condiviso dai genitori: laddove le donne studiano, lavorano e i padri sono maggiormente coinvolti nell’accudimento ed educazione dei figli, le donne sono più propense a mettere al mondo dei bambini. La correlazione tra politica sociale femminista e maggiore fertilità è ampiamente riconosciuta in tutto il mondo tanto che David Willetts, ex ministro conservatore del Regno Unito, che non ha mai risparmiato al femminismo le peggiori accuse, non ha però potuto fare a meno di constatare che “il femminismo è il nuovo natalismo ” ovvero che solo rimuovendo gli ostacoli alla maternità e creando una società che supporti le donne nel loro percorso di istruzione e professionale è possibile invertire la tendenza.

La conclusione è lapidaria: “in the modern world, patriarchy is maladaptive” nel mondo moderno il patriarcato è disadattativo. Questa verità, tanto semplice quanto provocatoria, andrebbe indicata a quanti ancora oggi anche in Italia chiedono politiche favorevoli alla maternità e contemporaneamente lottano per preservare il sistema patriarcale con la donna-madre al centro della famiglia, a reggerne le sorti, mentre il maschio bread-winner (almeno principale) le delega totalmente la cura dei figli.

Tenere insieme queste due posizioni non regge: le donne non fanno più figli semplicemente se hanno dei sussidi in più, ma se sono messe in condizioni di esprimere pienamente se stesse dentro e fuori casa, soprattutto se riescono ad impostare una vita di coppia basata sulla mutualità e lo scambio. E come darci torto?

Quello che colpisce di questo approccio tradizionalista alla maternità, soprattutto quando colorato da venature religiose, è il fatto che questi signori dicono di pensare che le donne si realizzano diventando madri, ma in realtà sembrano non crederci affatto. Quello che pensano davvero è che una donna libera, emancipata, in grado di decidere per sé in realtà non sceglierà la maternità, anzi si consegnerà anima e corpo alla carriera, al successo, magari scegliendo l’aborto per restare su un tema nuovamente attuale. Quindi la famiglia patriarcale è necessaria per domarla affinché si impegni nel glorioso compito della procreazione.

La buona, ottima notizia (che molte di noi conoscevano già per la verità) è che non è affatto così: la maternità è davvero una scelta preferenziale per le donne e, proprio in quanto scelta, essa matura e si dispiega appieno quando ci sono libertà e consapevolezza. E gli uomini possono finalmente e felicemente superare la soglia della cameretta dei bambini diventandone legittimi abitanti, in una dinamica liberante e appagante di corresponsabilità.

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