Questioni di genere

Per molte donne il qualunquismo sessista è un ombrello sin troppo comodo

11 Agosto 2016

Noi ragazzi sognavamo sul giornale titoli pazzeschi. Liberi e scorretti. Possibilmente scorrettissimi. Eviterò di rassicurare sulle mie antiche coordinate di civiltà e andrò al sodo, a un esempio concreto di questi giorni. Il matrimonio di Chicco e Spillo – mi piace chiamare così gli arzilli ottuagenari che si sono uniti civilmente una settimana fa a Torino – lo avremmo titolato così: «Le due vecchie, indomite, checche finalmente sposi!». E così per ogni argomento, soprattutto quelli sessuali e di genere, nondimeno quelli religiosi (sai i bestemmioni), cercando di soddisfare esclusivamente il nostro lato giocoso e gioioso. Sì, gioioso. Si poteva anche essere volgari gioiosamente e in modo affettuoso. Se da un lato ci si preoccupava pochissimo del politicamente corretto – peraltro erano anni complessi – dall’altro ognuno aveva nei confronti delle “diversità” (a quel tempo si definivano così) un modo diverso di confrontarsi. Ma insomma, se eri già civile di tuo, frequentavi quelli simili a te, anche se non dispiaceva affatto, all’interno della compagnia, la presenza del tamarro semi-intollerante, quello che alle checche gli avrebbe fatto qualunque cosa. Erano dinamiche amicali, forse crudeli, non ancora consapevoli, ma certo totalmente dentro il tempo che si viveva. Questo giochino proseguì anche quando cominciammo a frequentare le redazioni, dove volava veramente di tutto. Naturalmente, nessuno dei titoli che ci si immaginava finiva in pagina ma avrebbe potuto: si simulavano al computer le frasi più pazzesche che un maledetto incidente tecnico avrebbe potuto rendere pubbliche con conseguenze che potete bene immaginare. Molti anni dopo, una banda genialoide con alla testa Michele Serra, riuscì a dare nobiltà e soprattutto intelligenza agli sfogatoi personali inventandosi «Cuore». Si lasciarono giustamente da parte le questioni sessuali e si abbracciò la politica, l’altro grande territorio di discussione collettiva. Furono anni straordinari e se dobbiamo ricordare un titolo per tutti, eccolo qui: «Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti».

Le questioni del corpo, che oggi tanto appassionano, allora venivano chiamate infelicità fisiche. L’idea di avere un corpo fuori norma era strettamente legato all’idea di infelicità e forse questo è il concetto che meno è cambiato nel tempo. I capelli, per esempio, fanno parte del corpo e gli uomini calvi, un tempo, venivano visti come persone malate. Oggi, l’evoluzione del costume ci porta spesso a considerarli fichissimi. Con il corpo delle donne il confronto è sempre stato delicato e complesso. Primo perchè è un corpo che sul piano puramente estetico non è noioso. Il maschio non ha curve, viene giù come un blocco. Ha solo mezza cosa in più ed è facile notare che dopo secoli non si riesce a far pace, basta un attorucolo qualunque che si sbiotta e i social s’intasano per giorni. Anche da vestito il corpo di una donna si espone a mille e mille sentimenti, a differenza di quello di un uomo, solitamente cimiteriale. Parlare, scrivere, del corpo di una donna è certamente rischioso, anche per la persona più sensibile a attenta. Dopo le questioni Boschi e #CICCIOTTELLE di questi giorni, sui social molte donne ribadiscono un concetto: siamo stufe di essere giudicate, commentate, chiosate, solamente per le questioni estetiche, per quelle che riguardano il corpo.

C’è – forte – il sospetto che un buon numero di donne, evidentemente stufe di un andazzo che dura da molti e molti anni, siedano perennemente sulla riva del fiume in attesa dell'”incidente”. E che abbiano deciso scientemente di non valutare più caso per caso, ma di farne un Caso sempre, di qualunque situazione si tratti. In questo modo, privandosi della possibilità di esaminare di volta in volta le sfumature, che pure sono essenziali per comporre un quadro attendibile di una certa vicenda. È capitato in (rapidissima) successione proprio nel breve volgere di un paio di giorni, prima quando la tempesta perfetta si è abbattuta sul capo del povero Beppe Tassi che era scivolato su un titolo infelice (rimettendoci peraltro la ghirba) e subito dopo con la vignetta di Mannelli sul Fatto raffigurante Maria Elena Boschi con le gambe accavallate: «Lo stato delle cos(c)e». Le reazioni a #CICCIOTTELLE sono state bestiali, come se fossimo all’ultimo giorno della vita sulla terra, come se avessimo toccato il nervo più scoperto che si potesse scoprire. “Un titolo che fa schifo”, si scriveva sui social, dove per schifo, se quella parola ha ancora un significato, si identifica un’estremità del mondo, l’ultimo lembo di terra prima di sprofondare per sempre. Si era al giorno finale, il redde rationem definitivo, l’illustrazione del maschio e delle sue terribili nefandezze. Se qualcuno, timidamente, in quelle stesse ore opponeva qualche perplessità a questa rivolta di genere, veniva malamente apostrofato. Per questo gruppo di fuoco femminile, l’ideale sarebbe stato che nulla più succedesse, non almeno a ridosso. E invece…

Poche ore dopo, con il nervosismo al massimo dei giri, una copertina del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, doveva rimettere di nuovo tutto in discussione e ciò che poche ore prima era stato considerato “definitivo”, quel titolo sulle nostre ragazze dell’arco, ora decisamente doveva lasciare il passo a qualcosa di molto più definitivo, quella vignetta su Maria Elena Boschi che in modo assolutamente inequivocabile veniva considerata sessista dall’universo mondo (femminile). Si creava peraltro un’ulteriore centrifuga emozionale, giacchè tutte le disprezzatrici (politiche) della ministra si prestavano a una doppia suggestione, sottolinenando in tutti i post che pur avendo per la Boschi sincera disistima politica, non potevano tacere l’ignonomia di quella oscena rappresentazione che nulla aveva di satirico.

Qual è il fiato corto di tutto questo? Che molte donne non sanno più scegliere, o forse non lo vogliono fare per comodità, perchè il qualunquismo sessista è un comodo ombrello protettivo sotto il quale ripararsi. Perché nulla va più perdonato, nulla è ormai meritevole di essere considerato con più tolleranza, se non addirittura con un minimo di comprensione o magari con quel compatimento che una volta costituiva la pena più terribile per un uomo che usciva dalle righe. Ciò getterebbe un po’ di luce su quell’antro scuro che è il rapporto tra un uomo e una donna, in cui nessuno è più sicuro nemmeno del linguaggio. Perché se i comportamenti spesso sono di una chiarezza esemplare ed esemplarmente ignobili da parte degli uomini, le parole, le intenzioni, le sfumature vanno ancora intepretate. Provateci.

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